Il 5 luglio del 1954, mentre Elvis Presley registra That’s All Right a Memphis, Joe Jackson se ne sta tornando a casa a Gary, Indiana, cittadina industriale a sudest di Chicago. Per lui, quella è solo un’altra dura giornata di lavoro in fonderia, alla U.S. Steel. Dura e noiosa. Soprattutto per Joe, ex pugile con la passione per la musica. Ci aveva provato, con suo fratello Luther, a mettere su una band, The Falcons. Ma non se li era filati nessuno. E così la U.S. Steel sembra l’unica soluzione per sfamare la moglie Katherine Scruse e i tre figli (Rebbie, Jackie e Tito) nati dopo il loro matrimonio, nel novembre del 1945. Non solo: Katherine è di nuovo incinta. Così quando, tre giorni dopo, Joe ascolta la nuova puntata del Red Hot & Blue, lo show radiofonico di Dewey Phillips, come milioni di altri giovani americani, rimane incantato dalla voce di un ragazzetto semisconosciuto che viene da Tupelo, Mississippi. Joe è convinto che quell’Elvis sia un nero. E fa a se stesso una promessa. «Prima o poi» dice «la musica entrerà nuovamente a far parte di questa famiglia». Quattro anni dopo, quando Elvis Presley è già il re del rock’n’roll e sta per partire per il servizio militare, Joe Jackson non ha ancora mantenuto il suo impegno. In compenso, Katherine ha dato alla luce altri cinque figli: Jermaine, La Toya, i gemelli Marlon e Brandon (che muore appena nato) e, il 29 agosto del 1958, il piccolo Michael. Qualcuno dice che a Joe la lampadina si sia accesa il giorno in cui ha pescato Tito a suonare la sua chitarra. «E se facessi una band con i miei ragazzi?», pensa. Molti sostengono che non ci fosse bisogno di un talent scout per scoprire le straordinarie doti del giovanissimo Michael: erano sotto gli occhi di tutti, persino dei suoi compagni d’asilo che lo vedono esibirsi durante uno show di Natale quando ha appena 5 anni. Quando ne ha 8, nel 1966, insieme a Jackie, Tito, Jermaine e Marlon, Michael è già il frontman dei Jackson 5, l’invenzione del Joe padre-padrone: balla come un dio e canta con lo stesso feel di Sam Cooke, Marvin Gaye e Stevie Wonder. Joe ce l’ha fatta: la musica entra di nuovo a far parte della famiglia Jackson.
Nel 1968, mentre Elvis fa il suo Comeback Special rivendicando la corona di re del rock, Michael Jackson e i suoi fratelli firmano un contratto per la Motown iniziando così una carriera stellare. Che è ancora al top quando, il 16 agosto del 1977, Elvis viene trovato morto sulla tazza del bagno di Graceland, la sua “reggia” di Memphis. Due anni prima, nel 1975, Presley non è presente all’MGM Grand Hotel And Casino di Las Vegas per gli show dei Jackson 5. Ma c’è Lisa Marie, sua figlia, che ha 7 anni ed è «cotta marcia» di Michael. I due ragazzini si conoscono in quella circostanza ma, come tutti sanno (illazioni, polemiche e scandali inclusi), diventano marito e moglie quasi vent’anni dopo, il 26 maggio 1994. In quel momento, nella privacy della Repubblica Dominicana, le vite di Michael Jackson (che la sua amica Elizabeth Taylor ha ribattezzato il re del pop) e di Elvis Presley (indiscusso re del rock) vengono ufficialmente saldate da vincolo parentale. In realtà, le esistenze dei due sovrani della musica del Ventesimo secolo sembravano già segnate da un disegno superiore. Entrambi ragazzi prodigio, Elvis e Michael hanno rappresentato la quintessenza del sogno americano. Tutti e due provenienti dalla provincia, cresciuti in famiglie povere e in un contesto socio-culturale difficile, sono riusciti a emergere grazie al loro talento, alla loro determinazione, al loro modo unico di esprimersi. Elvis è stato il massimo esempio di all american boy, ma anche il primo bianco che cantava con groove e stile afro-americano, che si muoveva in modo talmente sexy da essere ritenuto «volgare come un negro» (parole di Ed Sullivan, il grande anchorman televisivo che ha preteso che Elvis fosse ripreso dal bacino in su per non turbare le coscienze dei telespettatori). Jacko è stato il primo nero a piacere ai bianchi in modo indiscriminato, anzi ha fatto pure di più: oltre ad aver creato, come Elvis, una nuova danza e un nuovo modo di muoversi e di vestirsi, ha persino inventato una nuova razza e un nuovo sesso. Entrambi hanno superato confini e barriere razziali, sociali e sessuali abbattendo pregiudizi in modo forse inconsapevole ma non per questo meno efficace. Sono diventati fenomeni planetari, hanno venduto più dischi di chiunque altro e creato di se stessi un mito che ha finito per schiacciare le loro esistenze. Pur essendo talenti smisurati, per i loro fan erano icone, da vedere. Punto e basta. Per questo, la musica, la loro grande musica, è spesso passata in secondo piano. Così come le loro vite private, distrutte dal pettegolezzo, dallo scandalo, dalla mal gestione di chi si è occupato di loro perché loro erano troppo occupati a essere Elvis e Jacko. Bambini mai cresciuti, si sono entrambi rifugiati in mondi fatti a loro immagine e somiglianza: Graceland per Presley e Neverland per Jackson. Terrorizzati dal tempo che scorre e dalla paura del riflettore che si spegne, hanno provato (senza riuscirci) a trovare rimedi impossibili: dalla chirurgia estetica alle armi da fuoco, da mise improbabili alla camera iperbarica. Solo alcol, tranquillanti e barbiturici potevano quietare le loro nevrosi, stordendoli e rendendoli zombie umani, proprio come quelli che danzavano a fianco di Michael nel video di Thriller. Non a caso, Jacko l’ha oltrepassata di poco, mentre Elvis non l’ha proprio superata la fatidica soglia dei 50 anni, quella che porta ciascun essere umano a confrontarsi con un altro lato della vita.
E, forse, per loro è stato meglio così.
Tratto dal nostro archivio. L’articolo è stato pubblicato su Jamonline.it il 16 settembre 2009
Nel 1968, mentre Elvis fa il suo Comeback Special rivendicando la corona di re del rock, Michael Jackson e i suoi fratelli firmano un contratto per la Motown iniziando così una carriera stellare. Che è ancora al top quando, il 16 agosto del 1977, Elvis viene trovato morto sulla tazza del bagno di Graceland, la sua “reggia” di Memphis. Due anni prima, nel 1975, Presley non è presente all’MGM Grand Hotel And Casino di Las Vegas per gli show dei Jackson 5. Ma c’è Lisa Marie, sua figlia, che ha 7 anni ed è «cotta marcia» di Michael. I due ragazzini si conoscono in quella circostanza ma, come tutti sanno (illazioni, polemiche e scandali inclusi), diventano marito e moglie quasi vent’anni dopo, il 26 maggio 1994. In quel momento, nella privacy della Repubblica Dominicana, le vite di Michael Jackson (che la sua amica Elizabeth Taylor ha ribattezzato il re del pop) e di Elvis Presley (indiscusso re del rock) vengono ufficialmente saldate da vincolo parentale. In realtà, le esistenze dei due sovrani della musica del Ventesimo secolo sembravano già segnate da un disegno superiore. Entrambi ragazzi prodigio, Elvis e Michael hanno rappresentato la quintessenza del sogno americano. Tutti e due provenienti dalla provincia, cresciuti in famiglie povere e in un contesto socio-culturale difficile, sono riusciti a emergere grazie al loro talento, alla loro determinazione, al loro modo unico di esprimersi. Elvis è stato il massimo esempio di all american boy, ma anche il primo bianco che cantava con groove e stile afro-americano, che si muoveva in modo talmente sexy da essere ritenuto «volgare come un negro» (parole di Ed Sullivan, il grande anchorman televisivo che ha preteso che Elvis fosse ripreso dal bacino in su per non turbare le coscienze dei telespettatori). Jacko è stato il primo nero a piacere ai bianchi in modo indiscriminato, anzi ha fatto pure di più: oltre ad aver creato, come Elvis, una nuova danza e un nuovo modo di muoversi e di vestirsi, ha persino inventato una nuova razza e un nuovo sesso. Entrambi hanno superato confini e barriere razziali, sociali e sessuali abbattendo pregiudizi in modo forse inconsapevole ma non per questo meno efficace. Sono diventati fenomeni planetari, hanno venduto più dischi di chiunque altro e creato di se stessi un mito che ha finito per schiacciare le loro esistenze. Pur essendo talenti smisurati, per i loro fan erano icone, da vedere. Punto e basta. Per questo, la musica, la loro grande musica, è spesso passata in secondo piano. Così come le loro vite private, distrutte dal pettegolezzo, dallo scandalo, dalla mal gestione di chi si è occupato di loro perché loro erano troppo occupati a essere Elvis e Jacko. Bambini mai cresciuti, si sono entrambi rifugiati in mondi fatti a loro immagine e somiglianza: Graceland per Presley e Neverland per Jackson. Terrorizzati dal tempo che scorre e dalla paura del riflettore che si spegne, hanno provato (senza riuscirci) a trovare rimedi impossibili: dalla chirurgia estetica alle armi da fuoco, da mise improbabili alla camera iperbarica. Solo alcol, tranquillanti e barbiturici potevano quietare le loro nevrosi, stordendoli e rendendoli zombie umani, proprio come quelli che danzavano a fianco di Michael nel video di Thriller. Non a caso, Jacko l’ha oltrepassata di poco, mentre Elvis non l’ha proprio superata la fatidica soglia dei 50 anni, quella che porta ciascun essere umano a confrontarsi con un altro lato della vita.
E, forse, per loro è stato meglio così.
Tratto dal nostro archivio. L’articolo è stato pubblicato su Jamonline.it il 16 settembre 2009