Ottavo Richter – One Man, One Girl (Live @ Jam TV)

Alessandro Sicardi e Luciano Macchia degli Ottavo Richter ci fanno ascoltare dal vivo negli studi di Jam TV “One Man, One Girl”, nuovo brano tratto dal loro nuovo album “GIF”

Janis Joplin

4 ottobre 1970 – Addio Janis Joplin

Janis Joplin non si è fatta vedere per tutto il giorno e Seth Morgan, il suo fidanzato, la sta cercando da ore senza successo…

 

Oggi, 4 ottobre 1970

Hollywood, California.

Sono le 19.30 quando John Cook, fotografo e road manager di Janis Joplin, sale nella camera del Landmark Hotel dove da un paio di settimane vive la cantante texana.

Janis non si è fatta vedere per tutto il giorno e Seth Morgan, il suo fidanzato, la sta cercando da ore senza successo. È molto preoccupato. John Cook, al telefono, prova a rassicuralo ma, appena fa il suo ingresso nella camera, vede la ragazza riversa, tra letto e comodino. Non ha neppure bisogno di toccare il suo corpo, già freddo e rigido: capisce subito che Janis è morta. Eppure, aveva deciso di smetterla con l’eroina. E ce l’aveva fatta.

Poi, lì, nel sud della California mentre stava registrando l’album Pearl, Janis Joplin aveva nuovamente incontrato George, il suo pusher preferito. Quello che, per sicurezza, faceva sempre testare la droga da un chimico di fiducia.

Ma quella volta George non ha fatto alcun test.

L’eroina che ha venduto a Janis è da 4 a 10 volte più potente della media ed è pura al 50%. Mescolata alla vodka e al whisky che la Joplin ha bevuto qualche ora prima si trasforma in una miscela fatale. “Non ho mai sentito nessuna bianca cantare il blues come Janis Joplin”, aveva scritto, tre anni prima sulle pagine del San Francisco Chronicle, il celebre critico musicale Ralph Gleason.

Da oggi, non la sentirà mai più.

Janis Lyn Joplin aveva 27 anni.

Sinéad O'Connor e la foto del Papa

3 ottobre 1992 – Sinéad O’Connor strappa in diretta tv la foto del Papa

Ospite del Saturday Night Live c’è Sinéad O’Connor che a un certo punto strappa in diretta la foto di Papa Giovanni Paolo II

 

Alla fine del brano, Sinéad O’Connor estrae una foto di Papa Giovanni Paolo II, e (mentre la straccia con disprezzo) dice: “Fight your real enemy”, combatti il vero nemico

 

Oggi, 3 ottobre 1992

New York, studi del network televisivo NBC. Questa sera, ospite del celebre show Saturday Night Live c’è la controversa rockstar irlandese Sinéad O’Connor. Vestita completamente di bianco e (come sempre) rasata a zero, Sinéad presenta in diretta al pubblico americano la canzone che dà il titolo al suo nuovo album: Am I Not Your Girl?

Dopo di che, decide di cantare un brano di Bob Marley, il discusso War, un pezzo che denuncia lucidamente e con puntualità i mali del mondo occidentale. Derivate da un discorso del 1963 fatto all’Onu dal re etiope Haile Selassie (la reincarnazione di Dio, secondo i seguaci della dottrina Rasta), le parole di War recitano che “sino a quando esisteranno razze superiori e razze inferiori, sino a quando gli uomini verranno giudicati per il colore della loro pelle, sino a quando continueranno a esserci cittadini di serie A e di serie B, allora ci sarà Guerra”.

Il pezzo, già messo al bando dalla tv americana per la sua presa di posizione antioccidentale, assume ancora maggior forza nella versione a-cappella, e cioè per sola voce, di Sinéad e per la sua intensa interpretazione. Non solo.

Alla fine del brano, Sinéad O’Connor estrae una foto di Papa Giovanni Paolo II, e (mentre la straccia con disprezzo) dice: “Fight your real enemy”, combatti il vero nemico.

La NBC riceve 5000 telefonate di protesta (tra le quali quella di Frank Sinatra che dichiara che se dovesse mai incontrare Sinéad le darebbe un pugno in faccia) e una multa di 2 milioni e mezzo di dollari.

Quando, meno di due settimane dopo Sinéad O’Connor (che non ha rilasciato dichiarazioni dopo la sua apparizione televisiva) ritorna in America per partecipare al 30° compleanno discografico di Bob Dylan riceve un’amara sorpresa. Il pubblico del Madison Square Garden la fischia e la insulta: lei non riesce a cantare la prevista cover di Dylan, accenna un paio di strofe a-cappella di War dopo di che crolla in lacrime tra le braccia di Kris Kristofferson.

Cat Stevens - America

29 settembre 1972 – L’America di Cat Stevens

Cat Stevens inizia allo Shrine Auditorium di Los Angeles, California, il tour in America (ben 31 date, tutte sold out)

 

Oggi, 29 settembre 1972

Los Angeles, California

Lo Shrine Auditorium, il teatro hollywoodiano che ospita la serata degli Oscar, apre le sue lussuose porte a una stella del pop inglese.

Cat Stevens inizia proprio qui il tour in America (ben 31 date, tutte sold out) che promuove il suo ultimo album, Teaser And The Firecat.

Al disco (che ottiene da subito un grande successo di pubblico e di critica) è abbinato un libro per bambini scritto e illustrato dallo stesso Cat Stevens. Racconta le avventure di Teaser (ragazzino con un cappello a cilindro) e del suo gatto Firecat. Il loro compito non è dei più semplici: devono riportare la luna al suo posto dopo che è cascata dal cielo.

Il concerto si apre con cartone animato in cui Teaser e il suo gatto vanno sulla luna seguendo le note di Moonshadow, una delle canzoni più belle dell’album. Il brano, pieno di spiritualità, insegna ad avere fede e speranza in ogni momento della vita, anche nella peggiore delle circostanze.

“Ero in vacanza in Spagna”, racconta Cat Stevens, “in una minuscola località in cui non c’era nemmeno l’energia elettrica. Una notte camminavo per strada illuminato solo dalla luce della luna: per la prima volta mi sono accorto che la luna poteva fare ombra …”.

Ispirato da questa esperienza, Cat Stevens scrive Moonshadow, destinato a diventare uno dei suoi brani più popolari e più amati.

Miles Davis

28 settembre 1991 – Muore Miles Davis

Al St. John’s Hospital di Santa Monica, California, muore per infarto cardiaco Miles Dewey Davis III, per tutti semplicemente Miles Davis

 

Oggi, 28 settembre 1991

Santa Monica, California.

Al St. John’s Hospital muore per infarto cardiaco Miles Dewey Davis III, per tutti semplicemente Miles Davis, uno dei più grandi geni della musica del 900. Ricoverato qualche giorno prima per un semplice controllo, a Davis vengono diagnosticate una forte bronchite e gravi difficoltà respiratorie. I medici decidono che è necessario intubarlo: ma l’artista si ribella in modo talmente violento da causare quell’infarto che risulta poi fatale. Circondato dai parenti più stretti, Miles scompare all’età di 65 anni.

Un paio di mesi prima, Davis (già provato dalla malattia e visibilmente indebolito) si era esibito in un concerto memorabile a Montreux, in Svizzera. Lì, nel corso della 25° edizione del prestigioso Jazz Festival, l’8 luglio era salito, per la prima volta, sul palco insieme a Quincy Jones. I due, accompagnati dalle grandi orchestre di Gil Evans e George Gruntz, hanno dato vita a un evento epocale: in un’ora e mezza hanno ripercorso la formidabile parabola davisiana, da Birth Of The Cool a Sketches Of Spain.

“Ero riuscito a convincere Miles a tornare alle sue radici di imbattibile bopper”, aveva scritto un commosso Quincy Jones nelle note di copertina del disco.

E anche se il respiro stava diventando affannoso e il suono leggermente più debole, la sua inimitabile tromba acida, ficcante, splendente e affilata come la rama di un rasoio aveva continuato a stagliarsi superba sulle note delle sue composizioni rivitalizzando, con apparente facilità, classici senza tempo. Sepolte nel Woodland Cemetery di New York, le spoglie di Miles Davis riposano nella tomba a fianco di quella di Duke Ellington.

David Bowie, "Heroes"

23 settembre 1977 – David Bowie pubblica il singolo “Heroes”

Esce in tutto il mondo il singolo “Heroes”, title-track del secondo album della cosiddetta trilogia berlinese di David Bowie

 

Oggi, 23 settembre 1977

Esce in tutto il mondo il singolo “Heroes” di David Bowie che lancia l’omonimo album del rocker inglese. È il secondo episodio di quella che, tra il 1977 e il 1979, viene definita la “trilogia berlinese”, cominciata con Low e conclusasi con Lodger.

Per le registrazioni di “Heroes”, Bowie sceglie lo studio Hansa By The Wall dalla cui finestra si può vedere il muro con le Guardie Rosse e il filo spinato a fare da inquietante sfondo.

Il talento di Brian Eno (compositore e produttore inglese già al fianco di Bowie in Low) e la fascinosa, quasi glaciale, atmosfera della Berlino di quei giorni producono un’energia intensa, palpabile, che favorisce una formidabile complicità tra gli artisti.

Non appena esce, “Heroes” viene accolto in modo trionfale da pubblico e critica: Bowie dice che nell’album non vi è nulla di intimo e personale, ma che è semplicemente frutto dell’osservazione di Berlino, della sua gente, dei suoi bar, della tristezza di quei giovani, ma pure della loro tenace volontà di non cedere alla rassegnare.

Anche la canzone “Heroes” racconta una comune storia berlinese: quella di un amore passionale tra due ragazzi che s’incontrano furtivamente sotto il muro. Una scena che Bowie dice di aver visto più volte dalla finestra dello studio ma che poi riesce ad arricchire con un ritornello drammatico: Sì, mi ricordo / Stavamo in piedi accanto al Muro / E i fucili sparavano sopra le nostre teste / E noi ci baciavamo come se nulla ci potesse accadere / La vergogna era dall’altra parte / E noi sapevamo che potevamo batterli, ancora e per sempre / E che potevamo essere eroi, anche se solo per un giorno.

Leonard Cohen

21 settembre 1934 – Nasce Leonard Cohen

A Montréal, Canada, nasce Leonard Norman Cohen, primo figlio maschio di Nathan e Masha

 

Oggi, 21 settembre 1934

Montréal, Canada

Nasce Leonard Norman Cohen, primo figlio maschio di Nathan e Masha. Entrambi ebrei emigrati dall’est Europa, i coniugi Cohen hanno un negozio di abbigliamento a Westmount, sull’isola di Montréal.

A soli 9 anni, il piccolo Leonard rimane orfano del padre: lui, la sorella maggiore Esther e la madre Masha devono tirarsi su le maniche anche se il lascito paterno consente a Leonard di proseguire a proprio piacimento gli studi.

A 15 anni, Cohen legge le poesie di Garcia Llorca e imbraccia, per la prima volta, una chitarra. Questi due eventi gli cambiano la vita.

Dopo aver conseguito un diploma presso la McGill University, si dedica interamente alla sua passione principale: la scrittura di poesie e racconti.

Per trovare ispirazione, parte per l’Europa e si stabilisce a Hydra, un’isola greca. Lì, scrive in modo prolifico e lì prendono vita anche le sue prime canzoni.

Nel 1967 ritorna in America. Si trasferisce a New York dove frequenta, seppur in modo marginale, la Factory di Andy Warhol restando influenzato dalla bellezza e dall’arte di Nico. Nello stesso anno, John Hammond (leggendario producer della Columbia) ascolta le sue canzoni e decide di metterlo sotto contratto. Nasce così Songs Of Leonard Cohen, album di debutto del poetico songwriter canadese: un album scuro, melanconico ma pieno di suggestione e poesia, che (come i lavori successivi) non raggiunge le vette delle classifiche ma è in grado di influenzare profondamente intere legioni di cantautori, Fabrizio De André su tutti.

Nel 2008, Cohen (che è il cantante preferito di Carlo d’Inghilterra) ha ricevuto la massima onorificenza del Québec (quella di Grand Officer) ed è diventato membro della Rock ‘n’ Roll Hall Of Fame. Oggi, a più di 80 anni è ancora sul palco a esibirsi: le sue canzoni continuano ad allietare le vite di milioni di appassionati.

Bruce Springsteen: in arrivo l’autobiografia Born To Run

Il Boss sta per pubblicare la sua autobiografia dalla quale emerge che anche lui…

18 settembre 1970 - Muore Jimi Hendrix

18 settembre 1970 – Muore Jimi Hendrix

Sono le 11 e 45 circa quando il corpo di Jimi Hendrix giunge esanime all’ospedale St. Mary Abbot’s di Kensington, a Londra…

 

Oggi, 18 settembre 1970

Londra. Ore 11 e 45 circa, quando il corpo di James Marshall Hendrix giunge esanime al pronto soccorso dell’ospedale St. Mary Abbot’s di Kensington. Lì, dopo essere stato identificato dal road manager inglese Gerry Stickells, viene analizzato dal Dottor Seifert, medico legale, che ne dichiara ufficialmente la morte.

Ore 12 e 45. L’analisi successiva, condotta dal coroner di West London, Dottor Gavin Thurston, conferma il primo referto: a soli 27 anni, Jimi Hendrix, il più formidabile chitarrista rock della storia, muore per soffocamento dopo aver ingurgitato il proprio vomito. Il tutto causato da una probabile intossicazione da barbiturici.

Hendrix si era addormentato qualche ora prima al Samarkand Hotel, di Notting Hill, nell’appartamento di Monika Danneman, ex-campionessa tedesca di pattinaggio e sua fidanzata di quei giorni.

Monika dichiara che Hendrix ha preso dei tranquillanti per dormire. E che il medicinale ingerito (il Vesparax) era molto forte: in genere la posologia era mezza pasticca, ma pare che Jimi se ne sia ingoiate nove. La miscela di alcol, amfetamine e barbiturici ha infine prodotto lo stato comatoso dal quale non s’è più risvegliato. Secondo Monika, lei e Jimi hanno chiacchierato amabilmente sino alle 7 del mattino prima di addormentarsi in due letti diversi. Verso le 10 e 30 lei lo ha trovato svenuto in una pozza di vomito. In preda al panico, ha telefonato a Eric Burdon (celebre cantante degli Animals e grande amico di Hendrix) che le dice di chiamare subito un’ambulanza.

Qualcuno sostiene che gli infermieri accorsi sul posto, vedendo un nero (probabilmente drogato) in stato comatoso, non abbiano fatto tutto quello che avrebbero potuto e dovuto. Anche Monika è convinta di non aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto e potuto.

Distrutta dai sensi di colpa e travolta dalla pesante eredità spirituale, Monika Dannemann vive sino al 1996 dipingendo quadri con soggetto Hendrix nel ritiro della campagna inglese di Seaford. Proprio lì, il 5 aprile di quello stesso anno, si suicida con il gas di scarico della sua auto. Nella sua tomba finiscono anche gli ultimi misteri relativi alla morte del “figlio del voodoo”.

Il suono adulto dell’ingenuità: viaggio tra le forze della Musica

L’8 settembre 2016, presso la galleria Biffi Arte di Piacenza, Franco Mussida ha inaugurato una personale delle sue opere, frutto di una ricerca trentennale tra arte e scienza sul tema dei poteri della Musica sulla struttura affettiva

Beatles: nelle sale “Eight Days A Week” (e intanto sul fronte Rolling Stones)…

Diretto da Ron Howard, è al cinema dal 15 al 21 settembre, ed è volto a celebrare soprattutto l’attività live dei Beatles: è “Eight Days A Week”

Little Richard - Tutti Frutti

15 settembre 1955 – Tutti Frutti: com’è nato il brano di Little Richard

Nei famosi studi di Cosimo Matassa si registra un brano che entrerà nella storia del rock: Tutti Frutti di Little Richard

 

Oggi, 15 settembre 1955

New Orleans, Louisiana

Nei famosi studi J&M di Cosimo Matassa si completa la registrazione, iniziata ieri, di un brano destinato a entrare nella storia del rock.

Lo ha scritto e interpretato Little Richard Penniman, formidabile pianista e cantante di colore che da alcuni anni cerca di farsi notare ma che non ha ancora trovato il brano giusto con cui sfondare. In lui, crede ciecamente Robert “Bumps” Blackwell, producer della Specialty Records, che gli prenota gli studi e ingaggia per quelle session la back up band di Fats Domino.

Dopo aver ascoltato un paio di canzoni (che a suo parere non funzionano) Blackwell chiede a Little Richard di suonargli quel brano frizzante che c’era nel demo che gli aveva spedito qualche mese addietro. Un pezzo che inizia con una specie di scioglilingua che sembra imitare una rullata di batteria e che poi si trasforma in un trascinante rock ‘n’ roll.

In realtà, quel brano ha origini lontane. Little Richard lo ha ascoltato da un vecchio 78 giri di Slim e Slam del 1938, ne ha mantenuto il titolo (Tutti Frutti) ma ne ha profondamente modificato testo e struttura musicale.

Lo ha sperimentato in alcuni locali gay (che lui frequenta abitualmente) tanto che le parole della canzone contengono ammiccamenti e modi di dire in uso tra gli omosessuali. Per questo, Blackwell contatta al volo la cantautrice di New Orleans Dorothy LaBostrie, una che non ha grande senso melodico, ma che sa scrivere testi brillanti. È lei a sostituire alcune parole incriminate con altre di slang “pulito” più confacenti all’America puritana di quegli anni.

Nonostante il brano (nell’interpretazione originale di Little Richard) raggiunga un buon posto in classifica, diventa una hit epocale nella versione assai più edulcorata di Pat Boone (bianco, giovane, belloccio e rassicurante) e in quella ancor più celebre di Elvis Presley.

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