11/12/2024

I testi e la poetica dei CCCP secondo Michele Rossi

Baldini+Castoldi pubblica Condotti da fragili desideri, un viaggio nella poetica di Ferretti e Zamboni

 

Lo stato di grazia impera. Concluso il tour estivo dei CCCP, pubblicata la graphic novel Tanno di Michele Petrucci su Giovanni Lindo Ferretti, il cerchio si chiude con un nuovo, autorevole libro in materia. Lo ha scritto Michele Rossi e si intitola Condotti da fragili desideri. Parole e liturgie dei CCCP Fedeli alla Linea (Baldini+Castoldi). Dieci anni fa l’autore toscano aveva pubblicato Quello che deve accadere, accade con Giunti: dalla biografia di Ferretti e Zamboni è passato a un arguto e colto commentario di testi dei CCCP. Lo incontriamo appena uscito il libro, con lui entriamo nel dettaglio.

 

Lo stato di grazia al quale ha fatto riferimento Ferretti ha fatto sì che si mettesse in circolo la nuova energia che ha risvegliato la cellula dormiente. Tutto si è messo in moto, tutto torna: mostra, concerti, libri e soprattutto la risposta del pubblico. Qual è il segreto profondo, autentico, dei CCCP?

Il progetto culturale dei CCCP è stato, per i quattro componenti del gruppo post-punk, qualcosa di molto forte a livello emotivo: «Una storia d’amore e dei loro sentimenti», come loro stessi dichiaravano quarant’anni fa, ma anche un po’ dei miei sentimenti, di chi li ascolta, di chi si riconosce ancora nelle loro inquietudini, nel malessere e nelle devastazioni interne e esterne cantate. Perché i CCCP sono sempre stati profondamente legati alla realtà e all’accadimento delle cose. Sono degli anti-divi contemporanei, che non significa, come affermava Giorgio Agamben, aderire al proprio tempo, ma trovarsi in una posizione di sfasatura che permetta di cogliere il lato oscuro delle cose, invece di ciò che sta in piena luce. Ferretti e Zamboni hanno saputo comprendere la realtà circostante non nella sua staticità, ma nel suo divenire. Il segreto dei CCCP sta nella loro necessità espressiva e nella loro onestà intellettuale.

 

Dieci anni fa avevamo apprezzato il tuo testo dedicato alla coppia Ferretti-Zamboni, di cui hai seguito con devozione e cura il percorso. Oggi torni con un lavoro sulle canzoni dei CCCP. Ne hai individuate 19: con quale criterio hai compilato la scaletta dalla quale restano fuori, ad esempio, pezzi come And the radio plays?

Tempo fa mi sono reso conto che alcune vicende narrate nella mia biografia si potevano arricchire capovolgendole, passando cioè dalle esperienze di vita e dalle avventure artistiche di Ferretti e Zamboni ai testi delle loro canzoni. Conservo in casa un archivio sterminato che li riguarda: manifesti, comunicati, pile di riviste e di quotidiani degli anni ‘80 contenenti interviste e recensioni; tante registrazioni e una infinità di libri, molti dei quali letti da Ferretti e Zamboni e comunque necessari per interpretare le loro canzoni. Mi sono, quindi, messo al lavoro con l’entusiasmo e l’incoscienza di un adolescente che ascolta e legge i loro testi per la prima volta. Ho interrogato le loro canzoni come se fossero delle autobiografie in codice e una stratificazione di citazioni letterarie, e per alcuni anni ho vissuto dentro a questi testi. Tra pause e accelerazioni, ho preso appunti ogni momento libero, per cercare di scavare nel profondo delle loro canzoni. Lo confesso: frequentandoli, mi hanno aiutato a sciogliere i nodi interpretativi più difficili. Mi sono però, in modo particolare, soffermato sul significato e sul significante di alcune loro parole che continuano a provocarmi, ogni volta che le ascolto, emozioni fortissime.

Alla fine ho selezionato diciannove testi, perché mio intento era di comporre un concerto ideale dei CCCP con alcune di quelle canzoni in cui l’espressione poetica si manifesta in tutta la sua potenza.

 

Commentare una canzone non è solo un’esegesi, lo dimostri entrando in profondità, cogliendo connessioni storiche, letterarie, artistiche. Possiamo dire che, nello stesso modo in cui la canzone italiana ha segnato un’epoca, anche i CCCP hanno offerto un contributo importante alla cultura popolare italiana?

Refrattari a qualsiasi canone e canonizzazione, i CCCP sono stati un’avanguardia culturale del “secolo breve”, per dirla con il titolo di un noto libro dello storico britannico Eric Hobsbawm, a cui ho fatto riferimento per ricostruire alcuni avvenimenti storici e politici narrati. Per essere più precisi, i CCCP sono stati l’ultima avanguardia italiana del Novecento. Hanno espresso in modo inedito ciò che è visibile ed è a disposizione di tutti, ma è distratto dall’automatismo della percezione. Le canzoni dei CCCP sono canzoni pensanti: cercano tramite immagini poetiche di pensare e di dar da pensare, non di piacere al pubblico ma di far riflettere. Non solo raccontano qualcosa di pre-esistente a tutti noi, ma danno a pensare qualcosa di nuovo, che è poi l’atteggiamento tipico delle avanguardie. I CCCP creavano un cortocircuito nelle idee correnti e nell’opinione pubblica. E se ancora sono così tanto seguiti, forse è perché ci sono riusciti.

 

È inevitabile tirare in ballo le letture, la formazione, gli orizzonti di Ferretti. Se volessimo individuare autori e autrici che lo hanno ispirato, quali nomi si potrebbero fare?

Giovanni ai tempi dei CCCP leggeva un libro al giorno, quattro o cinque libri alla volta, divorando un volume dopo l’altro. Adorava i libri sull’Est Europa, sulle religioni, sulle culture orientali e sul Medioevo. Poi la letteratura francese. Tra le sue autrici preferite, Simone Weil e Marguerite Yourcenar. Il modo di scrivere di Ferretti ricorda a volte quello di Erri De Luca, autore da lui molto letto fino agli anni ‘90. Correva a comprare i romanzi dello scrittore napoletano, ex militante di Lotta continua, appena usciti in libreria. Questo, se vogliamo rimanere agli anni Ottanta. Vuoi sapere qual è uno dei suoi autori preferiti di adesso?

 

Spara…

Cormac McCarthy. Giovanni sostiene che è il più immaginifico, metafisico e concreto con i suoi paesaggi narrati che sovente sono inseparabili dai protagonisti e dalle storie.

 

CSI e PGR erano caratterizzati da una musicalità e un’estetica diverse, dunque anche da una scrittura differente. Era venuta meno una liturgia?

Liturgia, ha spiegato Zamboni in un suo scritto, significa “azione per il popolo”, meglio ancora servizio di pubblica utilità, e per i CCCP voleva dire mettersi a disposizione degli spettatori e ascoltatori, darsi senza rete, senza infingimenti, in modalità assoluta, senza mediazioni.

Anche nella loro successiva esperienza artistica, quella con i CSI, c’era una onestà assoluta, ma tutto era diverso. La musica aveva il sopravvento e si era dissolto l’elemento carnale, performativo, di Danilo Fatur e Annarella Giudici, che non era di poco conto… I CCCP mettevano in scena un teatro selvaggio “strapazzando” la musica. La loro povertà musicale era il loro pregio maggiore, mentre i CSI nascono al servizio della musica. L’ultimo gruppo di Ferretti, quello formato dagli ex CSI senza Zamboni, i Per Grazia Ricevuta, vide la luce con la sperimentazione musicale di Hector Zazou, anche se poi intraprese altre strade.

 

Tema spinoso, la spiritualità conservatrice – “arcaica”, sottolinea lui – di Ferretti. Era già visibile, tangibile all’epoca dei CCCP?

Devo necessariamente far riferimento alla vita privata di Ferretti, al suo ritorno a casa, cioè alla casa dei suoi genitori, dove aveva vissuto fino all’età di cinque anni. Occorre tornare al mese di settembre del 1986, quando ha preso la residenza a Cerreto Alpi. Ha fatto ritorno nella casa in cui era cresciuto con la sua adorata nonna Maddalena, nel borgo di montagna tanto amato. Ma Cerreto rappresenta per lui anche il ritorno alla casa del Padre, al cospetto della Creazione, perché in montagna Ferretti si è riappropriato delle stagioni, del ciclo lunare, del tempo liturgico. Ha ritrovato posto tra le creature.

Socialismo e barbarie, che è il loro secondo album dei CCCP uscito nell’aprile del 1987, contiene già una canzone come Libera me Domine. E poi che dire di Madre incisa nel 1989 nel disco Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa e dell’ultimo loro disco, Epica, Etica, Etnica, Pathos, dove c’è Paxo de Jerusalem? Ricordate? «Misericordioso Dio/ giusto clemente Dio/ onnipotente Iddio/ l’unico Dio che io adoro…».

 

Ferretti è parola, voce, volto, immagine dei CCCP, ma c’è anche Zamboni. Quanto Massimo c’è nella rilettura dei testi che hai svolto?

Il cantore e paroliere dei CCCP è Giovanni, è indubbio. Ma delle volte Massimo dava contributi determinanti alla nascita dei testi. Ho scelto tra le tante canzoni incise dai CCCP (sono più di sessanta), quelle composte da Zamboni prima che conoscesse Ferretti: Noia e Sono come tu mi vuoi, riviste poi da Giovanni. Del chitarrista sono anche, come spiego nella pagine del mio libro, alcuni versi di Io sto bene e l’intro di Mi ami?.

 

Il disco più maturo – il più suonato, giunto alla fine di un percorso complicato – è Epica Etica Etnica Pathos. Le vicende di Villa Pirondini hanno contribuito alla nascita di un certo tipo di sound, ma quel ritiro fu influente anche sui testi?

Più che il luogo, la differenza l’ha fatta Gianni Maroccolo: musicista sui generis, “indipendente”, bassista e produttore di questo doppio Lp del 1990, che considero uno dei più belli della loro produzione musicale. È a Maroccolo che si deve l’idea di trovarsi tutti assieme in una casa per comporre, registrare e mixare il disco, di non chiudersi cioè in uno studio che per i CCCP era sempre stata una autentica tortura, ma di lavorare liberamente con tempi più dilatati, perché con l’attrezzatura giusta si poteva incidere ovunque.

Beh, poi a Maroccolo si deve la scelta di portare con sé nel gruppo Francesco Magnelli e Giorgio Canali, ai quali poi si aggiunse Ringo De Palma che se ne andò nella maniera più drammatica. Per la prima volta, in un disco dei CCCP c’era un batterista! Ovviamente vivere tutti assieme in una sorta di comune, significò condividere per alcune settimane vita e musica, dai quali derivarono risultati sorprendenti. Villa Pirondini fu, insomma, un’avventura artistica creativa, almeno per Giovanni e Massimo e i transfughi dei Litfiba, meno per Fatur e Annarella.

 

Rileggendo la ricca bibliografia emerge un dato: i CCCP sono un gruppo osservato, analizzato, vivisezionato. Abbiamo tirato fuori tutto dalla loro vicenda o pensi ci siano degli aspetti ancora da studiare?

Ogni canzone dei CCCP si presta a molte interpretazioni, perché molti versi sono delle visioni. Per quanto riguarda il rapporto CCCP/anni ‘80, CCCP/movimento punk e CCCP/produzione musicale di quel decennio, molto è stato detto, scritto, studiato. Mesi fa sono stato invitato a scrivere un articolo per un numero monografico di una interessante rivista accademica interdisciplinare, intitolata Engramma, dedicata alla «psicofenomenologia» dei CCCP.

È arrivato il momento di passare agli anni ‘90. Sto lavorando da tempo a un canzoniere commentato dei CSI, con molti aneddoti, racconti inediti, riferimenti a tanti romanzi e autori del Novecento, e alla grande Storia. Cosa è la letteratura se non un’apertura a una voce che mette a fuoco il vivente, a qualcosa che ci riguarda? Questo sono stati per me i CCCP: grande letteratura.

Condotti da fragili desideri - Michele Rossi - CCCP

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