Wilco, Jeff Tweedy ci racconta il nuovo album “Cousin”
Abbiamo intervistato Jeff Tweedy, leader dei Wilco, che ci ha raccontato la genesi e le atmosfere uniche di questo nuovo disco
A un anno di distanza da quel Cruel Country che per l’occasione aveva spinto la versatilità dei Wilco fino alle sonorità della musica tradizionale americana, la band capitanata da Jeff Tweedy torna oggi con un nuovo disco e una nuova atmosfera che ha spinto la band a toccare confini mai esplorati prima. Cousin (dBpm Records / Sony Music), prodotto insieme alla talentuosa gallese Cate Le Bon, è un album estremamente evocativo che fotografa il disagio del nostro tempo, il dolore per l’incapacità di entrare realmente in contatto con gli altri, la consapevolezza di meritare di essere messi da parte dalla vita di qualcuno che abbiamo amato.
Abbiamo raggiunto Jeff Tweedy – al momento ancora impegnato nel tour che ha portato i Wilco anche in Italia l’estate scorsa – per parlare con lui di questo nuovo lavoro.
Mi piace molto l’atmosfera di questo disco, credo che esprima chiaramente il disagio della mia generazione: come hai detto tu “sperare, aspettarsi qualcosa e poi disperare”. Quando hai iniziato a scrivere questi testi?
Ho scritto questi testi in un periodo molto lungo – credo che alcune di queste canzoni abbiano quasi dieci anni – altri invece sono stati scritti durante la lavorazione del disco, poi le canzoni sono state incastrate testualmente e musicalmente tutte insieme. È il vantaggio di scrivere tanto, hai tanti pezzi e riesci a trovare il punto di coesione tra loro. Non c’è stata una sola sessione di scrittura per Cousin, è successo che avessi una vera ossessione per alcune tematiche ricorrenti.
Di questo disco hai detto: “Sono il cugino del mondo. È quella sensazione di essere dentro e fuori allo stesso tempo”. Riesci a spiegarmi questa sensazione?
Non so se riesco a spiegarlo, ti sei mai sentita così? Come se ci fosse un mondo reale in cui accadono delle cose di cui tu non ti senti parte…
Questo è il vostro secondo album con un produttore esterno: prima di incontrare Cate Le Bon sapevi già che tipo di album volevi realizzare o hai trovato quello che cercavi mentre lavoravi al suo fianco?
Entrambe le cose direi. Avevo una certa idea di che tipo di album volevo fare, l’ho descritto a Cate e lei è riuscita a tirare fuori queste canzoni da un gruppo di circa quaranta brani. Poi c’è stata una fase di scoperta durante il lavoro, come accade sempre; puoi avere un’idea dell’album e lavorarci su, ma devi essere pronto a fare tutto ciò che può renderlo un album migliore. È questo il processo di scoperta, mirare in alto, e se sei pronto a fare questo arrivi ancora più in alto.
Eravate sempre d’accordo sulle scelte?
Eravamo d’accordo sul fatto di non essere d’accordo! Abbiamo lavorato davvero bene insieme, puoi chiederlo anche Cate, credo che abbiamo un modo di pensare simile, lo stesso grado di sensibilità. Come dicevo prima, è importante l’apertura mentale al cambiamento e non essere rigidi. Non volevo lavorare con Cate e non permetterle di essere Cate Le Bon, quindi ho lasciato anche che mi facesse sentire “scomodo” e mi dicesse apertamente che voleva qualcosa che magari io negli ultimi anni ho sempre fatto diversamente. Per molte persone non è semplice, non lo è stato neanche per me, ma l’ho accolto a braccia aperte.
Quali sono le differenze principali tra il processo di lavorazione di quest’album e quelli realizzati con Jim O’Rourke?
Probabilmente c’è molto in comune con quanto abbiamo fatto su Yankee Hotel Foxtrot. Jim è arrivato quando molte cose erano già state registrate, abbiamo fatto qualcosa di nuovo ma abbiamo soprattutto smontato e rimontato quello che già c’era, dandogli una nuova sfumatura. Ed è molto simile a quello che è accaduto anche con Cate: quando è arrivata abbiamo ricominciato a lavorare su canzoni già esistenti. L’altro disco in cui abbiamo lavorato con Jim (A Ghost Is Born, ndr) è stato molto diverso, l’abbiamo registrato quasi tutto con lui, molte canzoni le abbiamo suonate live in studio e lavorato sugli arrangiamenti. È piuttosto difficile paragonarli al lavoro fatto con Cate, sicuramente ci sono delle differenze nella mia personale esperienza… è più facile per me pensare alle similitudini.
Wilco © Peter Crosby
Ci sono molte influenze in quest’album: ci sono stati riferimenti in particolare che avete preso in considerazione?
Non so se ci sono riferimenti specifici ma sicuramente c’è un periodo musicale al quale i Wilco si sono ispirati per molto tempo, come i primi anni Ottanta, dopo l’ondata punk e l’era post punk dove c’è stata tanta musica pop, musica sperimentale, dance e l’uso di nuove tecnologie. Tutti cercavano di fare musica che non era mai stata fatta prima, la musica ha iniziato ad avere una consistenza fredda nei dischi con l’arrivo di sintetizzatori, drum machine, sequenze ecc. Noi non abbiamo usato molto queste cose ma c’è un gusto generale che deriva dai dischi di quel periodo.
Se dovessi pensare a una collaborazione che nome faresti?
Direi che Bob Dylan è la risposta più semplice! Sarebbe una delle cose più belle che possano accaderti nella vita.
Qual è la tua canzone preferita del disco? La mia è A Bowl And A Pudding!
Non so se ne ho una in particolare. Pittsburgh è stata scritta tanto tempo fa ed è bello averla in un disco in una versione che mi emoziona molto. Mi è sempre piaciuta questa canzone, ci abbiamo messo dentro gioia; a volte semplicemente una canzone non funziona in un certo contesto ma quando finalmente trova la sua “casa”, beh questo mi rende molto felice.
Hai qualche desiderio per il tuo futuro?
Il fatto che ti piaccia A Bowl And A Pudding mi fa estremamente piacere perché credo che racchiuda il senso principale di tutto il disco. Credo che il mondo abbia sempre vissuto momenti e situazioni difficili ma questo non riduce il senso di ansia e di paura che stiamo fronteggiando per l’emergenza climatica, per questa ricaduta nell’errore dell’autoritarismo… psicologicamente è pesante da sostenere. Quindi il desiderio è quello di non soccombere al cinismo e di cercare e contribuire a creare bellezza, gioia e mantenere la speranza. Amo quello che faccio e spero di poterlo fare il più a lungo possibile… sperando ci sia ancora un mondo per poterlo fare!