07/05/2014

Intervista a Ian Anderson

“Homo Erraticus”: un album di Ian Anderson o dei Jethro Tull?
(Foto: Alex Pavlou)
 
L’uomo errante. In inglese The wandering man. In latino e nell’intenzione di Ian Anderson Homo Erraticus. È questo infatti il titolo del nuovo album del frontman dei Jethro Tull uscito per la sua etichetta, la Calliandra Records.
I testi dell’album “sono stati scritti” da Gerald Bostock, il (fittizio) bambino prodigio che “compose anche” Thick As A Brick nel 1972 e molti anni dopo, nel 2012, ispirò Ian Anderson per Thick As A Brick 2. La sua nuova opera è incentrata su un manoscritto mai pubblicato e scritto dallo storico amatoriale Ernest T. Parritt.
Homo Erraticus è un’opera complessa suddivisa in tre parti legate tra loro da folk, rock e metal e soprattutto dall’esperienza di un artista leggendario che in carriera ha venduto 60 milioni di dischi e che adesso è qui, nella hall di un albergo milanese, pronto per essere intervistato.
 
Nelle note di quest’album si legge che è un album dei Jethro Tull, ma sulla copertina c’è scritto il tuo nome, Ian Anderson…
(Ride, ndr) Beh, chiunque ascolti le prime canzoni o la musica associa le prime note alle influenze dei Jethro Tull. C’è il flauto, la musica rock, cos’altro vuoi che sia? Ovviamente sono i Jethro Tull! Sia quello che sia, in questo disco comunque c’è quello che faccio da 45 anni. Scrivo musiche, testi, suono il flauto e ho amici “chiassosi” che suonano le chitarre, la batteria… Faccio quello che ho sempre fatto. Per me i Jethro Tull significano soprattutto tre cose: prima di tutto il repertorio, il catalogo, gli album attraverso tutti questi anni… È un’esperienza che mi ha coinvolto molto anche nell’arrangiamento o da produttore e poi spesso sono tecnico del suono, suono il flauto o la chitarra, canto, sono manager della band, gestisco le finanze dal 1974… I Jethro Tull hanno un grande repertorio e ne vado molto fiero.
L’altra cosa che mi rende orgoglioso dei Jethro Tull è il nome, perché è la mia grande famiglia fatta di amici e colleghi. Ho un buon rapporto con tutti. Sono in contatto con la maggior parte di loro.
Della terza cosa non ne vado fiero. Ho rubato il personaggio, il carattere, il nome. Ho guadagnato con Jethro Tull. Nome vero, persona vera (Jethro Tull, 1674-1741. Agronomo inglese, pioniere della moderna agricoltura e inventore della prima seminatrice meccanica, ndr)… Mi sento in imbarazzo per questo… ma penso comunque che per il resto della mia carriera, fase creativa ecc. il nome da usare è Ian Anderson.
 
Ma quindi fare un album a nome Ian Anderson ha portato anche a un cambiamento nella produzione di questo disco o è semplicemente un cambio di nome?
Io in genere lavoro da solo. Ho provato qualche volta a fare musica con altra gente, ma non mi sento a mio agio. Sono abituato a lavorare da solo con la mia libertà e la mia immaginazione. Adesso potrei andare nell’altra stanza e uscire dopo 2 ore con un brano. Non il migliore, ma probabilmente nemmeno il peggiore. Sicuramente però sarebbe una canzone. A volte ci metto anche 3-4 ore per una canzone. Poi sto sullo stesso pezzo e registro, mixo… Per registrare quest’album ci ho messo 12 giorni. Complessivamente 3 settimane in tutto.
 
Chronicles, Prophecies and Revelations sono le tre parti in cui è suddiviso Homo Erraticus
Questo l’ho deciso il secondo giorno. Ho fatto tipo una piccola scaletta. Dal punto di vista musicale ho trovato temi, melodie e armonie che mi è piaciuto ripresentare più volte nell’album. È stato un bel lavoro. Le stesse melodie le ho messe in contesti diversi. Questo è quello che le persone fanno quando scrivono una sinfonia…
 
Nel nuovo tour suonerai solo le nuove canzoni o anche i vecchi brani?
In una prima parte suoniamo Homo Erraticus, poi pausa di venti minuti e poi per un’ora facciamo il mio best of dei Jethro Tull. In quest’ora facciamo anche cose inusuali, tipo 2-3 pezzi che non suoniamo da 40 anni. Stiamo provando e vediamo cosa succede.
 
Suonerai in Italia?
Sì, sarò a luglio per qualche data. Poi torneremo nel 2015 per fare i teatri. Penso sempre in blocchi di due anni, perché è la misura del tempo in cui lavoro. Non chiedermi cosa farò nel 2016 perché ancora non lo so, ma spero di essere impegnato!
 
Ma comunque ti diverti ancora adesso a suonare in tour dopo 30 o 40 anni?
Sì e mi piace poter suonare anche musica nuova, ma deve essere resa più accessibile per chi non la conosce. Per questo motivo uso video o rendo le mie performance teatrali perché siano più accessibili per il pubblico e per chi non conosce la mia musica. Poi comunque faccio anche quello che voglio e la cosa mi diverte.
 
Quanti concerti fai all’anno?
Probabilmente 110 o 100. Vorrei farne meno. Tipo 80. Forse qualcuno in più, ma non 100 perché vorrei avere il tempo di godermi la mia famiglia, la mia casa…
 
Produci altri gruppi con la tua etichetta, visto che già il tuo disco è stato pubblicato su Calliandra Records?
No, assolutamente no. Mettere i propri soldi per produrre qualcosa o promuovere concerti è troppo rischioso. Non voglio fare una cosa del genere, perché non ne ho il tempo, né voglio iniziare “a giocarci attorno”. È risaputo che i Beatles lo hanno fatto con la Apple quando Apple significava qualcos’altro. Cercavano di aiutare altri artisti, dandogli una casa con la loro musica. È molto altruistico, ma non ho intenzione di fare una cosa del genere. Se voglio aiutare qualcuno musicalmente lo faccio in un altro modo. Se mi chiedono per esempio “puoi suonare su una mia registrazione?”, io dico “mandami un mp3 o una take o quello che è” e se mi piace e ho tempo, lo faccio. E non fa niente se è famoso o se è qualcuno che non ho mai sentito. Probabilmente penso “come posso fare questa cosa?” e diventa una sfida trovare il modo in cui farla.
Sin dalla prima vera volta in cui ho suonato una cosa che non ho mai suonato, dopo che mi hanno chiesto “quanti soldi vuoi?”, ho sempre rifiutato. Quando ho suonato per qualcun altro non ho mai avuto soldi, non ho mai chiesto soldi, non sono mai stato pagato. Non avrei mai voluto accettare soldi per registrare qualcosa. Lo faccio 3-4 volte all’anno. Qualche volta con qualcuno che ho sentito nominare… Ritchie Blackmore (ride, ndr)…
 
In generale ascolti altra musica o hai altri interessi?
No, non ascolto tanta musica. Quando ero un teenager ovunque potessi ascoltavo blues, jazz, poi musica black e ascoltavo tanta musica anche quando ho iniziato a studiare per suonare in maniera professionale. Non sono stato con le orecchie chiuse per il resto del tempo, ma non mi piace avere troppa musica nella mia vita, perché ogni giorno spendo 2-3 ore su ogni parte della mia musica, suonandola dal vivo, registrandola, scrivendola… 2-3 ore al giorno sulla musica sono tante. Le persone che mi preoccupano sono quelle che lavorano in studio al mastering ogni giorno, trascorrendo dalle 8 alle 10 ore con la musica per prendere decisioni davvero importanti, curare i dettagli… In 10 ore io diventerei pazzo, romperei le finestre, scapperei via… quando fai un disco lavori 10 ore al giorno per 3-4 settimane ed è dura. E quindi quando finisco un disco o un tour non corro subito a casa per ascoltare un cd. Voglio solo silenzio…
 
Ultima domanda: visto che hai cominciato a fare musica oltre 45 anni fa, quale traguardo vuoi raggiungere adesso?
In realtà non ho una vera ambizione. Un giorno so che non potrò più suonare il flauto molto bene, la mia mano non sarà più così veloce e potrei avere qualche malattia, alcuni problemi fisici… Un giorno sarà finita. Fra due anni, dieci anni, un giorno… Ma non sarà definitivamente così perché penso che la mia mente continuerà ancora a funzionare.
Mi piacerebbe fare quello che stai facendo tu. Mi piacerebbe scrivere. Non sono sicuro di cosa vorrei scrivere. Probabilmente non vorrei fare un’autobiografia. Potrebbe essere noiosa. Né vorrei fare un romanzo. Dev’essere qualcosa basata sulla realtà ma con qualche tocco di fantasia. Qualcosa di relativamente breve, un migliaio di parole, non so, purché ci sia un senso compiuto. Un po’ come scrivere testi senza la musica. E quando non potrò nemmeno scrivere vuol dire che mi dedicherò al tennis professionistico, gareggerò a Wimbledon, farò lo sciatore o prenderò quel viaggio di sola andata per Marte… Vedremo!

 
Recensione: Ian Anderson – “Homo Erraticus”
  

 

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