15/05/2007

Una tromba italica alla corte di Santana

sottotitolo

Una sera ricevo una telefonata. Dall’altra parte del filo una voce mi chiede quanto deve pagare per vedersi pubblicata un’intervista su Jam. “Ma tu, chi sei?”, chiedo io, francamente divertito.

“Sono un trombettista che ha passato gli ultimi dieci anni all’estero, sai tra Stati Uniti e Sud America. Al mio attivo ho cinque album, due libri e un sacco di collaborazioni: ho suonato, tra gli altri, con Santana, John Lee Hooker, Greg Allman. Eppure, qui in Italia nessuno mi dà retta.”

“Mandami una e mail”, gli dico, pensando di verificare con calma l’attendibilità del tutto.

Dopo un paio di giorni ricevo le informazioni richieste più un pacchetto contenente il materiale cui si faceva riferimento nel corso del primo contatto. È tutto vero, dunque: e vale la pena saperne di più. Stavolta a telefonare sono io. Obiettivo: approfondire la storia di Gabriel Oscar Rosati, nato a Modena da una famiglia abruzzese. Professione: musicista e giramondo. “A sette anni già suonavo la tromba”, mi dice. “Si può dire che per questo ‘ferro’ provi da sempre una passione quasi inspiegabile eppure pressoché totalizzante. Ho frequentato il Conservatorio di Pescara che ho terminato piuttosto giovane (a 17 anni!, nda). Successivamente, provenendo da una famiglia di insegnanti, mi sono trasferito a Roma dove, dopo aver fatto il militare nei Carabinieri, ho vinto un concorso e sono entrato nel mondo della scuola: insegnavo musica.” Gabriel capisce subito che quell’ambiente gli sta stretto. “Mi sono licenziato dopo meno di tre anni. Non avevo mai smesso di suonare e, quindi, conciliare le serate con l’impegno della scuola non era per niente facile. E poi, quasi contemporaneamente, ho avuto la possibilità di fare un programma in Rai: suonavo nell’orchestra.”

Quello è un momento decisivo della vita di Gabriel. Un po’ perché suonare in un’orchestra della Rai era sempre stata una sua ambizione. E un po’ perché quell’occasione gli fa capire chiaramente che il suo destino è quello di fare il musicista. “Ma l’Italia e l’Europa non offrivano lo scenario artistico che cercavo. E così, nel 1990, ho preso il coraggio a due mani: ho venduto tutto ciò che avevo e me ne sono andato negli Stati Uniti.”

Per Gabriel è quasi un salto nel vuoto. Che, però, ben presto si rivela la mossa più importante della carriera. “Mi sono leteralmente buttato: il mio unico aggancio era uno zio che aveva un hotel a El Paso, Texas, al confine con il Messico. Attraverso lui, ho conosciuto un ragazzo che è poi diventato mio amico e che mi ha dato una mano. Sono stato residente in America dal 1990 al 1997. Ho fatto di tutto, mi sono sposato e ho divorziato, ho girato moltissimo e studiato altrettanto. I primi mesi li ho passati a Los Angeles dove ho frequentato un corso di musica presso l’università. Poi sono finiti i soldi. Ma gli Stati Uniti sono un grande paese, specie per le arti”.

Le occasioni di suonare e farsi sentire sono tante. E Gabriel non se le fa sfuggire. La tromba è una compagna inseparabile. “Dopo Los Angeles mi sono spostato a San Francisco, una città bellissima nella quale ho abitato per circa tre anni. Dopo un inizio un po’ duro che, però, mi ha temprato e mi ha dato la possibilità di vedere il mondo sotto una prospettiva diversa, sono arrivate le prime vere occasioni.”

Gabriel, infatti, viene accettato senza problemi dalla comunità artistica americana. “Mi è capitato spesso di entrare nei locali con il mio strumento e di chiedere di unirmi alla band. I musicisti mi hanno sempre accolto bene e questo ha aumentato la mia fiducia.” Oltre ad ampliare la sua visione musicale. “A San Francisco ho lavorato molto nel giro del soul e del R&B. A volte ero l’unico bianco in gruppi formati solo da neri. In quel periodo ho suonato parecchio con la band di Deacon Jones. È stato grazie a lui che ho conosciuto John Lee Hooker. Gli è piaciuto il suono della mia tromba e mi ha voluto in un suo disco. Quando ho inciso i pezzi lui non era in sala: c’è venuto successivamente e mi è sembrato che avesse apprezzato il mio intervento.”

È un buon momento per Gabriel. Dopo esser stato in tour per tutti gli Stati Uniti con i Checkmates, un band di soul che era stata molto popolare negli anni 60 e 70, c’è l’incontro con Jorge Santana, fratello di Carlos. “Ho lavorato parecchio con Jorge, direi circa un annetto. Poi, visto che Jorge è anche quello che recluta i musicisti per Carlos e spesso ne organizza il gruppo, sono stato inglobato nei Santana. Era il periodo in cui nella band c’era una sezione fiati. Abbiamo provato moltissimo ma poi, in realtà, abbiamo fatto soltanto poche date. Dopo di che Carlos ha deciso di fare a meno della sezione fiati. Non ho avuto modo di conoscerlo in maniera approfondita perché lui alle prove, di fatto, non ci veniva mai. La responsabilità e la gestione della band erano nelle mani di Jorge.”

Dopo la California del Nord e una fugace collaborazione con Greg Allman (“Quando mi ha chiamato”, ammette oggi con onestà, “non sapevo manco chi fosse. Poi, ho preso in mano un’enciclopedia del rock e ho capito che avevo a che fare con un mito. Da allora mi sono comprato tutti i dischi degli Allman Bros.”) Gabriel ottiene un ingaggio interessante a Las Vegas (dove, ancora oggi, ha la residenza). “Lì, ho avuto occasione di coronare un altro mio sogno. Sono riuscito a riunire alcune dei vecchi musicisti dell’orchestra di Perez Prado. Molti di loro sono ultraottantenni ma che hanno mantenuto lo stesso entusiasmo dei giorni migliori: è stata un’esperienza entusiasmante.”

A Las Vegas Gabriel si rituffa nel suo mondo musicale preferito, quella della musica latina: dalla salsa al nuovo Brasile. E comincia anche a incidere dischi a suo nome con un progetto, Brazilatafro, che è la summa delle sue passioni (un terzo volume è stato anche pubblicato in Italia, vedi www.bumshiva.com). La sua tromba latina diventa un riferimento per molti. Tanto che la Mel Bay (prestigiosa casa editrice americana specializzata nella didattica musicale) gli pubblica ben due manuali (Latin American Trumpet Music e The Salsa Trumpet) e la rivista Jazz Player gli dedica una copertina (numero di giugno/luglio 1999) con cd accluso.

Oggi Gabriel si divide tra Stati Uniti, Sud America e Italia, dove risiede e continua a lavorare: tra le altre cose ha appena finito di trascrivere, per le edizioni Curci, alcuni tango di Astor Piazzolla. Perché proprio un altro eroe musicale d’Argentina è il vero idolo di Gabriel. “Non suona la tromba ma incorpora esattamente lo spirito musicale al quale ambisco: Gato Barbieri è forse il musicista che io apprezzo maggiormente e al quale mi ispiro.”

E chissà che, dopo Enrico Rava, anche un’altra tromba italiana sia destinata ad avere più riconoscimenti all’estero che non in patria.

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