22/11/2013

King Crimson. Islands. Testi commentati

Donato Zoppo ci accompagna alla scoperta dei testi crimsoniani, da “The Cheerful Insanity Of Giles, Giles And Fripp (1968) a “A Scarcity Of Miracles” (2011)

King Crimson, più che una band un’entità del mondo prog più volte “morta” e più volte “risorta”. L’ottava incarnazione, prevista per il 2014, è stata annunciata lo scorso 24 settembre da Robert Fripp.
Poco prima che venisse diffusa tale notizia dallo stesso padre-padrone del Re Cremisi, Donato Zoppo ha scritto King Crimson. Islands. Testi commentati (Arcana, 2013). Il giornalista/scrittore in questo suo settimo libro ha analizzato tutte le liriche crimsoniane da The Cheerful Insanity Of Giles, Giles And Fripp (1968), preambolo della prima vera epifania del gruppo con In The Court Of The Crimson King (1969), fino a A Scarcity Of Miracles (2011).
Abbiamo parlato con Donato della sua opera curata e completa che narra un viaggio lungo più di quarant’anni tra «uomini schizoidi, divinità marine, risvegli di principi e isole lontane, lingue di allodola, grandi ingannatori e incubi rossi, chiacchiere da elefante, nevrotiche e uomini modello, dinosauri, luci in costruzione e curve pericolose», come si legge in seconda di copertina. Un’entità che non sarebbe mai esistita grazie al comando esercitato in maniera autoritaria da Robert Fripp, il quale però ha avuto bisogno di ben tre autori di testi per permettere al Re Cremisi di esprimersi anche a parole: due personalità esterne come Peter Sinfield e Richard Palmer-James e infine Adrian Belew. Primo paradosso dell’Uomo Schizoide…

La prima dichiarazione che si legge nel tuo nuovo libro è: «I primi King Crimson furono la band più straordinariamente democratica dell’epoca» (Greg Lake). Quindi Robert Fripp, in maniera diversa da come abitualmente si può pensare, è diventato solo in un momento successivo il “padre padrone” del gruppo?

«Sembra strano ma è proprio così: nella primissima fase crimsoniana – grosso modo nell’anno 1969 – la stella della band è Ian McDonald, polistrumentista esperto, ispirato e creativo, che porta in dote un’indole eclettica che sarà uno dei principali elementi della poetica sonora dei KC. In generale il gruppo era molto equilibrato e accoglieva spunti compositivi da parte di ogni membro, compreso l’eccezionale Mike Giles, a mio avviso un batterista unico nel suo genere e mai troppo considerato nelle consuete classifiche dei migliori… Proprio Giles e McDonald lasciano i KC all’indomani di un faticoso tour americano: a cavallo tra 1969 e 1970 Fripp si ritrova a capo della band insieme a Pete Sinfield, con un Greg Lake ormai proiettato verso il divismo rock con ELP…».

Come mai un “demiurgo” come lui ha avuto bisogno di tre autori di testi per dare vita ai King Crimson in tutte le sue reincarnazioni?

«A mio avviso Fripp è un uomo completamente calato e immerso nella musica: non è un caso che nella lunga vicenda crimsoniana egli abbia scritto un unico verso – “Cigarettes, ice cream, figurines of the Virgin Mary” – dal quale nascerà il testo completo di The Great Deceiver firmato da Palmer-James».

Affinché il Re Cremisi acquisisca una sua precisa identità passa da Rodney Toady all’Uomo Schizoide. Un passaggio obbligato?

«Rodney Toady è il protagonista del disco precrimsoniano The Cheerful Insanity of Giles, Giles and Fripp: uno strampalato ciccione brufoloso sbeffeggiato dai suoi compaesani, complessato e sfigato. Non proprio una figura schizoide con disturbi di personalità, ma un tizio anonimo con qualche problemino relazionale… È chiaramente in linea con lo spirito di quel disco, grottesco e surreale, tipico di certa psichedelica inglese alla Soft Machine. Con il passaggio di consegne, la nascita dei KC e la rapidissima maturazione verso il rock d’arte, anche i temi cambiano: il nuovo entrato Sinfield non parla di personaggi bislacchi, ma tratteggia un complesso itinerario interiore – quasi un ritiro negli abissi profondi popolati dai propri demoni – di fronte alle brutture di un’epoca in cui il potere mostra il suo lato più violento e autoritario (siamo in piena protesta anti Vietnam). L’Uomo Schizoide resta nella storia per il suo agghiacciante urlo – ritratto in copertina da Barry Godber – ma proprio quello è l’inizio di un cammino di mutazione alchemica e di consapevolezza».

L’Uomo Schizoide è proprio un’icona del prog anche per la celebre copertina di Barry Godber. In che modo nasce un concept come In The Court Of The Crimson King (1969)? Quanto è dovuta secondo te la sua nascita alla reale ispirazione del gruppo e quanto alla grande diffusione del 33 giri in quel periodo?

«È vero, l’Uomo Schizoide ha una potenza iconica ancora oggi inattaccabile, sia per la forza del brano, sia per il carisma della copertina di Godber, dipinta proprio ascoltando la musica, che all’epoca era davvero unica nel suo genere e inconfondibile. Il debutto dei KC nasce grazie alla grande preparazione e all’incredibile affiatamento che la neonata band riesce a ottenere con lunghe prove al Fulham e con numerosi concerti tra Londra e dintorni: solo una band così compatta poteva essere pronta per un disco del genere. Disco che si perfeziona con i testi di Sinfield: allegorici, distopici, visionari, esoterici e ricchi di riferimenti colti ed extra-popular.
L’unione di queste personalità così diverse dà vita a questo album che, più che un concept, è un disco a tema: un’opera ambientata nella corte di un misterioso sovrano, anzi una sorta di entità superiore che osserva e dirige un cammino di scoperta, dall’urlo al dialogo interiore di fronte al vento, dal confronto con la confusione, la disillusione e la parte femminile e lunare di sé.
All’epoca la maggior parte dei debut-album – soprattutto nel panorama progressive – aveva questa fortissima ispirazione, merito di numerosi fattori: i musicisti dei gruppi vivevano insieme e provavano di continuo, il rock era giovane e pieno di curiosità, le etichette consentivano le grandi esplorazioni concettuali su long playing, il pubblico era disponibile ad ascoltare operazioni ambiziose, impegnate e colte. Tutto concorreva affinché una band come i KC potesse esprimersi subito con grandi risultati».

Nel panorama di 21st Century Schizoid Man spieghi che regna il caos che, come sostiene P. Bertrando da te citato, viene organizzato al fine di trovare un equilibrio. Il fatto che Robert Fripp decida di dedicare il brano a Spiro Agnew – repubblicano nonché numero due dell’amministrazione Nixon – nel live del 14 dicembre al Fillmore West di San Francisco, è un episodio che “frena” l’organizzazione del medesimo equilibrio?

«Quella fu probabilmente l’unica dichiarazione ad esplicito indirizzo politico espressa da Fripp all’epoca, e a mio avviso faceva parte della strategia di organizzazione del caos di cui parlava il chitarrista. Agnew rappresentava molto bene le pulsioni conservatrici della buona borghesia americana e incarnava anche il desiderio serpeggiante di ritorno all’ordine dopo l’epica e folleggiante età dell’oro woodstockiana. Se però ci riferiamo nello specifico al pezzo presentato, 21st Century esprime una posizione precisa poiché dipinge uno scenario apocalittico tra roghi di politici, napalm e disordine psichico. Un’antiutopia che Sinfield preleva dalla letteratura distopica e applica al rock, guardando in modo profetico all’altra faccia degli anni ’60, quella che cominciava ad affiorare proprio in quel 1969: basta citare la figura di Charles Manson e la strage di Bel Air, ma anche la tragedia di Altamont».

Da dove deriva il nome King Crimson? Ne parli nel brano che dà il titolo all’album, In The Court Of The Crimson King

«È una creazione sinfieldiana, visto che il brano in questione fu da lui composto prima di entrare nei KC. È pacifico – complice una famosa dichiarazione frippiana risalente ai primi anni ’90 – che sia un sinonimo di Belzebù, che significherebbe “uomo con un obiettivo”. Se ci pensi bene, i KC sono sempre stati una band con un obiettivo: dall’organizzazione del caos di cui si parlava prima, hanno sempre tratto precise finalità ed efficaci strumenti per raggiungerle.
Cremisi è un colore, una varietà di rosso, ma se risaliamo all’etimo possiamo scoprire che il significato più antico è “fatto con insetti” o “creato da insetti”, infatti la traduzione meno controversa di Belzebù è “sovrano di ciò che vola”. Ecco che il Re Cremisi diventa il signore degli insetti, evidente riferimento a un altro classico distopico, ovvero il capolavoro di William Golding Il signore delle mosche. A Giove, tra i numerosi appellativi che possedeva, veniva assegnata anche la qualità di Apòmuios, ovvero “signore delle mosche”: a lui si offrivano sacrifici affinché gli insetti non disturbassero riti sacri come l’apertura dei giochi olimpici, ad esempio. Il Re Cremisi sinfieldiano è dunque una sorta di entità che segue – anzi “osserva”, per citare il sottotitolo del primo disco, An Observation By KC – un itinerario di trasformazione interiore. Questa è in linea di massima la specificità tematica della prima fase crimsoniana, quella – per citare Keeling [compositore inglese che ha collaborato con il Re Cremisi, ndr] – della “discesa dello spirito nella materia” e della sua ascesa – aggiungo io, memore della poetica degli opposti, degli equilibri, dei contrappesi e delle complementarietà tipica dei KC».

Ancora il primo paroliere Pete Sinfield scrive i testi del terzo album, Lizard (1970). Disco difficile da interpretare anche per lo stesso Fripp, che rivelerà di aver consultato il Brewer’s Dictionary Of Phrase And Fable per comprendere il brano Indoor Games, vero?

«Lizard  è un lp complesso e ambizioso tanto nella musica quanto nei testi: Sinfield svolge un lavoro di fine ricercatore poetico andando a caccia di termini che possano suonare e risuonare, più che dire qualcosa di specifico, oppure rinvenendo vocaboli poco noti. È il caso di Indoor Games, uno dei pezzi chiave in questo album incentrato sulla caduta del velo di Maya e sulla progressiva perdita delle illusioni: i giochi domestici di ricchi e soddisfatti signorotti borghesi sono la metafora della noia e della continua ricerca di qualcosa di nuovo e accattivante da parte di chi non ha coscienza di sé. Fripp dichiarò di avere avuto delle difficoltà di comprensione, tanto da doversi armare di vocabolario per scoprire cosa fosse un “teetotum” [trottola a sei facce usata per il gioco d’azzardo con numeri su ogni faccia, ndr]».

Eppure inizialmente non ci dovrebbero essere «difficoltà ermeneutiche», come spieghi tu stesso a proposito della copertina del terzo disco, commissionata a Gini Barris, «disegnatrice diciannovenne che Pete conosce dai tempi della Central School Of Arts & Crafts»…

«La copertina della Barris – una delle più fantasiose e ricche della storia del rock – è una sorta di “legenda” che offre all’ascoltatore delle linee-guida che risolvono i problemi interpretativi solo in parte. Alla fine la grande domanda su cosa simboleggino le lucertole di cui parla Sinfield resta inevasa, o meglio restano valide le due letture, perché entrambe sostenute dallo stesso autore: la lucertola – meglio ancora la salamandra, Sinfield parla di “upholstered lizards”, ovvero lucertole macchiate – come animale di rilevanza alchemica, che resiste al fuoco e che rinasce dalle fiamme; le lucertole – da appendere per la gola, recita il testo – come allegoria dell’istituzione religiosa pronta a dettare regole al branco da tenere ben addomesticato. La copertina aiuta fino a un certo punto, lasciando aperta la questione: ed è proprio questo il suo fascino, come accade nei testi di Peter Hammill [Van Der Graaf Generator, ndr], dove ci sono molti spazi che solo l’ascoltatore, aiutato dalla sua fantasia e dalle sue suggestioni, può colmare».

Nel medesimo album c’è anche Prince Rupert Awakes. È la prima suite crimsoniana, giusto?

«È la prima ma anche l’ultima suite dei KC, che probabilmente capiscono in anticipo rispetto a tanti colleghi che un certo tipo di fare rock, dilatandolo a un’intera facciata di album, sta per volgere al termine. Eppure quella suite è un concentrato di idee sorprendenti, dallo straordinario Bolero alla descrizione del risveglio prima della battaglia, evidente riferimento non a una situazione bellica ma alla tensione interiore, alla sfida contro i propri demoni, simboleggiati dalle minacciose armate nere all’orizzonte, ritratte anche in copertina».

Dopo Islands (1971) c’è la fine (momentanea) dei King Crimson, anche se in realtà nel 1973 tornano. Al posto di Pete Sinfield arriva Richard Palmer-James. Cosa li spinge a tornare con Larks’ Tongues in Aspic (Lingue di allodola in gelatina)?

«Fripp sentiva l’esigenza di cambiare linguaggio, approfondendo l’improvvisazione, i contatti con la musica minimale e il jazz-rock, l’apertura a connotazioni colte (gli amatissimi Bartòk e Stravinskij), l’estremizzazione della tensione elettrica. Così mette in piedi la band perfetta per questo obiettivo, ma la concepisce inizialmente come puramente strumentale, infatti i testi di Palmer-James arrivano in un secondo momento e mirano a riempire dei vuoti: meno articolati di quelli sinfieldiani ma molto interessanti per certe anomalie dei contenuti, quei testi sono stati per troppo tempo tenuti in scarsa considerazione. Addentrandosi tra le “lingue di allodola in gelatina” (titolo coniato dal nuovo percussionista Jamie Muir), compaiono temi interessanti: le lusinghe del potere e del denaro (Easy Money), la struggente malinconia della fine di un rapporto rivista sfogliando un album di ricordi (Book Of Saturday), la distanza dalla propria terra e la ricerca di una dimensione artistica in un altrove geografico e spirituale (Exiles)».

Lo accennavi anche prima. Nell’album successivo Starless And Bible Black (1974) Robert Fripp scrive i primi (e unici) versi per i King Crimson. Esperimento fallito?

«In realtà pare che quel verso sia stato semplicemente un appunto preso durante una visita in Vaticano nel 1973: Fripp resta negativamente stupito dal mercimonio religioso e scrive quel verso che in seguito sarà utilizzato da Palmer in The Great Deceiver. Non sarà la prima volta: ad esempio nel 1982 sarà proprio Fripp a suggerire a Adrian Belew quel “moving wheels” che regge il testo – e il concept – di Neal And Jack And Me».

Nello stesso disco c’è anche Rembrandt in The Night Watch

«Il momento più alto della scrittura palmeriana per i KC. Un testo eccezionale che secondo me non teme il confronto con Sinfield: rimembrando le lunghe code in museo per vedere La ronda di notte del celebre pittore olandese, Palmer si pone l’obiettivo di descrivere il quadro, o meglio di consegnare all’ascoltatore tutto il carico simbolico che quell’opera sprigionava. La sicurezza della borghesia mercantile che cerca riconoscimenti e affermazioni, la concezione della scena come un teatro di posa, la sequenza di simboli, sguardi, costumi, l’uso di luci e ombre, il valore dell’arte come veicolo di fama e immortalità: Palmer con fare sicuro e attento ci conduce passo dopo passo nel cuore della tela».

Il 1974 è anche l’anno di Red, album che segna una nuova fine (peraltro annunciata) del Re Cremisi, ma anche un album che mostra, come raramente accade, i volti di Fripp e soci. Come mai questa scelta?

«Raramente i KC avevano inserito in copertina nome e titolo, ma qui osano ancora di più: ci mettono la faccia… La foto di Gered Mankowitz gioca con i chiaroscuri ed è significativo ricordare che non fu scattata al trio insieme, ma a Wetton, Bruford e Fripp in tre momenti separati e poi montata. Proprio come il disco, registrato da una band che era di fatto sciolta poiché Fripp, proprio la sera prima di entrare in studio, ebbe una profonda crisi interiore che lo avrebbe portato ad abbandonare la musica per qualche tempo. Red è un capolavoro di potenza e lirismo, registrato live con lo scopo di dare quell’impatto tipico dei concerti: per un disco del genere, credo sia stato doveroso evitare artifici e presentarsi con la propria faccia».

Bisogna attendere sette anni per un nuovo ritorno dei King Crimson: Discipline (1981). Il nuovo cantante/autore Adrian Belew ed MTV: come vivono il gruppo e/o Fripp questi cambiamenti? Si ha sempre l’impressione che la band nei suoi ritorni non voglia mai autocelebrare il proprio passato, ma voglia proporsi con qualcosa di nuovo…

«Spesso la considerazione che si ha nei riguardi dei KC diventa acritica e si finisce con l’attribuire al gruppo meriti eccessivi: a volte l’effetto nostalgia ha catturato anche i KC; ma non nel caso di Discipline. Quella formazione era lontanissima dai primi KC, ma ne preservava lo spirito e ne trasportava in un decennio difficile l’integrità artistica. Per quanto Belew sia ancora oggi inviso a molti fan della prima ora, fu anche merito suo l’aggiornamento della band e la sua capacità di misurarsi con gruppi più giovani, tra l’altro riuscendoci in modo credibile e convincente».

La storia del gruppo prosegue con Beat (1982), secondo album con la stessa formazione e con un produttore “esterno”. Finalmente il gruppo ha trovato un suo equilibrio?

«Beat fu un disco difficile, caratterizzato da numerose frizioni e anche da tante difficoltà; cosa che peserà notevolmente e che porterà alla fine della formazione, per quanto Fripp ne avesse già decretato il termine nel suo programma Incline To 1984. L’equilibrio perfetto lo si trova in Discipline: Beat però è un ispirato e coraggioso disco a tema, uscito in un periodo poco favorevole per il rock».

Nello stesso disco ritorna la psichedelia in Neal And Jack And Me e si possono ascoltare per la prima volta due canzoni d’amore come Heartbeat e Two Hands. Il Re Cremisi vuole continuare più a stupire o a stupirsi in questa fase?

«È vero, ci sono due elementi abbastanza sorprendenti. Il primo è il concept: Beat è dichiaratamente ispirato alla letteratura beat, alla prosa sciolta e alla poesia libertaria di Kerouac, Cassidy, Ginsberg e altri. Neal And Jack And Me è il pezzo più rappresentativo a differenza di Heartbeat e Two Hands, due canzoni d’amore. Addirittura per la prima fu realizzato anche un videoclip, ma non deve stupire più di tanto: l’anno prima Belew aveva dato spazio a temi intimisti in Matte Kudasai e i brani dell’82 sono un’ideale prosecuzione, profondamente in linea con la direzione della discografia all’alba degli anni ’80».

In una delle reincarnazioni più recenti del gruppo c’è ProzaKc Blues da The ConstruKction Of Light (2000), primo blues dei King Crimson. Come mai hanno atteso così tanto per manifestarsi in tale forma?

«Prima del disco del 2000 c’è stata la lunga pausa degli anni ’80-’90, il ritorno nel 1995 con l’eccitante Thrak e il successivo scioglimento. Sono diversi i motivi di queste lunghe attese, dovute principalmente ai numerosi impegni dei singoli (pensa a Tony Levin con Peter Gabriel, alla ricca attività di Bill Bruford) e alle battaglie discografiche di Fripp, impegnato nella tutela del back catalogue crimsoniano. In subordine credo anche che ci sia stato un progressivo calo di ispirazione che ha comportato un dilatarsi delle uscite».

Nell’introduzione a King Crimson. Islands. Testi commentati ti soffermi su alcuni paradossi dell’Uomo Schizoide. Qual è quello che definisce al meglio la sua personalità?

«Questi paradossi non sono che un espediente narrativo che ho utilizzato per giocare con alcune contraddizioni tipiche di una formazione del genere, che da sempre ha lavorato all’unione degli opposti e alla compenetrazione di diverse anime. Il paradosso più lampante è proprio quello con cui apro il libro: mi sono ritrovato a dover approfondire e a scandagliare i testi di un gruppo rappresentato, simboleggiato, guidato e incarnato da un personaggio che di testi proprio non ne ha scritti…».

L’altra premessa del libro è quella del Prof. Leonardo Vittorio Arena. Com’è nato l’incontro con lui?

«Sono da sempre un affezionato lettore del professor Arena: lui è uno dei principali orientalisti italiani e per me i suoi testi sul buddismo e sul sufismo sono stati delle letture capitali anni addietro. Qualche anno fa ha pubblicato un libro delizioso che si chiama Orient Pop (Castelvecchi), dedicato a tutti gli artisti rock che hanno avuto contatti con il mondo della spiritualità non istituzionale: c’era un bel capitolo dedicato ai King Crimson, ne ho approfonditamente parlato con Arena nel mio radioshow e da lì è nato un buon rapporto grazie al quale ho potuto chiedergli una prefazione. Tra l’altro non è affatto un contributo formale o paludato: è un vero e proprio flusso di coscienza visionario che lui mi ha mandato in tempo reale e che abbiamo voluto lasciare assolutamente inalterato».

Chi è l’Uomo Schizoide del Ventunesimo Secolo? Rispecchia le “anticipazioni crimsoniane” del 1969?

«Secondo me le rispecchia del tutto, in particolare in un verso: “Nothing he’s got / He really needs”. Nulla di ciò che ha gli serve veramente: uno dei più grandi drammi della contemporaneità è l’accumulo indiscriminato, a partire dal danaro fino agli hard disk traboccanti di mp3 che mai nessuno ascolterà, ma che ci fanno credere sia doveroso accumulare… Sinfield aveva ben presente Guy Debord e La società dello spettacolo, e sulla scia del situazionista fu abile e profetico nel tratteggiare un panorama devastato dai bisogni indotti e dalla diffusione generalizzata del sapere e dei mezzi di comunicazione».

Leggendo il tuo libro si ha una volta di più l’impressione, se ce ne fosse ancora il bisogno, che nulla sia affidato al caso nella vita del Re Cremisi. In qualche modo il suo percorso era stato già tracciato sin dall’inizio?

«Credo di sì, d’altronde Fripp più di una volta è stato descritto come una figura metodica e raziocinante fino all’inverosimile, e in effetti basta leggere il suo diario e seguire la sua attività per averne conferma. La lunga vicenda KC deriva inevitabilmente dal modus operandi del suo leader, come testimoniano le grandi e dichiarate pianificazioni dei primi anni ’80, ovvero i manifesti Drive To 1981 e Incline To 1984».

Ultima domanda: Robert Fripp annuncia il suo ritiro il 3 agosto 2012 sulle pagine del Times, dopo sette anni di silenzio e a due anni dal post in cui rifiutava la reunion crimsoniana. Qualche mese fa però ha annunciato il ritorno del Re Cremisi con tre batteristi. Cosa dobbiamo aspettarci?

«Francamente non saprei, la notizia della nuova formazione non mi ha entusiasmato molto, anche se non posso negare che mi incuriosisce tantissimo. Da una parte questa novità dei tre batteristi è intrigante e di sicuro diversa dalla simmetria perfetta del doppio trio del 1994 [chitarra: Robert Fripp-Adrian Belew; basso: Tony Levin-Trey Gunn; batteria: Bill Bruford-Pat Mastelotto, ndr). Dall’altra parte la conferma della formazione un po’ imbolsita del 2011, ovvero l’asse Fripp-Collins-Jakszyk (il Crimson ProjeKct di Scarcity Of Miracles), lascia poco spazio all’immaginazione…».

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