15/07/2023

Trent’anni di funeral doom con Stefano Cavanna

Tsunami Edizioni pubblica Il suono del dolore

 

Probabilmente l’elemento più interessante nei decenni di storia del metal è la sua vastità. Correnti principali, deviazioni, generi e sottogeneri, flessioni stilistiche e diversivi hanno alimentato – per certi versi lo fanno tuttora – quello che è bene considerare come una cultura alternativa, più che un fenomeno musicale. All’interno di alcune correnti è anche possibile notare aree con delle caratteristiche peculiari: una di queste è il Funeral Doom. Ne parliamo con il cultore Stefano Cavanna, autore de Il suono del dolore. Trent’anni di funeral doom per Tsunami.

Partiamo proprio da questo primo assunto, Stefano: il rapporto tra il vastissimo fenomeno metal e lo specifico del Funeral Doom. Un genere, un sottogenere, un drappello di gruppi o cosa?

Un sottogenere, anche se per certi versi tale definizione può apparire forzata in quanto la collocazione del funeral all’interno del doom non è da tutti condivisa. Infatti, come scrivo nel libro, gran parte dei musicisti coinvolti ha un retaggio di matrice estrema e, in fondo, il funeral può sembrare a molti più uno strangolamento ritmico del death metal piuttosto che un ulteriore rallentamento del classic doom. Resta il fatto che l’appartenenza al macrogenere è giustificata non solo dalle ritmiche ma anche dall’immaginario concettuale che attribuisce alla morte quell’ineluttabilità e fatalità condivisa anche da gruppi storici come Pentagram, Saint Vitus, ecc.

 

Il suono del dolore è il primo libro che inquadra e indaga la materia. Quali difficoltà hai trovato nella ricostruzione?

Devo dire che, quando mi sono reso conto d’essere alle prese con la realizzazione di un qualcosa di inedito a livello mondiale, ho provato una certa sorpresa ma, allo stesso tempo, perlomeno non ho corso il rischio di trovarmi a ricalcare anche parzialmente un’opera già esistente. La difficoltà maggiore non è stata quella di reperire le notizie quanto la necessità di fare una scrematura, decidendo in maniera spesso soggettiva (e in quanto tale opinabile) se una band possedesse o meno le caratteristiche per essere incasellata nel funeral, piuttosto che nello sludge, nel drone o nel death doom, dato che spesso la separazione tra i diversi sottogeneri è molto sottile. A livello di ricostruzione storica ho messo a confronto diversi articoli di approfondimento che ho trovato in rete, attingendovi notizie altrimenti difficili da reperire, per poi fare un riassunto della genesi del funeral e trarne le mie personali conclusioni.

 

È possibile individuare il filo conduttore e evidenziare le caratteristiche principali di un genere ormai storicizzato?

Il filo conduttore è l’incombenza della morte che, in qualche modo, viene esorcizzata o esasperata, a seconda dei casi, con il ricorso a sonorità che possono essere atmosferiche e melodiche o, al contrario, plumbee e di difficile fruibilità. Se prendiamo due band storiche come gli Skepticism e gli Evoken e proviamo a confrontarle, i tratti comuni che si possono cogliere nell’immediato sono l’evocazione di sensazioni luttuose e stranianti, raggiungendo però lo stesso risultato con i primi che utilizzano quale elemento chiave il particolare suono dell’organo e con i secondi che dilatano ritmicamente un impatto di matrice tipicamente death. Quindi si può tranquillamente affermare che le band dedite al funeral doom non suonano affatto tutte allo stesso modo, proprio in virtù della frequente contaminazione con gli altri sottogeneri citati poc’anzi.

 

I grandi iniziatori sono sostanzialmente due: Winter e Cathedral, ma mentre i secondi hanno goduto di una lunga vita e di una buona popolarità, i primi sono rimasti confinati allo status di cult band. Qual è il loro merito?

Le due band che citi sono state importantissime per lo sviluppo futuro del sottogenere ma, personalmente, non le considero le vere e proprie iniziatrici; gli Winter, parallelamente ai Disembowelment in Australia, hanno codificato quello che poi sarà il death doom, influenzando sicuramente le band guida del funeral nei rispettivi continenti (Evoken in America e Mournful Congregation in Oceania), mentre per i Cathedral il discorso è ancora diverso. Infatti, più che di una band parlerei di un disco seminale come Forest of Equilibrium che, estremizzando la lezione dei Black Sabbath, ha portato per la prima volta nelle case di migliaia di appassionati di metal un sound di una lentezza ritmica inusitata senza per questo sacrificarne l’impatto emotivo e atmosferico; scorporando quanto pubblicato tra il ‘90 e il ‘92, come band i Cathedral hanno successivamente influenzato soprattutto chi si sarebbe dedicato allo stoner doom dalle derive psichedeliche. Comunque, tanto per ribadirne l’importanza, Forest of Equilibrium è stato il disco che nel 1991 mi ha spalancato gli antri musicali da cui poi non sono più riemerso e, senza il quale, Il Suono del Dolore probabilmente non sarebbe mai stato realizzato.

 

Il libro è diviso in scene continentali e nazionali: quali sono gli ambienti o gli stati che esprimono meglio lo spirito del Funeral Doom?

Ovviamente non si può prescindere dal Nordeuropa e in particolare dalla Finlandia, la terra in cui il funeral ha preso per la prima volta le sembianze che conosciamo grazie ai Thergothon, per poi essere sviluppato con continuità da band eccezionali come Skepticism e Shape of Despair, senza dimenticare Colosseum, Tyranny e Profetus, tra le altre; d’altro canto il mood malinconico che, a detta degli stessi, pare essere una caratteristica distintiva dei finlandesi, ha rappresentato l’humus ideale su cui sviluppare sonorità che ben si adattano, anche come immaginario visivo, alle gelide distese nordiche.

 

Funeral Doom tricolore: ci consigli qualche nome rilevante?

In questo momento credo che la migliore realtà funeral italiana siano per distacco i Void of Silence, autori di cinque full length di enorme valore pubblicati tra il 2001 e il 2018, seguiti dai varesini Fuoco Fatuo, che non a caso sono stati scelti per supportare nelle due date italiane del prossimo agosto i magnifici Bell Witch. Molto interessanti e peculiari sono progetti solisti come Noctu, Il Vuoto e Shamael, oltre al duo milanese Eurynome, di cui attendo con una certa curiosità il nuovo album. Però non posso fare a meno di raccomandare il ripescaggio uno degli album più importanti nell’economia del sottogenere, non solo a livello nazionale, come Oneiricon – The White Hypnotic dei Ras Algethi, uscito nel 1995.

 

Qual è il futuro del genere?

Il futuro del funeral è assimilabile al passato e al presente, con l’offerta di sonorità rivolte a una nicchia di ascoltatori competenti e fedeli; le band storiche, anche se con tempistiche piuttosto diradate, continuano a proporre album di grande spessore mentre ogni anno emergono realtà nuove capaci di fornire nuovi impulsi e rinfocolare costantemente un movimento musicale che, sia pure sottotraccia come gli compete, continuerà sempre a regalare emozioni a chi avrà la voglia e la pazienza per coglierle.

Il suono del dolore - Trent'anni di funeral doom - Stefano Cavanna

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