14/04/2014

Wallis Bird

Il folletto irlandese si trasferisce a Berlino e sposa le sonorità elettroniche della capitale tedesca
Se il precedente terzo album omonimo del 2012 ha rappresentato per la giovane artista irlandese la definitiva consacrazione nonché una prima maturità artistica, con l’uscita di Architect (Kaiserlich Koeniglich/Bird Records) si può parlare tranquillamente di “svolta”. Questo nuovo piccolo gioiello post-moderno è infatti figlio diretto del trasferimento del folletto irlandese da Londra a Berlino; città che ha suscitato nell’artista un fascino incredibile, tanto da modificarne e “plasmarne” lo stile. 
 
Sembrano alquanto lontani i tempi di Spoons (Island Records), esordio datato 2007, in cui la cantautrice si divertiva a combinare la tradizione folk del suo paese d’origine all’irruenza più “rock” della prima Alanis Morissette e Tori Amos, confidando in una voce di rara caratura e in una tecnica chitarrista unica e incredibilmente virtuosa (dovuta anche a un terribile incidente alla mano destra con un tosaerba); nonché a una straordinaria resa live della sua musica fatta di esibizioni energiche e convulse, merito di tanti anni di gavetta nei pub. 
 
La nuova Wallis Bird, irrequieta e poco propensa a definizioni e restrizioni di campo, si diverte a dare una nuova veste ai suoi pezzi, sospesi tra richiami minimalisti dance-house e dubstep, attingendo dalle sonorità dei più eclettici Dj della capitale tedesca, da sempre epicentro mondiale di avanguardie musicali legate al mondo dell’elettronica. Il produttore è ancora una volta Marcus Wuest, bravo a non “soffocare” di arrangiamenti ridondanti il canto della Bird, che qui si mostra sempre più espressivo e dolente. Il primo singolo posto in apertura del disco è il danzereccio Hardly Hardly, brillante house-pop d’autore che potrebbe tranquillamente dominare le classifiche europee (e lo farà?), grazie alla sua irresistibile e ammiccante frenesia ritmica. Nelle dieci tracce di Architect, si passa con estrema facilità dal folk-rock di Daze – stupefacente, la vera perla dell’album – alla techno martellante di Gloria, fino al bucolico intimismo per voce e chitarra di Hammering
 
Non meno importante il titolo dell’opera, alquanto rappresentativo, che l’artista spiega brevemente così: “Avevo bisogno di trovare una casa; avevo bisogno di costruire una casa. Questo è Architect” . Il messaggio diretto all’ascoltatore è quello di riappropriarsi della proprio vita, scrollandosi di dosso il passato e mirando a un futuro più libero e senza alcun tipo di restrizioni. Un po’ come accade nella sua musica. 
 
La carriera del folletto irlandese si arricchisce di un affascinante tassello dallo stile eclettico e che segna un netto cambio di passo rispetto alle prove precedenti. Piacerà poco ai puristi, conquisterà forse di più un’altra tipologia di pubblico; saranno i suoi spettacoli a mettere tutti d’accordo. Non ci resta quindi che aspettare il 14 maggio per l’unica data italiana di questo tour alla Salumeria della Musica di Milano. 

 

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