07/02/2014

Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra

Il sound «apocalittico» della band di Montreal

Montreal offre una scena musicale indipendente dai connotati stilistici che travalicano il rock nelle sue forme convenzionali. Dalla capitale del Quebec provengono non a caso Arcade Fire, Wolf Parade, Bell Orchestre e Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra. Questi ultimi, nati ad inizio 2000 come progetto parallelo dei Godspeed You Black Emperor!, hanno dimostrato sin da Born Into Trouble As The Sparks Fly Upward (Constellation, 2001) di avere personalità propria.

Fuck Off Get Free We Pour Light on Everything, in uscita il 24 gennaio prossimo per l’etichetta Constellation, è il settimo album dei canadesi, al momento formati da Efrim Menuck (chitarra, piano, voce), David Payant (batteria, organo, voce), Jessica Moss, (violino, voce), Sophie Trudeau (violino, voce) e Thierry Amar (basso, voce).
Qualcuno li definiva banalmente “post-rock”. Due parole troppo imprecise, considerando che la loro musica oggi è in realtà blues dell’anima, punk nell’attitudine, stilisticamente un “rock da camera” dell’apocalisse, con echi di folk, cieca furia sonora incontrollata, passaggi orchestrali evocativi, kraut rock e garage. Un abbagliante alternarsi di saliscendi incontrollabili. Avevano promesso un disco più “pesante” e “diretto” e Fuck Off Get Free We Pour Light on Everything conferma queste due definizioni. 

Rispetto alla quiete estatica del già citato Born Into Trouble As The Sparks Fly Upward, questa nuova opera si affida a una sezione ritmica vorticosa e alla voce di Efrim Menuck. Le sei nuove tracce di pregevole fattura sono distanti anni luce dalla “forma canzone”. La rumorosa cavalcata posta in apertura, Fuck Off Get Free (For The Island of Montreal), è altamente rappresentativa. E questo stesso furore nella seconda parte sfocia persino in digressioni heavy, tra cori, violini impazziti e chitarre massicce a fare da tappeto sonoro. Austery Blues è forse la traccia migliore. Un crescendo epico di 14 minuti, in bilico tra gli esperimenti dei Can e i Motorpsycho di Trust Us.

L’apocalisse non si ferma. Nella potente Take Away These Early Grave Blues gli archi sono protagonisti insieme al drumming inarrestabile di David Payant e al canto disperato di Menuck. Le atmosfere meditative tornano con la soave ballata Little Ones Run, grazie ai cori femminili e a melanconici accenni di pianoforte. Due minuti e mezzo di “inferno interiore”.
A What We Loved Was Not Enough e alla cinematografica Rains Thru the Roof at Thee Grande Ballroom (For Capital Steez) spetta l’arduo compito di chiudere l’album. Rarefatta e crepuscolare, quest’ultima è un’intensa dedica a Capital STEEZ, rapper della crew newyorkese Pro Era, morto lo scorso anno a soli 19 anni.

Fuck Off Get Free We Pour Light on Everything si cala negli “inferi dell’uomo moderno”. Non è certamente rock. Non è nemmeno post-rock. È una seduta di psicanalisi coadiuvata da una musica senza confini. Sarebbe stata la colonna sonora perfetta della pellicola Melancholia di Lars Von Trier: il racconto di un mondo in frantumi. 

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