Il cuore rock di Pino Scotto
Il Castello pubblica il libro di Massimo Villa sullo storico cantante
È proprio il caso di dirlo: Pino Scotto non ha bisogno di presentazioni. E non solo ai lettori di Jam. Una delle personalità storiche del rock italiano non ha bisogno di essere presentato, ma è interessante raccontarlo. Raccontarne la storia, la gloria e la resistenza in periodi difficili, l’amore per la musica che lo ha salvato, compresa tutta l’aneddotica di prammatica in casi del genere. E il modo migliore per raccontare è svelarsi a un giornalista che raccolga tutto in una appassionante biografia: è quanto ha fatto Pino con Massimo Villa in Cuore di rock ‘n’ roll – Una vita meravigliosamente stonata (Chinaski – Il Castello editore). Ne parliamo con Villa.
Una vita meravigliosamente stonata, caro Massimo. Non credo che Pino si riferisse all’intonazione in senso tecnico, ma ciò che sorprende ancora oggi, a 45 anni dalla nascita dei Vanadium, è il “meravigliosamente”…
Beh, Pino si riferisce di certo a una carriera straordinaria, che, nonostante gli eccessi, lo ha mantenuto “vivo” sia musicalmente che come essere umano, oltre che contribuire al successo del rock e hard rock italiano, cosa decisamente non trascurabile. Scotto è l’esempio di come mantenendosi genuini si possa rimanere coerenti con sé stessi ed essere un caposaldo del genere ormai da generazioni.
La vita di tanti capisaldi rock come lui è piena di riscatto e redenzione. Tanti sono partiti dal basso, da John Lennon a Ozzy. Anche per Pino il rock è stato veicolo di salvezza?
Indubbiamente sì. Tutto è stato fatto (ogni eccesso) “con gioia”, come ricorda lui stesso, e in nome della musica. Il rock è stata ed è la sua vita, senza non avrebbe proceduto allo stesso modo. Pino è “un sopravvissuto”, ma sopravvissuto bene: il fatto che a 76 anni sia ancora su un palco e pubblichi dischi lo testimonia.
A proposito di anni e di età. Procidano classe 1949, Pino emigra a Milano dove muove i primi passi. Quali sono state le influenze che lo hanno guidato?
Uno su tutti, il blues. Come si vede anche dal tributo fatto nell’ultimo album, tutta quella che è stata “la musica del diavolo” lo ha influenzato. E poi le grandi band hard rock che ne hanno tratto a piene mani, alla Whitesnake, per intenderci. Ma il blues rimane centrale. Non è passato disco in cui Pino non lo “nominasse” in qualche modo. Il suo desiderio di tornare alle radici è palese.
I Vanadium sono un capitolo importante per la storia del rock italiano, eppure ancora oggi non sono molto studiati o celebrati. Qual è stato secondo te il loro lascito?
Un lascito fondamentale. Ogni band italiana che ha deciso di fare prima hard rock e poi metal in Italia deve loro qualche cosa. Hanno fatto quello che nessuno pensava di fare nel nostro paese a quei tempi. Senza Pino e compagnia, il nostro amato genere non sarebbe lo stesso.
Quel genere è da sempre legato ai vizi e alla trasgressione e le storie di Pino sono generose in tal senso. È la cultura rock a condurre alla sregolatezza o ci sono altre motivazioni?
Il successo, la voglia di evadere, il sentirsi “arrivato”, la fama, le donne. Per ognuno c’è stata una motivazione, o più, diversa. Non penso che altri generi evadano dagli eccessi, però. Mi sono sempre chiesto come mai faccia più notizia un musicista metal che beve e “si diverte”, piuttosto che uno che suona musica dark o pop, combinando di fatto le stesse cose.
Negli anni ’90 Pino è stato attivo su tanti palchi e in tanti studi all’insegna del classico rock italiano, penso anche ai Fire Trails. Qual è stato il filo conduttore?
A rischio di ripetermi, direi la coerenza. Pino ha sempre fatto quello che aveva voglia di fare, dicendo a tutti quello che pensava, anche musicalmente. Non si è mai venduto, nonostante le occasioni per farlo ci fossero state, e questo lo ha anche penalizzato in termini di popolarità, ma sicuramente ha dormito meglio la notte… Anzi no, di notte non dormiva!
Non dormiva di notte e andava anche in Tv. Pensi che il suo ruolo televisivo, tra l’agitatore e il demagogo rock, gli abbia giovato?
Alla fine penso di sì, è parte di lui, non poteva prescinderne. Non lo fa per posa, è la sua natura. Si sarebbe dovuto comportare in un modo non suo, quindi la domanda vera è “Gli ha giovato essere sé stesso?”… Forse no, per il music business, direi di sì per tutto il lato umano della vicenda.
Pino ti ha raccontato il rapporto con la politica, ti ha anche rivelato la sua ammirazione per Enrico Berlinguer. L’adesione al M5S è in linea con il suo passato?
Certo, anche se alla fine, forse, è rimasto in qualche modo deluso. Lui idealizza molto, ha un suo codice di onestà intellettuale e morale. Il suo “fare politica” rimane legato a scendere in mezzo alla gente e spronarli a rivoltarsi contro chi vuole annebbiare il loro cervello, per un motivo o per l’altro.
E Pino Scotto oggi, nell’epoca di crisi della discografia e anche del rock, ha ancora un ruolo e uno spazio?
Certamente. L’ultimo album The Devil’s Call, insieme a questo libro, è la conferma materiale. Scotto ancora oggi può insegnare tanto alle nuove generazioni, specialmente cosa vuol dire sudore, abnegazione e sacrificio. Cose non banali.








