16/10/2024

Antonio Piazzolla racconta Black Sabbath e Ozzy Osbourne

Il nuovo libro della Diarkos su mezzo secolo di leggenda heavy metal

 

La storia dei Black Sabbath è ampiamente nota, ricostruita, sedimentata e studiata. Eppure un libro su di loro, soprattutto in Italia, si rivela sempre utile per sgombrare il campo da luoghi comuni ed errori. Se a questo aggiungiamo che l’ultimo libro in materia contiene una parte dedicata esclusivamente a Ozzy Osbourne, una figura centrale della pop culture molto più dei vecchi sodali Tony, Geezer e Bill, allora è l’occasione per chiedere un po’ di curiosità all’autore. Si chiama Antonio Piazzolla, ha pubblicato da pochissimo con Diarkos Black Sabbath e Ozzy Osbourne. Mezzo secolo di leggenda heavy metal. Ne parliamo con lui.

 

Mi ha colpito la tua data di nascita: 1992. Sei nato quando i Black Sabbath pubblicavano il loro miglior album degli anni ’90, Dehumanizer con Ronnie James Dio, e quando Ozzy era nel pieno del suo tour del ritiro No More Tours Tour. Com’è nata questa passione per la storica band?

Molti ne restano stupiti, alcuni anche negativamente. Si chiedono ‘Come può una persona relativamente giovane come te raccontare la storia di una delle più grandi band, nata nel lontano 1968, senza aver vissuto quell’epoca?’ Parliamo di circa ventiquattro anni prima della mia nascita e chiaramente non ho vissuto gli anni d’oro dei Sabs, questo è vero. Però ho vissuto il ‘secondo tempo’ della band, e soprattutto l’ascesa del personaggio di Ozzy Osbourne. Vedi, quando avevo circa 10 anni a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, Internet non era così diffuso; i Personal Computer stavano ancora facendo il loro timido ingresso nelle nostre case, non esistevano ancora gli smartphone e non avevamo Google in tasca come oggi. Il Google di noi ragazzini di quegli anni era un canale che si chiamava MTV. Lo guardavo di continuo, con mia sorella e i nostri cugini, perché ci aggiornava non solo sulla musica ma su quello che accadeva nel mondo. Proprio nei primi anni 2000 Osbourne divenne molto influente, fu tra le primissime star – se non la prima in assoluto – a far entrare le telecamere in casa sua con il fortunatissimo reality The Osbournes. Insomma, posso dire che è colpa di Ozzy. Mi sono appassionato prima al suo personaggio e poi a quello che c’era dietro, i Black Sabbath.

 

Il titolo merita una spiegazione: “Mezzo secolo di leggenda heavy metal”.  Nulla da dire sulla leggenda, ma il termine heavy metal non è mai piaciuto molto ai Black Sabbath. Eppure la cultura heavy senza di loro non sarebbe nata… possiamo considerarli davvero un gruppo heavy metal?

Assolutamente sì. Parliamo di un periodo della storia dell’umanità in cui il mondo era popolato da hippy e c’erano fiorellini ovunque ma a questi ragazzi di Birmingham sembrava non importare. Avevano le idee chiare su cosa avrebbero fatto, sono andati controtendenza, hanno sfidato l’industria musicale, venendo osteggiati dalla critica ma hanno conquistato il pubblico e ispirato numerose band e artisti. Ozzy in particolare poi non ama essere associato alla parola metal e non si sente assolutamente il padre di questo genere ma piuttosto un ‘fratello maggiore’ come ha più spesso dichiarato in diverse interviste. Ha sempre sostenuto di odiare le etichette di questo tipo perché se la gente ti classifica in una determinata categoria poi risulta difficile fare qualcosa di più leggero, a detta sua. Per me però è una sua gabbia mentale, credo si sia smentito varie volte, faccio un esempio per tutte, la dolce ballata Mama, I’m Coming Home. È stato ugualmente in grado di creare qualcosa di più leggero, mi pare. Io credo che fondamentalmente chi crea un qualcosa di nuovo, che sia un musicista o un pittore per esempio, faccia sempre fatica ad ammettere di aver creato qualcosa di nuovo perché nella sua testa aveva in mente altro. E i Sabs avevano in mente il rock (Ozzy lo ha detto spesso, ‘c’era il rock, è sempre stato rock’), solo che volevano farlo in maniera diversa, con una propria impronta, un proprio sound e un proprio ‘marchio di fabbrica’. Spesso è proprio così che si inventa un qualcosa che prima non c’era. Ce l’hanno fatta alla grande, e se stiamo parlando di heavy metal – che gli piaccia o meno – è proprio per merito loro.

 

Le città del rock hanno segnato le sorti dei loro cittadini. Pensiamo a Liverpool, Londra, oppure Berlino, Seattle, San Francisco. E la Birmingham dei Sabbath? Cosa ha significato per loro e la loro musica nascere lì?

Tutto, credo che i Sabs non sarebbero i Sabs senza Birmingham. Tutti sono sfuggiti da quello che sembrava un destino già scritto per loro e hanno trovato nella musica la cura, un riparo dal mondo e una strada per riscattarsi. Pensiamo ad Ozzy: era stato bullizzato e molestato a scuola, ha vissuto la sua infanzia praticamente nella miseria, costretto a rubare per sopravvivere, e patendo una certa rigidità da parte del padre che almeno nei primi tempi non accettava l’idea che il figlio volesse diventare un musicista. Birmingham è stata, nei suoi primi anni di vita, sofferenza ma anche motivazione; non sarebbe diventato il cantante che conosciamo senza queste condizioni e lo stesso vale per gli altri membri della band; Geezer sarebbe dovuto diventare un ragioniere e che dire di Iommi? Ha perso due falangi superiori in un lavoro che neanche gli piaceva ma che doveva fare. La musica non era soltanto una passione ma un modo, l’unico modo, per sfuggire ad un tragico destino fatto di vite dure, molto dure, tra fabbriche e periferie. Dovevano farcela per forza, non avevano altre chances.

 

I loro primi quattro Lp sono un autentico patrimonio e hanno segnato la storia del rock come quelli di Led Zeppelin e Deep Purple. Ma quali differenze c’erano rispetto a queste due band spesso citate tra gli inventori dell’hard rock?

Prima di darti la mia risposta voglio condividere con te e i lettori di Jam la risposta che lo stesso frontman dei Deep Purple, Ian Gillan, ha dato sulla questione in un’intervista rilasciata al The Sun lo scorso luglio: ‘Senza di loro non ci sarebbe stata la scena di Seattle e nemmeno l’heavy metal. In qualche modo sono stati proprio i Sabbath quelli più importanti di tutti. Ciò che Tony Iommi realizzava a quei tempi era fantastico e potente’.

Come dargli torto? Le atmosfere dei Sabs erano davvero uniche, credo sia stata una delle pochissime band a saper sfruttare al meglio le tastiere e che dire della voce di Ozzy? Non sembra proprio la ‘classica’ voce heavy metal urlante che c’è nell’immaginario collettivo da chi magari conosce poco il genere, eppure ci sta così a pennello su quelle note. Ma ovviamente non si tratta solo di questo. Per quanto mi riguarda i Black Sabbath hanno sfidato una cultura musicale ancora piuttosto chiusa su certi temi a quei tempi: l’occulto, la religione, ma anche la guerra. Ne hanno parlato tantissimi gruppi prima, è vero, ma nessuno come loro ha saputo descrivere certi errori e svolgere un lavoro di ‘pulizia mentale’ nei giovani, scongiurandogli per quanto possibile a prenderne parte. Per certi punti di vista erano ‘scomodi’ e probabilmente è anche per questo che sono arrivati dritti al cuore dei fan.

 

Perché sono considerati ancora oggi uno dei gruppi più influenti della storia del rock?

Credo che siano state le peculiarità dei singoli ad aver fatto così grande questa band. Ognuno di loro è stato un ingrediente fondamentale, se ne fosse mancato anche solo mezzo non avremmo avuto come risultato finale quello che conosciamo. Mi spiego meglio, pensiamo per un attimo a Tony Iommi: sicuramente una mente creativa, quello che ha portato sul palco con la sua chitarra penso sia ancora oggi non replicabile. Questa creatività, mista alla praticità della persona, la ritroviamo in altri dettagli. Come abbiamo detto poco fa, Iommi perse due falangi superiori in un incidente sul lavoro. Parliamo di fine anni ’60 e la medicina non era così avanzata come oggi, figuriamoci il mondo delle protesi. Quest’uomo se l’è costruite da sole adattando i tappi di un detersivo, provate anche solo ad immaginare cosa deve essere stato? Bene, ora pensate che grazie a questo ‘dettaglio’ sono scaturite una serie di conseguenze: Iommi poteva eseguire slide molto veloci ma aveva difficoltà ad eseguire il bending e per questo motivo dovette accordare la sua chitarra un semitono sotto; inconsapevolmente aveva preso due piccioni con una fava: aveva creato un sound personale ed unico a quel tempo e dato vita a quella che sarebbe divenuta una consuetudine del mondo hard rock e metal! Che dire poi delle corde extra light? I chitarristi dovrebbero fare una statua a Iommi perché se esistono è grazie a lui. E di esempi ce ne sono tantissimi, li racconto nel libro. Insomma tutto questo per dirvi che ognuno è stato, a modo suo, un innovatore guidato – magari inconsapevolmente – da un senso di follia: i Sabs sono il frutto non solo del talento ma di ciò che gli ha riservato la vita e della loro capacità di trasformarlo in musica. La loro grandezza sta proprio in questo.

 

Tanti anni di attività, frequenti cambi di organico, soprattutto i cantanti. Ozzy, Dio, Gillan, Martin, ognuno con la propria voce e personalità. A Ozzy però dedichi uno spazio considerevole, a partire dalla copertina…

Non me ne vogliano gli altri bravi cantanti che hai menzionato. Dio è stato ed è ancora oggi un mostro sacro della musica. Ma i Sabs – e credo che su questo i fan siano d’accordo con me – non sarebbero i Sabs senza Ozzy e la sua follia. Non si tratta solo del cantante ma del personaggio, un intrattenitore, uno che non ha paura di mostrare la sua natura, uno che se gli lanci un pipistrello sul palco gli stacca la testa a morsi senza nemmeno pensarci due volte. Dirà poi che pensava fosse finto ma dove lo trovi, oggi, uno che avrebbe il fegato di fare una cosa del genere? La sua aura precede il suo nome, la sua vita è una leggenda, dove le dicerie sembrano vere per quanto semplici e le cose vere sembrano inventate per quanto assurde. Sono rimasto stupito di conoscere diversi diciottenni ignorare i Sabs – giustamente – ma conoscere il personaggio di Osbourne e questa la dice lunga. Per me poi la voce di Osbourne è assurda perché apparentemente può sembrare alla portata di tutti, non è di sicuro la potente voce di James Hetfield o di Phil Anselmo ma un qualcosa di più ‘dolce’, ricca di una gamma di sonorità che la rendono adatta sia ad un qualcosa di pesante (mi viene in mente God Is Dead?) sia ad un qualcosa di leggero (la Mama, I’m Coming Home menzionata prima) che ad un qualcosa di moderno (Take what you want, con Post Malone e Travis Scott). Fuori dal palco è stato un uomo in grado di parlare con serenità delle sue debolezze e delle sue dipendenze, di come le ha affrontate, e di lanciare messaggi così potenti. Non è stato un uomo perfetto, né un marito perfetto, né tanto meno un padre perfetto: lui questo lo sa bene, ma a differenza di altri ha sempre cercato – con tutto sé stesso – di porre rimedio come pochi. Di questo dobbiamo dargliene atto.

 

Per vari anni le carriere dei Sabbath e di Ozzy sono andate in parallelo e la popolarità del cantante spesso e volentieri ha offuscato quella della band. Merito di una presenza eccessiva sempre al limite, o la sua musica ha avuto qualcosa in più?

Da una parte abbiamo gli altri membri dei Sabs, vittime in qualche modo di una gestione scellerata da parte di Arden dopo l’uscita di scena di Osbourne (il cui solo valido erede, per me, è stato Dio), dall’altra abbiamo un cantante che era entrato ormai nel cuore della gente e che ha saputo mixare bene i suoi due lati (il personaggio e il professionista sul palco) grazie anche ad una gran gestione, operata certamente dalla moglie Sharon, ma con la capacità del frontman di riconoscere talenti (non a caso vedremo poi la nascita dell’Ozzfest incentrato proprio su questo): la scelta di Zakk Wylde secondo me è stata una delle sue mosse vincenti, se pensi alla carriera solista di Osbourne non puoi non pensare ai potenti assoli di Wylde (come quello in No More Tears); insomma Ozzy ha fatto buona musica anche perché ha saputo circondarsi sempre di validi colleghi.

 

Il 4 febbraio 2017 i BS riformati hanno tenuto il loro ultimo concerto. È da escludere una nuova reunion, dunque non restano che i dischi. Nella ricostruzione che hai svolto per il libro, hai avuto modo di riscoprire qualche loro album sottovalutato o dimenticato, che vuoi consigliare a chi legge Jam?

Una reunion credo possiamo proprio sognarcela purtroppo, per via degli acciacchi che per altro, anche se proprio questa estate i vari membri hanno espresso la volontà di volersi riunire – o quanto meno provarci – davvero un’ultima volta per suonare tutti insieme dal momento che durante il The End Tour Bill Ward non prese parte a quei concerti di addio a causa di una disputa contrattuale. Staremo a vedere. Riguardo la tua domanda io credo che Forbidden, con Tony Martin, non sia poi così orribile come sia stato descritto dalla critica. Certo, se siete fan di Ozzy come me o se comunque apprezzate la voce di Dio, diciamo che non è propriamente la stessa cosa però credo che meriti una possibilità.

Black Sabbath e Ozzy Osbourne - Antonio Piazzolla

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