17/11/2009

UN TALENTO DA SCOPRIRE PETRINA

Questo è il mio piccolo regno, dice facendomi accomodare nella sua sala studio in cui campeggia un bel pianoforte a mezza coda circondato da una tastiera, un’organetta (e cioè una vecchia fisarmonica tedesca, senza mantice), qualche piano toy e altri strumenti giocattolo. Siamo a poche centinaia di metri dal centro storico di Padova e lei, Debora Petrina, mi spiega che il suo album di debutto In Doma è stato inventato qui. «Vedi quel muro bianco lì?», sorride. «È il fondale della foto di copertina». Proprio come la Patti Smith di Horses (ma stavolta non c’è l’obiettivo di Robert Mapplethorpe), Debora si è dunque fatta immortalare in versione domestica, in questo caso con tanto di improbabili bigodini e ferri da maglia. «In Doma» spiega «può suonare come storpiatura del latino in domo, dentro casa, perché il disco è nato proprio all’interno di queste quattro mura. Ma può anche essere la contrazione di “indomita” perché riflette il mio carattere e la mia determinazione. Per scherzo, ho inserito una ghost track che rifà il verso a La bisbetica domata musicata da Cole Porter».
Il suo originalissimo progetto artistico le è valso il Premio Ciampi 2007 («Il momento in cui ho capito che le mie canzoni potevano essere portate su un palcoscenico e proposte al pubblico»), il Premio Mei 2009 come rivelazione indie-pop, il riconoscimento della critica specializzata e l’inserimento di un paio di brani nella playlist dei preferiti di David Byrne (www.davidbyrne.com/radio). Non stupisce che una delle menti più eclettiche e illuminate del pop-rock internazionale si sia infatuato della musica di Petrina. Intrigante mix tra lo sperimentalismo di Laurie Anderson, le melodie oblique (ma anche la spiccata femminilità) della prima Tori Amos e la giocosa autoironia delle CocoRosie, l’arte di Petrina non passa inosservata; così come il suo personaggio, unico nel panorama musicale nostrano, con talento, visione e caratura artistica di livello internazionale. Non a caso, quando Debora qualche mese fa è stata invitata a New York, ospite di The Stone (il locale di John Zorn) o a San Francisco (al Cafè du Nord) ha ottenuto consensi incondizionati. «Ho ricevuto lì i migliori complimenti della mia carriera. Una vecchia signora m’ha detto che ero la nuova Laurie Anderson e un ragazzo mi ha addirittura paragonata alla pittrice Frida Khalo; non lo dimenticherò mai». Il sorriso di Debora, i suoi occhi vivaci, la sua mente scattante e la sua incessante curiosità mi ricordano proprio quelli di Laurie Anderson. E il pensiero corre all’agosto del 1990, quando Laurie (non ancora compagna di Lou Reed) mi mostrava il suo appartamento/studio a Canal Street, la zona più radical chic della parte sud di Manhattan, con lo stesso orgoglio e lo stesso contagioso entusiasmo di Petrina. Via Palestro non è proprio Canal Street, ma nella casa padovana ho percepito le stesse vibrazioni artistiche che si propagavano nel posto di Laurie tanti anni prima. Come la Anderson, Debora è artista preparata ed eclettica. Diplomata al conservatorio, con alle spalle numerose esperienze nel campo della musica colta, si muove con naturalezza tra l’avanguardia e il rock d’autore. «Durante gli anni del conservatorio» ricorda «mi capitava di studiare a casa. A volte, stufa degli esercizi, iniziavo a storpiare i brani altrui, da quelli dei classici della musica sino alle cose pop-rock. Piano piano, quelle bozze si sono trasformate sino a perdere le caratteristiche originali e a diventare, a tutti gli effetti, pezzi di mia composizione». Talento precocissimo, Debora ricorda le sue prime cotte musicali. «Danzavo insieme a mia sorella sulla musica dei Led Zeppelin, e mettevo le mie dita sul piano di una stufa a legna, facendo finta di suonare il pianoforte…». Pianoforte, musica ma anche danza («La mia vera passione, una cosa istintiva e naturale che continua a riempire la mia vita e che mi ha dato stimoli e idee anche sul versante musicale») e canto. La voce di Debora ha una gamma di timbri e colori stupefacente: può essere dolce e melodiosa, profonda e sexy, divertita e ironica. Spesso, cambia in modo improvviso nel medesimo brano come una frequenza radiofonica impazzita che salta da un canale all’altro. La stessa verve, Petrina la mostra sul palco. L’ho potuta ammirare quest’estate a Savona, ospite dell’edizione 2009 di Just Like A Woman ma anche in diversi filmati su YouTube. E l’ho ascoltata anche in quelle che lei chiama «dis-cover», versioni ultra-personalizzate di brani di altri autori, dal Battisti di Prendi fra le mani la testa al Nick Drake di River Man. Sempre, ma specie nella semplice formula piano-voce ogni tanto impreziosita dai curiosi strumentini giocattolo che lei adora («Amo le cose piccole, aiutano a sviluppare la creatività»), Debora incanta per eleganza e personalità, per precisione ed espressività, per originalità e bravura.
«Quando mi fai intervistare Tori Amos?», mi chiede a bruciapelo dopo che le ho raccontato i miei trascorsi con la cantautrice della North Carolina.
«E tu quando vieni ad aiutarmi nel mio spettacolo dedicato a Joni Mitchell?», ribatto io.
«Quando vuoi», dice lei.
Su quel nome, ci troviamo magicamente d’accordo: la ex regina degli hippie, la inimitabile signora del canyon ancora una volta ha compiuto il miracolo.

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