26/02/2013

Kris Kristofferson

Il bilancio in musica di una vita intera. Dai ricordi di una gioventù “immortale” alla gratitudine per una vecchiaia appagante. Produce Don Was

«Il songwriting è sempre stato uno specchio della mia vita. Cerco di essere il più onesto possibile quando scrivo, altrimenti è inutile. Alla mia età, sto scoprendo, con grande sorpresa, di essere più incline al sorriso che al pianto. Spero di rimanere così creativo e appagato finché non mi seppelliranno».
A 76 anni, dopo una vita da ribelle in cui «ho fatto di tutto per morire giovane senza mai riuscirci», Kris Kristofferson inizia a riflettere sulla propria mortalità, e prova un forte senso di gratitudine per lo straordinario percorso umano e artistico compiuto. «Ringrazio la mia buona stella da qui all’eternità, per l’artista che sei e per l’uomo che hai fatto di me», canta nell’evocativa title track rivolgendosi direttamente a «Dio onnipotente».

Dopo This Old Road (2006) e Closer To The Bone (2008), il nuovo album Feeling Mortal – sempre prodotto da Don Was – va a completare una sorta di trilogia sulla vita del songwriter di Brownsville che, sebbene non sia più «prolifico come un tempo», rimane un maestro indiscusso nell’arte dello storytelling. Lo dimostra il brano di chiusura Ramblin’ Jack (probabilmente in parte dedicato all’amico Ramblin’ Jack Elliott e in parte autobiografico), iniziato quando era giovane e “immortale” e completato oggi alla luce dell’esperienza accumulata. Questo processo di rielaborazione di alcuni vecchi brani «che non sono stati eseguiti in pubblico e che ritengo molto meritevoli» è interessante, perché sfocia nel bilancio in musica di una vita vissuta al confine con la leggenda. «Appartengo alla strada / mi perdo nell’anima di una canzone / e lotto per il diritto di sbagliare», canta Kristofferson in You Don’t Tell Me What To Do, un valzer lento ma fiero che racconta «una storia triste ma vera».

Il suo corpo è invecchiato e la sua voce incerta, ma vale sempre la stessa regola: «Non provate a dirmi cosa devo fare». Don Was lo sa bene. Ha capito che il suo songwriting non ha bisogno di fronzoli, arriva dritto al punto. E Feeling Mortal non fa eccezione. La tavolozza sonora è leggermente più ricca rispetto ai precedenti lavori, ma ogni singola nota è al servizio della canzone. Kristofferson ha posto le basi dell’album in soli tre giorni, registrando un totale di 20 brani, 10 dei quali sono poi stati arrangiati da Was con l’aiuto di Mark Goldenberg (chitarra), Sean Hurley (basso), Greg Leisz (chitarre, pedal steel), Aaron Sterling (batteria), Matt Rollings (tastiere) e Sara Watkins (violino, voce). Dalle polverose atmosfere messicane della title track al valzer elettrico in odore di tex-mex Bread For The Body con il violino in prima linea, dalle oscure confessioni acustiche di Just Suppose, che scivolano sulle corde di un dobro, a quelle di My Heart Was The Last One To Know, un gioiellino scritto nel 1970 a quattro mani con l’amico Shel Silverstein, Feeling Mortal è vibrante ed evocativo, ma al contempo fragile, oscuro e precario come la natura umana.

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