17/06/2013

La nuova, vecchia California degli Allah-Las

Il surf e la psichedelia, gli anni ’60 e i Duemila, gli esordienti e le leggende del rock. Ecco come cambia l’immaginario californiano

Si chiamano Allah-Las, vengono da Los Angeles, sono in quattro, hanno da poco pubblicato l’esordio omonimo e mischiano luoghi comuni californiani con omaggi alla musica psichedelica di Byrds e 13th Floor Elevators. Incontro il chitarrista e cantante del gruppo Miles Michaud alle 11 di sera al Lo-Fi, il locale alla periferia milanese dove si stanno per esibire. Ci accomodiamo fuori, seduti a parlare tra la gente che aspetta l’esibizione della band, e più che un’intervista sembra una chiacchierata. Gli chiedo l’origine del nome del gruppo. «Ci piaceva il suono e soprattutto il fatto che sia collegato al Medio Oriente. Siamo fan della musica psichedelica di quei Paesi, soprattutto degli anni ’60-70. Ci piace molto anche la musica surf, penso a Dick Dale. È anche un omaggio alle Shangri-Las e ai La’s».

Siete stati paragonati a vari gruppi anni ’60 e ’70, c’è qualche gruppo nuovo che vi piace e che considerate d’ispirazione per la vostra musica?
«Siamo da sempre grandi fan di Ariel Pink’s Haunted Graffiti [artista anni 2000]: gli artisti che hanno influenzato lui poi hanno ispirato noi. Siamo fan dei Tame Impala. Sono una band straordinaria. Ci piacciono un sacco di nuove band, come i Foxygen, e in generale la scena psichedelica che si sta sviluppando in California, c’è quasi un senso di comunità, con le band che si influenzano l’un l’altra».

L’immaginario californiano gioca un ruolo importante nella vostra musica, cosa puoi dirci a riguardo?
«È ovvio che il posto in cui cresci è una grande ispirazione per la creatività. Diciamo che quello che vogliamo fare attraverso la nostra musica è rappresentare un’idea, un sentimento che potremmo definire “californiano”. Ma lo facciamo razionalmente, nasce in modo spontaneo. Se fossimo nati a Brooklyn o a Londra di sicuro faremmo musica diversa. Non abbiamo obiettivi particolari, suoniamo ciò che ci piace».

Ho letto che siete amanti del surf. Tempo fa mi è capitato di leggere che Brian Wilson dei Beach Boys, autore di così tante canzoni sull’argomento, non sapeva fare surf. Esiste un video in cui John Belushi e Dan Aykroyd lo costringono Wilson a provare a fare surf…
«[Ride] Sì, l’ho visto quel video. Ho da poco finito di leggere un libro proprio sui Beach Boys e la realizzazione di Pet Sounds. Un libro molto bello, si intitola I Just Wasn’t Made For These Times. Racconta che Brian si è ispirato vedendo Dennis [batterista e fratello di Brian] fare surf. Solo grazie al coinvolgimento dell’intera famiglia Wilson è stato possibile per i Beach Boys creare musica così sorprendente. Quindi il fatto che Brian Wilson non facesse surf va bene. Perché Dennis surfava e Brian era lì pronto a catturare il momento e, attraverso il suo genio, a realizzare musica straordinaria».

Come produttore avete scelto Nick Waterhouse, con cui avete realizzato uno split, pubblicato per il recente Record Store Day. È un produttore rétro così come lo è da musicista?
«Lo conoscevamo da anni prima di farci musica assieme. Lui andava al college insieme a Matt [Matthew Correia, il batterista] ed è lì che si sono conosciuti. Abbiamo scelto lui perché condividiamo la stessa idea di musica, volevamo registrare usando materiale analogico in una stanza grande per ottenere quel suono pieno e profondo che caratterizza i dischi che amiamo. E con lui abbiamo anche un background molto simile, gusti musicali molto vicini. Il termine rétro viene usato molto spesso di questi tempi. Ma il fatto di apprezzare ciò che è stato fatto nel passato è in qualche modo una cosa nuova. Non vuol dire cercare di rifare cose già fatte, ma trarre ispirazione dal passato per realizzare cose nuove e guardare al futuro».

A breve salirete sul palco: avete qualche rituale? Per citare un vostro brano, «tell me what’s on your mind»…
«Abbiamo un Buffalo nickel [moneta statunitense dei primi decenni del secolo scorso] che ci è stato regalato dai Beachwood Sparks e lo baciamo prima di salire sul palco. Al di là di questo ormai ci siamo abituati, è una routine, non sentiamo ansia o preoccupazione, ci piace divertirci, suonare e cercare di far divertire il pubblico».

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