Se il precedente terzo album omonimo del 2012 ha rappresentato per la giovane artista irlandese la definitiva consacrazione nonché una prima maturità artistica, con l’uscita di Architect (Kaiserlich Koeniglich/Bird Records) si può parlare tranquillamente di “svolta”. Questo nuovo piccolo gioiello post-moderno è infatti figlio diretto del trasferimento del folletto irlandese da Londra a Berlino; città che ha suscitato nell’artista un fascino incredibile, tanto da modificarne e “plasmarne” lo stile.
Sembrano alquanto lontani i tempi di Spoons (Island Records), esordio datato 2007, in cui la cantautrice si divertiva a combinare la tradizione folk del suo paese d’origine all’irruenza più “rock” della prima Alanis Morissette e Tori Amos, confidando in una voce di rara caratura e in una tecnica chitarrista unica e incredibilmente virtuosa (dovuta anche a un terribile incidente alla mano destra con un tosaerba); nonché a una straordinaria resa live della sua musica fatta di esibizioni energiche e convulse, merito di tanti anni di gavetta nei pub.
La nuova Wallis Bird, irrequieta e poco propensa a definizioni e restrizioni di campo, si diverte a dare una nuova veste ai suoi pezzi, sospesi tra richiami minimalisti dance-house e dubstep, attingendo dalle sonorità dei più eclettici Dj della capitale tedesca, da sempre epicentro mondiale di avanguardie musicali legate al mondo dell’elettronica. Il produttore è ancora una volta Marcus Wuest, bravo a non “soffocare” di arrangiamenti ridondanti il canto della Bird, che qui si mostra sempre più espressivo e dolente. Il primo singolo posto in apertura del disco è il danzereccio Hardly Hardly, brillante house-pop d’autore che potrebbe tranquillamente dominare le classifiche europee (e lo farà?), grazie alla sua irresistibile e ammiccante frenesia ritmica. Nelle dieci tracce di Architect, si passa con estrema facilità dal folk-rock di Daze – stupefacente, la vera perla dell’album – alla techno martellante di Gloria, fino al bucolico intimismo per voce e chitarra di Hammering.
Non meno importante il titolo dell’opera, alquanto rappresentativo, che l’artista spiega brevemente così: “Avevo bisogno di trovare una casa; avevo bisogno di costruire una casa. Questo è Architect” . Il messaggio diretto all’ascoltatore è quello di riappropriarsi della proprio vita, scrollandosi di dosso il passato e mirando a un futuro più libero e senza alcun tipo di restrizioni. Un po’ come accade nella sua musica.
La carriera del folletto irlandese si arricchisce di un affascinante tassello dallo stile eclettico e che segna un netto cambio di passo rispetto alle prove precedenti. Piacerà poco ai puristi, conquisterà forse di più un’altra tipologia di pubblico; saranno i suoi spettacoli a mettere tutti d’accordo. Non ci resta quindi che aspettare il 14 maggio per l’unica data italiana di questo tour alla Salumeria della Musica di Milano.