Questa è davvero l’ultima volta che il Club Sociale Buena Vista apre le sue porte. L’Adios Tour, approdato ieri sera al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, è l’estremo saluto che l’orchestra cubana ha voluto regalare al mondo prima di tornare a essere soltanto un ricordo, un’ultima lezione su come la musica dell’isola abbia avuto un passato illustre, pieno di storia e cultura.
Per qualche minuto l’anfiteatro è invaso dalle note jazzistiche di un piano solitario, poi il resto dei Buena Vista Social Club si presenta lentamente sul palco. I membri originali dell’Orquesta sono rimasti pochi: Jesus Aguaje Ramos al trombone, Luis Manuel Guajiro Mirabal alla tromba e Barbarito Torres al laúd, un autentico virtuoso di questa specie di liuto cubano. Ultimo a comparire sulla scena, il chitarrista e cantante Eliades Ochoa con il suo inseparabile cappello da cowboy calcato sul capo. Gli altri sono tutti giovani musicisti; hanno sostituito i membri scomparsi nel corso degli anni, come il cantante Ibrahim Ferrer, il pianista Rubén Gonzáles, il contrabbassista Orlando “Cachaito” Lopez e il chitarrista e cantante Compay Segundo che, a dispetto del nome (“il secondo compare”), era un po’ il simbolo del complesso.
Pochi pezzi e già le nuove leve si dimostrano eccellenti, ma si vede subito che tra di loro non c’è quel feeling che lega la vecchia guardia, fatto di complicità, stima e affetto. Una sintonia che paga, perché l’atmosfera effervescente del palco è estremamente contagiosa. Sembra di vedere una rimpatriata tra amici che si chiamano, si incitano a vicenda, si scambiano cenni d’intesa, scherzano tra di loro. I quattro membri storici non si risparmiano, l’età si fa sentire, e un po’ di ruggine ogni tanto si intravede. Tuttavia l’eccezionale energia che si trasmette al pubblico fa perdonare le poche sbavature.
La musica dei Buena Vista è un misto delle diverse tradizioni dell’isola, viva, trascinante e piena d’anima, ma a tratti infusa di una grande nostalgia. Sa di donne incantevoli che ancheggiano in balli sensuali, di tormenti amorosi, di bar invasi dal fumo dei sigari, di auto d’epoca tirate a lucido e di rum. È proprio come grida Ochoa: “i Buena Vista sono Cuba!”. Anche se vive di ricordi, quella dell’Orquesta però non è una foto ingiallita; i suoi colori sono sgargianti e trasformano l’anfiteatro in un’enorme sala da ballo.
Tanti i pezzi celebri, El Carretero, De Camino A La Vereda, Candela, El Cuarto De Tula e il brano che Ry Cooder ha definito “il biglietto da visita dei Buena Vista”, Chan Chan.
Il concerto decolla quando fa la sua comparsa la cantante Omara Portuondo, presentata come :la storia della storia della musica cubana! La storia della storia della musica di tutto il mondo!”. Forse sarà un po’ impacciata nei movimenti, ma la sua voce è ancora straordinaria, nonostante gli 83 anni. Si fa subito amare, coccolata e vezzeggiata da pubblico e complesso. Strappa diverse standing ovation, scherza con la platea e addirittura accenna un pezzettino di Nel blu dipinto di blu. Diverte con Quizás, Quizás, Quizás, intenerisce nel duetto Dos Gardenias. Accompagnata dal pianoforte e dal lamento del trombone in Veinte Años, diventa struggente cantando: “Ora rappresento il passato, non riesco ad accettarlo”.
E si fa davvero fatica ad accettare che tutto questo debba scomparire. Sarebbe bello che l’addio dei Buena Vista fosse soltanto un arrivederci.
Per qualche minuto l’anfiteatro è invaso dalle note jazzistiche di un piano solitario, poi il resto dei Buena Vista Social Club si presenta lentamente sul palco. I membri originali dell’Orquesta sono rimasti pochi: Jesus Aguaje Ramos al trombone, Luis Manuel Guajiro Mirabal alla tromba e Barbarito Torres al laúd, un autentico virtuoso di questa specie di liuto cubano. Ultimo a comparire sulla scena, il chitarrista e cantante Eliades Ochoa con il suo inseparabile cappello da cowboy calcato sul capo. Gli altri sono tutti giovani musicisti; hanno sostituito i membri scomparsi nel corso degli anni, come il cantante Ibrahim Ferrer, il pianista Rubén Gonzáles, il contrabbassista Orlando “Cachaito” Lopez e il chitarrista e cantante Compay Segundo che, a dispetto del nome (“il secondo compare”), era un po’ il simbolo del complesso.
Pochi pezzi e già le nuove leve si dimostrano eccellenti, ma si vede subito che tra di loro non c’è quel feeling che lega la vecchia guardia, fatto di complicità, stima e affetto. Una sintonia che paga, perché l’atmosfera effervescente del palco è estremamente contagiosa. Sembra di vedere una rimpatriata tra amici che si chiamano, si incitano a vicenda, si scambiano cenni d’intesa, scherzano tra di loro. I quattro membri storici non si risparmiano, l’età si fa sentire, e un po’ di ruggine ogni tanto si intravede. Tuttavia l’eccezionale energia che si trasmette al pubblico fa perdonare le poche sbavature.
La musica dei Buena Vista è un misto delle diverse tradizioni dell’isola, viva, trascinante e piena d’anima, ma a tratti infusa di una grande nostalgia. Sa di donne incantevoli che ancheggiano in balli sensuali, di tormenti amorosi, di bar invasi dal fumo dei sigari, di auto d’epoca tirate a lucido e di rum. È proprio come grida Ochoa: “i Buena Vista sono Cuba!”. Anche se vive di ricordi, quella dell’Orquesta però non è una foto ingiallita; i suoi colori sono sgargianti e trasformano l’anfiteatro in un’enorme sala da ballo.
Tanti i pezzi celebri, El Carretero, De Camino A La Vereda, Candela, El Cuarto De Tula e il brano che Ry Cooder ha definito “il biglietto da visita dei Buena Vista”, Chan Chan.
Il concerto decolla quando fa la sua comparsa la cantante Omara Portuondo, presentata come :la storia della storia della musica cubana! La storia della storia della musica di tutto il mondo!”. Forse sarà un po’ impacciata nei movimenti, ma la sua voce è ancora straordinaria, nonostante gli 83 anni. Si fa subito amare, coccolata e vezzeggiata da pubblico e complesso. Strappa diverse standing ovation, scherza con la platea e addirittura accenna un pezzettino di Nel blu dipinto di blu. Diverte con Quizás, Quizás, Quizás, intenerisce nel duetto Dos Gardenias. Accompagnata dal pianoforte e dal lamento del trombone in Veinte Años, diventa struggente cantando: “Ora rappresento il passato, non riesco ad accettarlo”.
E si fa davvero fatica ad accettare che tutto questo debba scomparire. Sarebbe bello che l’addio dei Buena Vista fosse soltanto un arrivederci.