16/05/2007

Yusuf

An Other Cup – Polydor / Universal

“Sento sia giusto tornare a fare musica e cantare della vita in questo mondo così fragile. Credo sia importante per me essere in grado di attraversare i gap culturali che altri hanno paura di attraversare”. Così parlò l’artista un tempo noto come Cat Stevens. Quaranta milioni e passa di copie di album venduti in neanche dieci anni (tra il 1970, anno di uscita dell’lp Mona Bone Jakon, e il 1978, quando pubblicò Back To Earth) e poi tanti saluti ai fan e al mondo della musica. Per ventotto anni l’uomo ribattezzatosi Yusuf Islam si è occupato di iniziative benefiche, della realizzazione di una scuola islamica a Londra, ma anche di musica. Strettamente a contenuto religioso, sia chiaro. Ha inciso diverse guide didattiche sulla vita del Profeta, ha registrato brani come la bella God Is The Light per compilation di Paesi islamici ma anche un brano come The Little Ones, dedicato ai bambini rimasti orfani durante la guerra nell’ex Jugoslavia. Gli eventi dell’11 settembre 2001 e il conseguente clima da scontro di civiltà l’hanno spinto a riprendere in mano una chitarra, per superare quei “gap culturali”, come li chiama lui. Sarà stata l’età e quindi l’addolcirsi di certe posizioni dogmatiche, sarà stato come ha raccontato lui (vedi articolo su questo Jam) aver trovato lo strumento lasciato dal figlio sul divano di casa, ma in un paio di anni Yusuf si è rimesso a scrivere canzoni buone anche per noi occidentali, fruitori di musica “pop” e “rock” e mica tanto interessati alle illuminazioni spirituali. Spiritualità che, attenzione, è presente anche in An Other Cup (scritto proprio così, e non come si dovrebbe, e cioè Another Cup; sembra che Yusuf abbia voluto sottolineare così una “diversità culturale” esistente tra i nostri bar – o pub – e il consumo del caffè, peraltro importato proprio dal mondo arabo, come lo si pratica alla Mecca e dintorni). La breve When Butterflies Leave, 41 secondi di spoken word su base musicale, è una poesia di un poeta sufi dell’Alto Medioevo, mentre la bella The Beloved (un brano ritmato dai forti sapori medio orientali con la presenza di Youssou N’Dour alla seconda voce) è dedicata al Profeta.

An Other Cup presenta però altri motivi di interesse: se non è un ritorno al menestrello acustico di ispirazione hippie dei primi 70, è sicuramente migliore di tanti dei suoi ultimi dischi di quel decennio. Midday, ad esempio, è una piacevole ballata dai sapori caraibici con dei fiati di contorno molto 60’s. Maybe There Is A World è una splendida ballata dai sapori vagamente country, molto vecchio stile. One Day At A Time è ancora una ballata acustica dai toni soffusi, qualche sprazzo di psichedelia folk West Coast e con una bella apertura pianistica vecchio stile. Heaven / Where True Love Goes curiosamente usa uno spezzone della lunga suite Foreigner, originariamente pubblicata sull’omonimo disco del 1973, e nel complesso è una gran bella canzone con diverse aperture melodiche, impreziosita da archi.

Per i vecchi fan, ecco la rilettura di I Think I See The Light (era su Mona Bone Jakon), a testimoniare quanto la vena spirituale del musicista sia sempre stata presente. Viene riletta con un ottimo riff chitarristico di matrice bluesy e ha un crescendo decisamente emozionante. Cat Stevens rock come non lo avevamo mai sentito. La sorpresa più grande è però Green Fields, Golden Sands: scritta addirittura nel 1968, non era mai stata incisa. Yusuf dice che “le buone canzoni non muoiono mai” e ci domandiamo se abbia altre sorprese del genere nel cassetto. Una tenera melodia, è la perfetta chiusura del disco. Va citata ancora l’ottima cover del classico degli Animals: Don’t Let Me Be Misunderstood è riletta per sola voce e archi, in versione lenta, ed è ricca di atmosfera. Il messaggio, visti i tanti incidenti “diplomatici” in cui Yusuf è incorso da quando è diventato mussulmano, è chiaro: non lasciate che io sia incompreso.

Se Yusuf, 59 anni, non riesce più a raggiungere quei toni unici della sua “antica” voce, An Other Cup è però un bel disco, che ha il pregio di sapersi proporre agli amanti del songwriting di stampo classico ma anche a chi è curioso di avvicinarsi in modo “laico” a una religione e a un mondo che per noi occidentali è un lontano, spesso fastidioso, mistero.

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