Dieci cose che ho imparato al concerto di Mark Knopfler del 3 maggio al Forum di Assago (non è vero: alcune le sapevo già, ma facciamo finta che).
1) L’espressività è un talento impagabile. Non è tecnica, come pensano alcuni. E non è nemmeno attitudine, come amano dire altri. È un’altra cosa. È molto meglio e permette di fare grandi cose anche a musicisti privi di presenza scenica. È la capacità di comunicare suonando uno strumento. MK lo fa con una facilità sconcertante. Come mi ha detto il suo co-produttore Chuck Ainlay, «è incredibile in quanti modi le sue dita riescono a far vibrare le corde».
2) Per entrare nella band di MK devi sapere suonare bene almeno un paio di strumenti. Il batterista è esentato.
3) Coi musicisti che si porta dietro, MK può permettersi di cambiare line-up ogni poche canzoni. C’è il gruppo allargato per i momenti folk, con uillean pipes e violino. C’è il quartetto rock modello primi Dire Straits. C’è il combo blues con batteria, contrabbasso, armonica (udibile solo vagamente) e chitarra. Unica nota stonata: certi suoni di sintetizzatore di Guy Fletcher. Gli anni ’80 sono finiti un quarto di secolo fa.
4) Il pubblico apprezza anche i pezzi meno noti della discografia solista di MK, ma quando arrivano le canzoni dei Dire Straits non c’è storia: l’entusiasmo è doppio. L’incolmabile divario fra storia e attualità.
5) C’è un elemento rituale nel modo in cui si aspettano certi momenti dell’assolo di Sultans Of Swing (io l’avrei voluto più fluido e brioso, ma va bene così) o il passaggio dalla resofonica all’elettrica di Romeo And Juliet. È confortante, abituati come siamo a legare la ritualità a fattori extramusicali. A un concerto di MK l’espressione “amante della musica” riacquista senso.
6) I concerti sono acquistabili su chiavetta a forma di Stratocaster rossa su www.markknopfler-live.com (30 euro), eppure i registratori personali sono ammessi in sala. Non è una bella cosa?
7) La dico in maniera soft: dal vivo MK non è un cantante appariscente. La dico in modo più secco: a volte MK dà l’impressione di fare il minimo indispensabile per articolare il canto. Ma alla fine uno quasi non se ne accorge. O forse se ne accorge ascoltando i file della Stratochiavetta.
8) Un tempo pensavo che il rock fosse una cosa sola. Pensavo che che dovesse mirare allo stomaco. I concerti di un artista “seduto” (metaforicamente) come MK mi ricordano che il rock è diventato un linguaggio vasto. C’è posto per tutti. Chi vuole convincervi che il rock debba essere solo come lo vuole lui (colto e raffinato, o al contrario sgangherato e viscerale) sta mentendo. Diffidate.
9) Lo vado ripetendo da anni e qui lo faccio nuovamente: questo è uno spettacolo perfetto per le dimensioni di un teatro. E infatti il parterre era stato attrezzato con file di sedie (per la cronaca: Forum sold out, 8.500 persone). Perché allora non farlo in una sala più piccola, con l’atmosfera giusta e un contatto visivo più diretto coi musicisti? Qualche mese fa l’ho chiesto a Guy Fletcher. Mi ha risposto così: «Finché i biglietti si vendono, perché mai dovremmo rinunciare alle sale grandi?».
10) MK è un fenomeno transgenerazionale. Davanti a me c’era una bimba che avrà avuto sì e no 6 anni con addosso una t-shirt del tour. Mi sembrava sinceramente emozionata di vedere da vicino quel chitarrista sulla soglia dei 64. Più in là c’era una signora coetanea di MK non meno felice della bambina. Poco dietro, un tizio ha effettuato una chiamata con l’iPhone per fare ascoltare Telegraph Road a qualcuno. Ho aguzzato la vista: sullo schermo c’era scritto “Papà”.