15/06/2007

Tutti in classifica ovvero il fascino perverso dei numeri

Tutti le odiano, le temono, le contestano. Ma poi in fondo non ne possono fare a meno. Sono le classifiche: quelle maledette serie di numeri che ormai finiscono per condizionare le nostre vite anche nei risvolti più intimi. Peggio di loro ci sono solo i sondaggi dei politici e le pagelle dei calciatori. Eppure, da qualche anno, sono diventate un parametro di riferimento assoluto, una specie di totem di fronte al quale ci si inchina con devozione sacrale e senza il benché minimo senso critico. Specie quando si parla di forme d’espressione artistica: più facile giudicare un film, un disco, uno spettacolo teatrale, un quadro, in base allo sbigliettamento del botteghino, alle copie vendute, alla quotazione di mercato piuttosto che provare a misurarne il valore assoluto. E così succede che numero uno (e cioè il più bravo, secondo una definizione mutuata dal linguaggio dello sport) diventi proprio chi è riuscito a vendere di più.

Negli anni, questa logica semplicistica ha finito per condizionare così tanto il pubblico da ritorcersi contro chi l’aveva ideata. E cioè l’industria dello spettacolo che, capiti i limiti della brillante trovata, non ha fatto altro che manipolarla ulteriormente a proprio esclusivo beneficio.

Vendono solo le cose che vanno in classifica? Allora, mandiamocele, inidipendentemente dalla volontà del pubblico. Via libera dunque a falsificazioni (più o meno clamorose) dei dati di vendita. E giusto per darvi un esempio di quanto questa prassi distorta abbia finito per togliere qualsiasi valore ai valori ufficiali, pensate a chi vende la pubblicità. Sono i più grandi contapalle della storia: eppure conservano in qualche modo un barlume di onesta dignità perché sapendo di mentire non ci pensano su due volte nel momento in cui propongono sconti vertiginosi per non dire ridicoli (a volte il 90%!!!) ai propri clienti; i quali perfettamente consci di questa logica perversa si adeguano al sistema, pronti, immediatamente, un minuto dopo aver firmato il contratto a considerare oro colato i dati Auditel, le statistiche della Nielsen o le tante altre fonti ‘ufficiali’ con cui la nostra vita viene misurata.

La musica non sfugge a questi meccanismi diabolici. Né poteva essere il contrario con buona pace di chi, all’estremo opposto, considera bello solo ciò che non vende un cazzo. Beautiful losers li chiamavano una volta: oggi alcuni di loro hanno cambiato mestiere e il mondo della musica non ne sente la mancanza anche se molte volte ci piacerebbe che a cambiar mestiere fossero quelli che le classifiche le scalano per davvero. Perché come sempre (o quasi) la verità sta nel mezzo e perché, come spesso mi dice un amico che la sa lunga: “Nella musica, se uno è bravo, prima o poi riesce ad emergere”.

E dunque, facciamo pure gli snob (per me, addirittura, è quasi una professione) però non scordiamoci che tutto sommato le classifiche una loro funzione ce l’hanno e alcune verità le dicono. Specie se le leggessimo con intelligenza o se le valutassimo con un po’ più di ironia. Proprio come hanno fatto in questi giorni Federico Bini (giornalista Mediaset) e Alberto Tonti (architetto, critico musicale ed ex-direttore dei programmi di Videomusic) con Il libro delle classifiche (Garzanti, 256 pagg., 12mile lire).

Già dalla prefazione, i due autori fanno capire la loro posizione smitizzante invitandoci a osservare il tutto “con sguardo disincantato per non dare ai numeri quel potere di verità assoluta che non hanno”. Perché “le statistiche in generale sono come ombre proiettate sul fondo di una caverna da una luce che illumina alle spalle la realtà: spostate un poco quella luce e l’ombra si deforma.

Anche la realtà si sposta in continuazione e quell’ombra cambia con lei”.

Il loro elenco di classifiche (“senza premi finali, né gloria, onori o medaglie. Soprattutto classifiche che alla fine non hanno né vincitori né vinti”) è davvero vario: ordinate per argomento in ordine alfabetico trovate elenchi di dati ufficiali (regioni con più abitazioni abusive o nazioni con il maggiore quantitativo di plutonio per fabbricare armi nucleari), di eccentriche curiosità (i luoghi di vacanza preferiti dai gay, i paesi dove si sono avuti più attacchi di pirati), di opinioni di celebrità varie. Tra queste, Renzo Arbore ci fa conoscere le sue canzoni preferite di sempre (al primo posto Stardust), Caterina Caselli mette in ordine quelli che per lei sono i cantanti più bravi (primo Bocelli, secondo Bono, terzo James Brown), Gino Paoli le cantanti donne (Ella Fitzgerald, quarta, Billie Holiday, sesta). Poi ancora, sempre restando in campo musicale, Ricky Gianco ci dà la sua classifica dei chitarristi più bravi (ai primi tre posti, James Burton, Joe Walsh, Chet Atkins).

I più spiritosi sono Antonio Ricci (che piazza in terza posizione tra le cose più detestate, i pantaloni in pelle di Claudio Baglioni), Alba Parietti (che elegge rompiscatole del secolo la mamma di Sigmund Freud) e Gino & Michele (che segnalano tra le cose che ci hanno cambiato la vita in peggio le custodie dei cd che si rompono quando cadono per terra).

La classifica a pagina 179 dei dischi rock più venduti della storia ha in qualche modo stimolato la nostra curiosità. E così abbiamo provato ad andare oltre il fatto che Thriller di Michael Jackson e il Greatest Hits degli Eagles fossero i best selling albums of all time (27 milioni di copie each). Ma sapevate che dietro di loro ci stavano The Wall dei Pink Floyd, il quarto dei Led Zeppelin e il best di Billy Joel? O che la avvenente cowgirl Shania Twain sia in ottava posizione con Come On Over (18 milioni di copie vendute solo negli Usa)?

E se tutti sanno che Dark Side Of The Moon è l’album con la maggiore longevità in classifica, non molti si ricordano che tra i singoli la mitica White Christmas di Bing Crosby (30 milioni di copie vendute) ha stazionato per qualche decennio al primo posto prima che lo scaltro Elton John con Candle In The Wind riuscisse a piazzare ben 34 milioni di pezzi.

Sempre parlando di singoli brani, quanti sanno che tra le canzoni incise dal maggior numero di artisti Summertime e Silent Night sono al primo posto (999 versioni)? Che Yesterday è il pezzo dei Beatles con il maggior numero di cover (441), che Night In Tunisia uno dei classici di jazz più suonati e Will The Circle Be Unbroken uno dei brani country più amati?

E a proposito di country, sapevate che in America Garth Brooks ha venduto poco meno dei Beatles e più dei Led Zeppelin?

E se tutti abbiamo in mente il trionfo di Carlos Santana e del suo Supernatural agli ultimi Grammy Awards forse non sappiamo che il personaggio più premiato è stato il direttore d’orchestra ungherese Sir Georg Solti (31 grammofonini) seguito da Quincy Jones (26), Vladimir Horowitz (25), Henry Mancini (20) e Pierre Boulez (19). Il primo cantante è Stevie Wonder (al sesto posto), la prima donna Aretha Franklin (15 Grammy, decima posizione). E come commentare il fatto che gente come Jimi Hendrix, Bob Marley, Neil Young, Patti Smith, Led Zeppelin, Creedence Clearwater Revival, Beach Boys, Chuck Berry, Byrds, Patsy Cline, Jackson Browne, Grateful Dead o Jefferson Airplane non abbiano mai ricevuto neanche un Grammy?

E i Beatles, di cui oggi si parla tanto? Sapevate che il loro album più venduto è il White Album? Sempre che la nuova compilation 1 (che staziona in vetta alle classifiche di tutto il mondo) non cambi ancora una volta le regole del gioco.

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