11/11/2013

Grazie a tutti

Le ultime “buone vibrazioni” cartacee di Jam – Viaggio nella Musica

Vent’anni di pubblicazioni, oltre 200 numeri, decine di migliaia di articoli e recensioni: il nostro “viaggio nella musica” termina qui. Per ora…

Me lo ricordo come fosse ieri.
Era il Natale del 1993 e mi trovavo a New York.
All’angolo tra Broadway e East 4th Street c’era un bellissimo Tower Records, uno dei negozi della catena californiana (oggi purtroppo fallita) che vendeva dischi, video, libri e riviste musicali: un palazzo di quattro piani dove ci potevi passare un’intera giornata.
Una volta giunto nel corner riservato ai periodici, mi cade l’occhio su una rivista fantastica, patinata, con in copertina il grande John Lee Hooker.
Nome del giornale: Mojo.
«Nico, gli americani sono troppo avanti…», dico alla mia, già allora, pazientissima signora. «Guarda qua: un giornale che parla di blues di 150 pagine, rilegato e con foto di altissima qualità…».
Dopo aver comprato quel numero di Mojo scopro che, in realtà, quello è un mensile pubblicato in Inghilterra e che, a dispetto della copertina e della galleria di vecchi bluesman, è una rivista di classic rock… Ma tu pensa, proprio l’idea che avevo in mente e che stavo proponendo in quel periodo a Marialina Marcucci, editore di VideoMusic.
Una volta tornato a Milano, contatto il direttore di Mojo, Paul Du Noyer, e gli propongo di farne una versione italiana. Per motivi vari, la cosa non va in porto, ma non per questo naufraga il progetto di realizzare in Italia un mensile su quella falsariga.
Sta di fatto che, nell’ottobre del 1994, esce il primo numero di JAM: formato anomalo, carta riciclata, grafica innovativa e molte firme illustri del giornalismo musicale (da Guido Harari a Roberto Gatti, da Riccardo Bertoncelli a Enzo Gentile, Ivo Franchi e Massimo Cotto).
L’idea, sin dall’inizio, è stata quella di fare informazione e divulgazione musicale nel modo più obiettivo possibile, senza faziosità e senza approcci “ideologici” rivolgendosi all’appassionato per proporgli interviste con i protagonisti, approfondimenti, recensioni sperando di far conoscere il meglio del panorama italiano e internazionale.
Speriamo di esserci riusciti.
Come avete letto nel mio editoriale a inizio giornale, oggi purtroppo non ci è più possibile proseguire in questo nostro progetto.
Ma abbiamo voluto, per così dire, chiudere in bellezza con un numero celebrativo e (perché no) “da collezione” anche per ringraziare tutti coloro che ci hanno permesso di realizzare questa bellissima avventura durata vent’anni.
Ho sempre trovato triste vedere una pubblicazione, un programma radio/tv, un festival o qualsiasi altro progetto di comunicazione terminare il proprio percorso senza dire nulla.
E, soprattutto, senza ringraziare i propri lettori/ascoltatori.
Ma anche coloro che, per primi, hanno dato vita al giornale e ne hanno rappresentato il “cuore pulsante”: da Roberto Monesi che ha cominciato al mio fianco a Claudio Todesco che lo ha seguito fino ad oggi. Da Roberto Caselli, insostituibile direttore responsabile, a Paolo Vites, Massimiliano Spada e Stefania Milanello, la nostra preziosa segretaria di redazione. Senza contare i tantissimi collaboratori che hanno portato entusiasmo, competenza e passione in ogni numero.
Se JAM ha potuto contare su una grafica professionale e accattivante lo si deve al progetto iniziale di Sandro Rigotti e Valter Minelli, e all’importante, successivo lavoro di quest’ultimo, sino al passaggio di consegne ad Alessandro Zanoni e Alessandra Tau, responsabili degli ultimi dieci anni di grafica e ideazione di nuovi logo.
Un grazie va a Fabio Lucchetta che ha fatto da interfaccia con il mondo della stampa e a tutti i distributori che hanno commercializzato il prodotto.
Infine, un ringraziamento speciale va agli inserzionisti che nel tempo ci hanno sostenuto e a discografici, promoter, uffici stampa e agenzie di management la cui collaborazione ci ha permesso di fare un servizio informativo puntuale e corretto.
Se volete, ci trovate in Rete perché il sito www.jamonline.it continua il suo percorso. E poi… tomorrow never knows.

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