24/07/2024

Le fanzine come avamposto di libertà

Flaco Edizioni pubblica Fanzine Culture di Francesco Ciaponi

 

Cosa si cela dietro il “fascino della carta stampata”? L’anno scorso Maurizio Inchingoli, con Musica di carta: 50 anni di riviste musicali in Italia (Arcana), ha provato a spiegarlo raccontando mezzo secolo di informazione musicale (qui la nostra intervista). Ora Francesco Ciaponi interviene in chiave più ampia – oltre che trasversale e multiculturale – affrontando il fenomeno delle fanzine con Fanzine Culture (Flaco Edizioni). Se vogliamo parlare ancora di fascino, quello per le fanzine non è dovuto all’effetto nostalgia ma all’attrazione per un significativo spazio di libertà. Ne parliamo con l’autore.

 

Attrazione per uno spazio di libertà: per capire il fascino delle fanzine possiamo partire da questo dato?

Direi proprio di Sì, dopo tutto in questi anni i miei studi e ricerche si sono sempre più specializzati sul tema della comunicazione, in particolare quella marginale e indipendente e non ho ancora trovato linguaggi – nel libro parlo di medium – in cui la libertà espressiva è così centrale, addirittura direi fondante, come è nelle fanzine.

 

Hai approfondito con equilibrio e attenzione un fenomeno che, come detto, va oltre l’informazione avvicinandosi a una temperie controculturale. Quali sono state le motivazioni che hanno spinto alla creazione delle fanzine?

Da un punto di vista generale, possiamo sostenere che l’essere umano ha da sempre una spiccata propensione a comunicare con i suoi simili ed a farlo con ogni mezzo possibile che nei secoli o si è trovato o si è costruito con i mezzi di volta in volta a disposizione come il bricoleur descritto da Claude Lévi-Strauss nel suo Il pensiero selvaggio. Le fanzine rispondono a questa innata esigenza nel modo più democratico, libero e accessibile che si possa immaginare. Le motivazioni nascono da qui, dal semplice piacere di creare dei contenuti che nessuno ci ha chiesto, con cui ci sentiamo affettivamente coinvolti e che vogliamo condividere con i nostri simili. Questo stato di cose, ed è questo forse l’aspetto interessante e originale delle ‘zine, prescinde addirittura dal “cosa” si intende comunicare, dai contenuti insomma che, infatti, possono abbracciare qualsiasi argomento ci passi per la testa.

 

Soffermiamoci, per i lettori di Jam, sullo specifico delle fanzine musicali. Quali sono state le loro peculiarità rispetto a fanzine dedicate ad altri argomenti?

Facciamo due esempi che credo rispondano bene alla tua domanda.

Le fanzine musicali, mi riferisco qui alle pubblicazioni nate inizialmente negli Stati Uniti ed in Inghilterra nei primi anni ‘60, nascono esattamente seguendo quanto detto in precedenza; uno sparuto numero di giovani inizia ad avvertire l’esigenza di condividere contenuti relativi ad una “nuova” musica che sta diffondendosi e che porta con sé uno specifico stile di vita. Crawdaddy, Rolling Stone e Creem nascono proprio come fanzine distribuite per strada dai loro fondatori, almeno inizialmente del tutto estranee alle logiche del mercato e alle regole editoriali e grafiche allora imperanti.

Stessa storia la ritroviamo in Italia negli anni ‘70 con realtà quali Pogo o T.V.O.R. che spingono dal basso il fenomeno ribelle e sovversivo del punk attraverso il desiderio di sentirsi parte di quelle che oggi definiamo community ma che in ambito fanzinaro sono presenti nelle stesse forme fin dalle origini. Unica differenza, questa unione di intenti avveniva in presenza, con i corpi che stavano insieme, vicini, intenti ad assaporare il gusto dell’essere insieme, qui e ora.

Negli ultimi anni, sia pure in un ecosistema culturale come quello musicale sprofondato in una profonda crisi a causa del mutato rapporto fra produttori e consumatori modificato drammaticamente dalle piattaforme digitali, le fanzine restano un media ancora assai utilizzato dalle nicchie di appassionati di sottoculture musicali quali la techno, l’hardcore, il rap o la rave culture.

Esiste un punto, che spesso mi piace evidenziare, su cui credo si debba fare una riflessione: nella contemporanea riscoperta dell’editoria indipendente, sia essa riconducibile agli indie mags o alla produzione di fanzine, il settore musicale stenta ancora oggi a riprendersi i suoi spazi. Contrariamente alle altre “nicchie”, quelle musicali infatti non hanno ancora saputo cavalcare questa che per molti è una vera e propria rinascita, resta da capire il perché di tale difficoltà.

 

Il mondo punk è stato l’ambiente principale per la crescita delle fanzine, a differenza dall’ambiente hippie/freak che lo aveva preceduto. Come mai lo spirito DIY ha attecchito qui in modo così forte?

L’underground psichedelico si poneva l’obiettivo di cambiare il mondo attraverso il cambio degli individui. Il punk non si poneva nessuno obiettivo se non quello di esistere e mostrarsi come “altro” rispetto a tutto ciò che lo circondava. Da questa distanza concettuale si capisce il perché le zine siano state il naturale linguaggio espressivo adottato da un movimento che intendeva mostrare la propria disillusione nei confronti della società. Etica do it yourself, nichilismo esistenziale, urgenza di comunicare, rifiuto delle regole e delle etichette, rottura con le estetiche precedenti; questi pochi punti credo dimostrino quanto le fanzine siano state coerenti con lo spirito originario del punk ed abbiano contribuito alla costruzione di un forte spirito comunitario.

Da  un punto di vista formale poi, proprio le fanzine fotocopiate in bianco e nero e pinzate, hanno creato un’estetica che, per molti, ancora oggi rappresenta lo stile di riferimento, una scelta politica manifestata con orgoglio, che continua a rivendicare il low-fi come risposta ad un sistema – quello mainstream – che impone al contrario la sempre più alta qualità visuale, la cancellazione di ogni imperfezione, la post-produzione mediatica e l’imposizione di standard formali che però, per fortuna dico io, non tutti sono disposti ad accettare.

 

Il termine “fanzine” spesso è stato fuorviante, visto che ha dirottato l’attenzione sulla dimensione amatoriale, ma come tu stesso specifichi alcune fanzine hanno utilizzato pratiche non proprio ingenue o da semplici amatori, basta pensare al détournement. Vuoi citarci qualche esempio di fanzine particolarmente attenta a questo elemento?

Così al volo, mi vengono in mente due esempi distanti fra loro, ma che ben evidenziano come, molto spesso in maniera del tutto inconsapevole, gli autori di fanzine si muovano con dinamiche sperimentali tali da essere ricondotti alle esperienze delle ben più citate e studiate avanguardie artistiche.

Da un lato, l’esperimento tentato nel 1968 da The Other Scenes, rivista underground fondata da John Wilcock a New York in pieno clima psichedelico in cui un intero numero uscì completamente bianco, solo carta da far riempire ai propri lettori; un modo anticonformista e originale per perseguire quella interattività con i lettori, caratteristica tipica di molte avanguardie e in generale dell’editoria indipendente.

Altro esempio, molto più vicino nel tempo, rimanda al numero 13 di Suppergiù, zine di Simone Macciocchi del 2021 che parla il medesimo linguaggio provocatorio e anticonvenzionale – direi quasi di confine – di molte esperienze del passato. Per certi versi si tratta di una fanzine che non esiste in quanto non è stata stampata, ma è visibile, anche se ogni volta differente. Non esistono nemmeno veri autori: le combinazioni tra le parole, così come le immagini, vengono generate in modo casuale dalla macchina. L’esperimento lo potete trovare qua:

https://www.thismagazinedoesnotexist.com/

Gli esempi potrebbero essere davvero molti, ma ciò che credo sia importante è sottolineare una volta di più quanto solo con la completa libertà di sperimentare si possano imboccare, non sempre in maniera lineare e programmatica, processi creativi davvero originali che poi spesso tendono a creare un ecosistema coerente.

 

Altra caratteristica è stata la creazione di reti, in anticipo sul social network. Perché questa esigenza storica di innescare delle connessioni?

È una specifica caratteristica dell’essere umano, quella di avvertire l’esigenza di costruire legami e relazioni di gruppo attraverso la condivisione di interessi, si tratta dello stesso fenomeno che riscontriamo sulle piattaforme che però sottostanno alla ingente e invasiva datafication da parte delle grandi aziende informatiche.

Esiste poi uno speciale gusto – sempre più diffuso nella società cosiddetta postmoderna – nel sentirsi parte di qualcosa di piccolo, ristretto, oserei dire esclusivo. Una tendenza questa che nelle fanzine esiste fin dalla loro comparsa e che si manifesta in continui rapporti di reciprocità, scambio e influenze. Una vera e propria miniera da cui scaturiscono idee e creatività che vengono messe in circolo attraverso le fanzine stesse e che non sono state minimamente intaccate dalla distanza fisica che invece accompagna la comunicazione digitale.

 

Uno dei temi chiave del libro è il passaggio dal ciclostilato al digitale: la libertà di espressione che si aveva in passato è rimasta uguale nel virtuale?

Dal mio punto di vista la risposta categorica è NO!

Non esiste in nessun caso la possibilità di paragonare la libertà di espressione fra i due medium e questo lo riscontriamo su due livelli distinti ma ugualmente criticabili.

Da un lato esistono online tutta una serie di limitazioni che impediscono, per esempio, di mostrare aspetti della sessualità e del nostro corpo che invece nelle zine sono da sempre assai presenti, orgogliosamente rivendicati, proprio a testimoniare la dimensione “altra” del concetto di libertà che esiste nel mondo reale a dispetto di quello digitale.

Inoltre, e su questo credo esista la maggior distanza fra i due medium, la citata datafication fa sì che la comunicazione e i contenuti creati in ambienti digitali siano in fondo “solo” capitale culturale che in prima istanza va ad arricchire le grandi corporation finendo addirittura, come sosteneva già a suo tempo McLuhan, per modificare sia il modo di fruire contenuti che quello di crearli, sempre più segretamente costretti a seguire certe dinamiche per ottenere un minimo di visibilità algoritmica. Illuminante a questo proposito ritengo sia il libro Poptimism di Massimiliano Raffa che tratta il fenomeno musicale estendibile però anche al resto della produzione “dal basso” di cui stiamo parlando e di cui la fanzine rappresenta ancora oggi l’avamposto in assoluto più libero e imprevedibile che si possa immaginare.

Fanzine Culture - Francesco Ciaponi

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