Il caso ha fatto scalpore. All’inizio dello scorso mese di giugno, durante uno dei concerti dell’interminabile tour americano con la E Street Band, Bruce Springsteen ha proposto un nuovo brano esplicitamente ispirato a una brutta faccenda accaduta nel Bronx poco più di un anno fa, il 4 febbraio 1999.
Si tratta della storia di Amadou Diallo, un ragazzo ventiduenne proveniente dall’Africa Occidentale (Guinea). Durante una perquisizione di quartiere, quattro poliziotti bianchi fanno irruzione nell’appartamento di Diallo, scambiano il suo portafoglio per una pistola e fanno fuoco. Dei 41 proiettili esplosi, ben 19 vanno a bersaglio uccidendo il giovane africano.
Tutti e quattro gli agenti della polizia newyorkese vengono prosciolti dall’accusa di omicidio preterintenzionale. E poco dopo tornano in servizio.
Non siamo all’assurdo del caso Rodney King, ma poco ci manca. Allora, nel 1991, un nero (Rodney King appunto) è fermato da una pattuglia della polizia stradale di Los Angeles. Una volta fuori dalla sua automobile, viene bloccato e percosso con inaudita violenza da quattro poliziotti (che coincidenza, sempre in quattro contro uno…). Non si sa come, ma una stazione televisiva locale entra in possesso di un videotape che mostra (pur se in modo approssimativo) tutta la scena. Quando la registrazione viene mandata in onda si scatenano reazioni e polemiche vio-lentissime. Che sono nulla in confronto a quello che succede un anno dopo quando una giuria formata prevalentemente da bianchi anziani emette il proprio verdetto sui quattro poliziotti: non colpevoli.
È il 29 aprile 1992.
A Los Angeles esplode l’inferno: si scatenano rivolte, rapine e distruzioni. Gli incendi successivi fanno tornare alla mente degli abitanti della ‘città degli angeli’ gli scontri del 1965 ai Watts. I riots sono domati con determinazione ma la situazione è caldissima. Ancora oggi, a quasi dieci anni distanza, c’è chi non ha dimenticato.
Il caso Diallo ha avuto sicuramente un’eco minore sui mass media sia americani che internazionali. Ma l’affaire non è passato inosservato a un artista come Springsteen, le cui antenne sono sempre in costante e attenta ricezione.
E così, il 4 giugno, durante il concerto alla Philips Arena di Atlanta, Georgia, quando più o meno ci si trovava a un terzo del suo lungo show (oltre 3 ore di musica) Bruce senza menzionare il nome di Amadou Diallo ha semplicemente annunciato: “Questa è una nuova canzone: si intitola American Skin”, e ha subito proposto per la prima volta in pubblico il nuovo brano. A uno a uno lui e i membri della E Street Band si sono avvicinati al microfono per l’introduzione ‘a cappella’ del pezzo che parte con le parole “41 shots” (41 colpi) ripetute ad libitum. E poi prosegue con strofe come “Is this your wallett? Is this your life?” (“È questo il tuo portafoglio? È questa la tua vita?”) e si conclude con l’esplicita affermazione “You can get killed just for living in your american skin” (“Ti possono ammazzare solo perché vivi nella tua pelle da americano”).
American Skin è stata accolta con un boato dal pubblico di Atlanta che ha capito subito di cosa parlava la canzone. Il pezzo, per altro, è piaciuto moltissimo anche ai vecchi fan del boss alcuni dei quali hanno en-tusiasticamente commentato che si tratta di una delle più belle canzoni scritte da Springsteen negli ultimi 15 anni.
Non tutti però la pensano in questo modo. A cominciare da Patrick J. Lynch, presidente dell’associazione dei poliziotti di New York il quale, attraverso il sito ufficiale della sua organizzazione (www.nycpa.org/), ha testualmente dichiarato: “Il cantante Bruce Springsteen ha presentato in concerto un brano intitolato American Skin il cui titolo e le cui parole paiono sostenere la tesi che l’incidente di cui è rimasto vittima Amadou Diallo abbia avuto una motivazione razziale. Sintomatica è la costante ripetizione delle parole ‘41 shots, 41 shots’. Io trovo vergognoso che Springsteen utilizzi questo tragico caso per scopi personali proprio in un momento difficilissimo sia per la polizia che per l’intera comunità newyorkese. Suggerisco ai tutori dell’ordine di boicottare i concerti di Bruce Springsteen e di evitare qualsiasi servizio di sicurezza durante i suoi spettacoli. In particolare, raccomando a tutti di non partecipare ai suoi prossimi concerti al Madison Square Garden di New York”, dove Bruce ha suonato per 10 giorni consecutivi.
Non ricordo una presa di posizione così dura da parte della polizia americana dai tempi di N.W.A e della celeberrima Fuck The Police o, peggio ancora, da quelli di Cop Killer (Ice-T). Ma allora, i protagonisti erano gangsta rapper neri e incazzati e quindi dall’altra parte della barricata. Oggi invece, il nemico pubblico numero uno dei cops è un personaggio amato dalla middle America, idolatrato dai blue collar che lo avevano eletto unico, vero Boss, ambito dalle femmine incantate dal suo rock ruvido e dai suoi atteggiamenti da macho di provincia. Addirittura uno che, seppur involontariamente, aveva regalato a Ronald Reagan l’inno presidenziale quando cantava a squarciagola, con orgoglio, di “essere nato negli Usa”.
Certo, superata la fatidica soglia dei 50 anni (peraltro portati benissimo) anche Sprin-gsteen è cambiato. A ben vedere, la sua attitudine musicale è già da qualche anno diversa. Basti pensare al suo ultimo lavoro in studio, quel The Ghost Of Tom Joad in cui la crescente e incontenibile cotta per Woody Guthrie si è manifestata in modo esplicito. E proprio al vecchio, inossidabile Guthrie (eroe di tanti nostri eroi e sempre più di attualità come dimostrano i recentissimi lavori-tributo di Ani DiFranco e della coppia Billy Bragg/Wilco) Springsteen pare sempre più voler assomigliare. E anche se Jonathan Demme ha portato la cinepresa al Madison Square Garden per vincere la sua scommessa (e cioè quella di fare finalmente un film/concerto del Boss) e Little Steven non esclude un album di nuovo materiale con la E Street Band, a noi pare che Bruce, come dimostrato con American Skin, si senta ormai, proprio come Woody, un cantore di fatti sociali. Quasi che la famosa frase appiccicata sulla chitarra di Guthrie (“Questa è l’arma che uccide i fascisti”, che oggi sembrerebbe suonare così datata) in fondo in fondo potrebbe essere più attuale delle grandi sudate, delle interminabili cavalcate in concerto, della leggendaria ruvidezza tecnica dei fedeli E Streeters.
Qualcuno lo ha accusato di essersi imborghesito, altri di aver tradito il rock’n’roll: oggi la polizia lo ha persino degradato dal ruolo di Boss. Eppure a noi, che siamo un po’ snob, Springsteen non è mai stato così simpatico.