01/07/2011

YES WE CAN

Parlano Alan White e Jon Anderson

La voce di Alan White, batterista degli Yes ormai dal 1973 (il membro più stabile della band a parte l’inossidabile Chris Squire), arriva dall’America come un flebile lamento, alla faccia dei satelliti e di Skype. È sufficiente, però, a trasmettere la sua soddisfazione. In tempi in cui molti artisti di area classic rock preferiscono adagiarsi sugli allori con tour eterni pur di non rischiare la figuraccia in studio, gli Yes trovano la forza di mettersi in gioco con Fly From Here, primo disco a ben 10 anni da Magnification. «Prima di deciderci a incidere l’album» spiega Alan «abbiamo lavorato insieme per un po’, per raggiungere un certo grado di confidenza. Dopo qualche tempo abbiamo cominciato ad accarezzare l’idea di un nuovo progetto, anche perché ce lo chiedevano tutti».
Non deve essere stato facile, e stavolta anche più del solito, pur trattandosi di una band in cui il tormento è all’ordine del giorno. La crisi d’asma di Jon Anderson, sopraggiunta nel 2008 quando il tour per il quarantennale era quasi pianificato, è stata una bella botta. «Non abbiamo mai avuto l’intenzione di buttare Jon fuori dalla band. Ma avevamo delle date fissate, i fan volevano ascoltarci e d’altro canto non avevamo idea di quanto potesse essere lunga la sua convalescenza. Per questo abbiamo reclutato un supplente».
White si riferisce a Benoit David, vocalist di una tribute band degli Yes scovato da Squire, che in tre anni di lavoro ha avuto modo di conquistarsi la fiducia dei veterani e un posto ufficiale nella band. «Benoit si è fatto le ossa in tour con noi, ed è stato ottimo anche in studio, lavorando benissimo con le armonie vocali insieme a Chris». Come sono adesso i rapporti con Anderson e l’altro grande assente, Rick Wakeman? «Non vedo Jon da alcuni mesi, ma siamo in contatto via mail e abbiamo anche parlato al telefono un paio di volte. Rick, invece, non lo sento da un paio di anni».
Gli Yes sembrano sempre più una sorta di band aperta, con musicisti che entrano ed escono con gran facilità, e secondo alcune voci un ritorno di Jon e Rick in futuro non è da scartare. «Tutto è possibile, non escludiamo niente a priori. Ma al momento la band suona molto, molto bene, sta andando tutto a gonfie vele e siamo tutti molto coinvolti. Dunque non vedo questa ipotesi a breve termine».
Giusto, torniamo allora a Fly From Here. Colpisce subito la lunga suite che occupa mezzo disco e che tuttavia non è roba nuova ma risale addirittura al 1980. «Quando Trevor Horn e Geoff Downes rimpiazzarono Anderson e Wakeman, ci portarono un demo di questo brano che avevano composto. Pensammo anche di registrarlo e pubblicarlo su Drama, ma per qualche ragione non lo facemmo, anche se lo suonavamo nel Drama Tour. Così, quando ci siamo incontrati per pensare a un nuovo disco avendo chiaro in mente che avremmo lavorato di nuovo con Trevor Horn seppure nelle sole vesti di produttore, ci siamo ricordati di questa suite epica. L’abbiamo recuperata ed espansa, e credo sia un gran pezzo».
Come sono avvenute le session, sia sul piano compositivo che esecutivo? «Abbiamo usato diversi sistemi. Alcune cose le abbiamo registrate tutti insieme, in altri casi qualcuno di noi aveva delle idee che ha sottoposto all’attenzione della band. Life On A Film Set, per esempio, anch’essa scritta da Trevor e Geoff, è una cosa nuova, mentre The Man You Always Wanted Me To Be proviene da un album a cui Chris ha lavorato con Steve Hackett, però alla fine non è stato usato (il progetto si chiama Squackett e, sebbene sia finito da tempo, non è ancora stato pubblicato, nda). L’ha scritto insieme a Gerard Johnson e Simon Sessler, due suoi collaboratori. Le parti di Steve Howe erano in buona parte già strutturate, mentre Into The Storm è partita da una jam che abbiamo avviato io e Chris, a cui poi ciascuno ha aggiunto dei pezzi». Into The Storm è anche l’unico brano nel quale compare il nome di Oliver Wakeman, figlio di Rick, che fino a pochi mesi fa era il tastierista titolare. «Oliver è un ottimo amico e non c’era niente che non andasse con lui, infatti alcuni dei suoi contributi sono rimasti nell’album, credo su We Can Fly. Ma Geoff era già stato nella band e conosceva quel suono particolare di cui abbiamo bisogno per gli album, dunque ci è parso più logico richiamare lui e avere un risultato più diretto».
Qual è stato il ruolo di Trevor Horn, oltre a quello di produttore? «Ha portato idee in continuazione e ha passato molto tempo in studio, è molto accurato in tutto ciò che fa: la scelta della musica, il tipo di sound da usare, cosa è buono per i fan degli Yes… con la sua esperienza sa riconoscere al volo queste cose. Infine, ha scritto buona parte dei testi». E di cosa parlano? «Beh, dovresti chiederlo a lui, non è la mia specialità. Ma credo che Fly From Here sia un viaggio sulla metafora del volo, e comunque l’album intero contiene un’ampia gamma di ispirazioni».
E così alla fine si è ricomposta per magia, a parte il cantante solista, la line up di Drama, un disco di 30 anni fa che molti fan amano ma che ha sempre avuto pochissimo spazio nei concerti perché non era cantato da Jon. «In effetti credo che alcune parti di questo nuovo album siano molto vicine a Drama, anche se adesso siamo ancora più attenti al sound. Trovo quel disco del 1980, comunque, più che degno di apparire nella storia degli Yes. È stato un po’ trascurato perché alcuni membri degli Yes non erano nella band al tempo della sua creazione, ma stiamo cercando di affrancarci da questi limiti, vedi anche Steve Howe che adesso non si fa più alcun problema a suonare le canzoni che faceva Trevor Rabin».
Quindi stavolta possiamo aspettarci un live set sorprendente? «Faremo del nostro meglio per compiacere i nostri fan, con qualche chicca. Dal 4 luglio al 4 agosto abbiamo un lungo tour americano insieme agli Styx. Arriveremo in Europa in novembre e dicembre: suoneremo a Milano il 24 novembre e a Trieste il giorno dopo».

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