26/03/2025

CSI: una storia indipendente

Arcana pubblica il nuovo libro di Alessio Barettini sulla band di Linea Gotica

 

Gli ultimi due anni sono trascorsi all’insegna di un grande e acclamato ritorno: quello dei CCCP. Il Gran Gala Punkettone, poi Berlino, infine il tour, che ancora oggi è al centro dell’attenzione per le ultime date estive, hanno sancito un grande – spesso anche conflittuale, e tanto – rapporto d’amore con il pubblico. Ma se guardiamo alla successiva incarnazione, quella dei CSI, probabilmente l’affetto è anche maggiore.  Proviamo a caprine le motivazioni con Alessio Barettini, fresco autore di Consorzio Suonatori Indipendenti. Una storia, pubblicato da Arcana.

 

Dalle ceneri dei CCCP nascono, tre anni dopo, i CSI. Ancora oggi uno dei gruppi più amati nella storia del rock italiano. Come ti spieghi questo affetto che il pubblico riserva ancora oggi al gruppo?

Il pubblico dei CSI che li apprezzava negli anni ’90 ha vissuto una stagione importante della storia della musica, italiana e non, e questo ha fatto sì che alcuni di quei nomi siano rimasti nell’immaginario di una generazione che con il passare del tempo ha visto cambiare la scena musicale in maniera radicale, un cambiamento che ha toccato persino i supporti e i modi legati alla produzione e al consumo. Alcuni dei gruppi e degli artisti di quella stagione hanno lasciato un marchio indelebile. Per i CSI le ragioni affettive sono anche ragioni intellettuali. Un’alchimia insuperabile.

 

Nel tuo libro racconti la storia dei CSI dalle origini agli ultimi fuochi. Nel definire l’identità del gruppo hanno avuto più peso gli ex CCCP, l‘area fiorentina ex Litfiba oppure sono stati una creatura a sé?

Gli ex CCCP e l’area fiorentina ex Litfiba hanno certo il loro peso, così come le varie provenienze di tutti i componenti e i loro esperimenti. Penso a Politrio, la band di cui Giorgio Canali ha avuto un ruolo fondativo, ma quello che stava succedendo nella scena italiana fra la fine degli anni ’80 e la metà dei ’90 è stato qualcosa di unico, che ha permesso ai CSI di essere stati una creatura a sé. Tutte le band nate in quel periodo hanno sviluppato dei tratti di originalità unici e così marcati da far sì che in un certo senso tutto quello che è venuto prima sia passato in secondo piano.

 

Ko de Mondo, Linea Gotica, Tabula Rasa Elettrificata. Tre album che hanno segnato la storia del rock italiano: perchè hanno caratterizzato in modo così forte i nostri anni ’90?

Sono tre album immensi, ciascuno a suo modo e in relazione l’uno con gli altri due. Ognuno dei tre interpreta quell’epoca in modo speciale, sapendo dire quegli anni con una forza espressiva, e qui intendo sia musicale sia testuale, che ha avuto il merito di raccontare quegli anni dal punto di vista storico, assoluto e non solo musicale, trovando relazioni fra storia, memoria, quindi passato, e presente. Questa esattezza ha fatto sì che quella voce, infine, sia stata così caratterizzante. Lo abbiamo visto tutti: erano album destinati a rimanere. Ciascuno dei tre lo ha dichiarato apertamente al momento dell’uscita.

 

CSI non è solo musica ma anche argomenti assai sentiti da una generazione, penso alle riflessioni sulla Resistenza in epoca berlusconiana. Qual è stato il loro rapporto con la Storia in un decennio così complesso come gli anni ’90?

Decisivo. È impensabile immaginare i CSI in un’altra epoca. La precisione con cui i CSI hanno saputo costruire riflessioni importanti, dalla Resistenza alla Bosnia, dagli anni successivi al crollo del muro di Berlino a quello che stava capitando in Italia in quegli anni. La loro forza creativa è intrisa di questo sentimento, e la loro bravura di raccontare quegli anni in diretta, mentre tutto stava capitando, è qualcosa che non si vede spesso. Se penso alla letteratura, per esempio, c’è stato un movimento generazionale contemporaneo ai CSI, ma non altrettanto capace di raccontare quegli anni anche da un punto di vista storico. Non con la stessa forza. Per questo le loro parole hanno superato la loro fine.

 

Sei reduce anche da un altro interessante libro, dedicato alle letture di David Bowie e alla costituzione del suo immaginario colto. Se volessimo addentrarci in quello di Giovanni Lindo Ferretti, quali autori e riferimenti potremmo citare?

Guarda, mi piacerebbe avere una lista di libri preferiti di Giovanni così come abbiamo quella di Bowie! (è partendo da quella che ho scritto il libro su Bowie, mentre qui ho proceduto in modo diverso). Comunque certi suoi riferimenti letterari espliciti, Pasolini e Fenoglio su tutti, non sono certo gli unici. È chiaro che ci sia una grande attenzione alla Storia, ma più in generale direi alla storia in tutte le sue manifestazioni antropologiche, culturali e sociologiche. Non sono cose che si inventano.

 

A proposito ancora di Ferretti, se nei CCCP il suo canto era secco, nervoso, sloganistico, nei CSI cambia approccio – anche grazie alla combinazione con Ginevra Di Marco – e si scopre cantante. Merito della nuova musica, della maturità o di cosa?

Non lo so, questa è una cosa che non mi sono mai posto. All’epoca ero in fissa con certi cantanti lo-fi che non è che fossero proprio intonati. Poi c’erano i Massimo Volume, quindi Ferretti per me era solo ancora un altro modo di cantare. Mi ricordo che in un’intervista televisiva una volta disse che sceglieva le parole da cantare per il loro suono. Ma io più che cantante lo definirei cantastorie. Quanto a Ginevra, lei è un angelo, la sua voce arriva da altezze invisibili.

 

CSI è anche riferimento discografico con la nascita del Consorzio Produttori Indipendenti. Che tipo di modello produttivo ha offerto il CPI negli anni ’90?

CPI è stata la cornice della storia dei CSI. La loro casa, prima di ogni altra cosa. Fra i ringraziamenti del libro ho messo tutta la mia generazione. Sentirsi vicini e persino speranzosi dipendeva anche da realtà come quella. Essere comunità era una realtà. Intorno ai CSI c’erano i Marlene Kuntz, i Disciplinatha, gli Yo Yo Mundi e tanti altri. Sarebbe bello raccogliere i ricordi di tutte le band e gli artisti che sono passati attraverso il CPI. Credo che per tutti loro sia stata un’esperienza memorabile. In quegli anni d’altra parte c’era il dominio di MTV e di alcune Major. Poi c’era il mondo indipendente che si muoveva in modo compatto. Magari in altre realtà nazionali questo era già consolidato, ma da noi, per tutto il pubblico intendo, i CSI erano un modello virtuoso, lo sapevamo e lo apprezzavamo.

 

Dopo la fine anche dell’esperienza PGR e il ripiegamento dei singoli nelle carriere soliste, qual è il lascito dei CSI?

La fine dei CSI è stata a suo modo silenziosa perché gli anni a cavallo fra i ’90 e il nuovo millennio sono stati caotici, imprevedibili e rumorosi. Ci sono state strade soliste che ciascuno ha perseguito tornando alle proprie origini, o esplorando nuove strade. Credo però che oggi, che sono passati ormai 25 anni dall’anno 2000, dalle Torri gemelle e dal G8, dopo la fine della storia, insomma, la storia stia tornando, insieme a un’esigenza diffusa di mettere dei punti fermi sulle cose. È qualcosa di estremamente umano: facciamo bilanci anche quando non ce n’è bisogno, ma adesso farlo è sintomo di un mutamento, perché è qualcosa di necessario. E quando è così, quello che accade è di riprendere i riferimenti più importanti, ricontestualizzarli per comprendere. È in questo punto preciso che i CSI si dimostrano ancora vivi, oggi. Il loro lascito è stato senz’altro più grande di quello che si immaginava allora, perché allora nessuno immaginava questo futuro, mentre guardandoci indietro possiamo vedere chiaramente quanto bene loro abbiano saputo essere raconteurs e profetici. Scrivere di loro non è stato soltanto un atto d’amore, ma un processo di (ri)conoscenza necessario.

Alessio Barettini - libro CSI

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