22/09/2014

Leonard Cohen, cantautore in esilio

Un articolo di Roberto Caselli ripescato dal nostro archivio per celebrare degnamente gli 80 anni di Leonard Cohen
Ieri ha compiuto 80 anni, domani esce il suo nuovo album di inediti, Popular Problems, e oggi vogliamo ricordare un lungo e particolare episodio della sua vita prima del suo “ritorno”. Stiamo parlando naturalmente di Leonard Cohen.
 
Il 1997 era uno degli anni in cui era chiuso lì, in un monastero buddista a Mount Baldy, a circa cento miglia da Los Angeles. Il 1997 era un ulteriore anno di pausa (dove però non aveva abbandonato del tutto la musica, come si può scoprire leggendo l’articolo). Insomma, il 1997, musicalmente parlando, è stato un altro anno senza un nuovo album di Leonard Cohen e quindi un altro anno senza i testi simbolici e onirici del Lord Byron del rock ‘n’ roll.
 
Tra gli altri, lo aveva notato Roberto Caselli, autore del libro Leonard Cohen. Hallelujah. Testi commentati, uscito qualche giorno fa su Arcana. La voce storica di Radio Popolare, nell’articolo che riproponiamo qui di seguito, ricordava i 30 anni dall’uscita del primo disco del cantautore canadese, Songs of Leonard Cohen, e faceva un po’ il punto della situazione su quel particolare periodo, in attesa (e nella speranza) di un suo ritorno artistico (che arriverà quattro anni dopo con Ten New Songs).
 
 
Dal numero 33 di JAM, pp. 46-47
Novembre 1997

 
Leonard Cohen
Cantautore in esilio

 
Sono passati trent’anni da quando il mondo creato dalle canzoni di Leonard Cohen, fatto di miserie e frustrazioni, dignità e consapevolezza, ha colpito l’immaginario collettivo. Oggi il cantautore canadese sembra avere perso interesse nella musica. Chiuso in un monastero buddista vicino a Los Angeles, vive quasi in esilio, lontano dal mondo della musica e circondato dal silenzio.
 
Trent’anni fa, mese più mese meno, veniva pubblicato l’album Songs Of Leonard Cohen, un evento musicale storico, un disco che mantiene tuttora inalterata la freschezza e la sensibilità delle sue canzoni. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e molte altre canzoni sono state scritte dal cantautore canadese che nel frattempo ha ampiamente consolidato il suo mito. Cohen non è un personaggio qualunque, un semplice musicista di successo che ha fatto cantare più di una generazione di persone affascinate dalla voce roca e cantilenante e da quel suo mondo fatto di tante miserie e frustrazioni, ma anche di dignità e profonda consapevolezza. Certo, tutto ciò sarebbe già più che sufficiente a garantirgli un posto di tutto rispetto nel pantheon dei grandi, ma più passa il tempo più si ha l’impressione che l’uomo Cohen sia impegnato a perseguire ben altre strade. La musica, certo, continua ad interessarlo, ma non si può proprio dire che si faccia assillare dalle scadenze. Il suo ultimo lavoro, The Future, è uscito cinque anni fa. Vista la mancanza di materiale nuovo, la sua casa discografica ha pensato bene di immettere sul mercato un Live In Concert nel ’94 e un mese fa il nuovo More Best Of Leonard Cohen, antologia che comprende tredici pezzi tra cui – sorpresa, sorpresa – due inediti: Never Any Good dall’insolito ritmo mosso, quasi un rhythm ‘n’ blues, e The Great Event, sostanzialmente una poesia recitata da una voce femminile su un sottofondo musicale.
Cosa sta succedendo al vecchio bardo dell’animo umano? Già l’ultima volta che lo incontrai, nel ’92, ebbi l’impressione di un uomo impegnato a rincorrere in modo deciso la conoscenza di se stesso. Prima di rispondere alle domande che gli si ponevano, si ritirava in lunghi silenzi per limitarsi poi spesso a dei semplici “non saprei” o “dovrei pensarci meglio”, facendo intendere che la prudenza è una virtù dalla quale non è bene allontanarsi troppo. Il suo ultimo lavoro poi era un’opera di grande intensità, un’elaborazione colta, quasi religiosa che per essere decodificata necessita di una buona conoscenza della Bibbia. In esso venivano rivisitate la Genesi e l’Apocalisse e se ne traevano conclusioni ardite, manifestate in un linguaggio simbolico, quasi iniziatico.
Le ultime notizie ci segnalano Cohen in un monastero buddista a Mount Baldy a circa cento miglia da Los Angeles, arroccato sulle montagne della California, impegnato in pratiche zen. Un video registrato recentemente ce lo mostra con i capelli rasati, avvolto in un abito da cerimonia intento a salmodiare e a scandire le proprie giornate tra meditazione e vita di comunità. Il discepolo Cohen, così come altri adepti, ha raggiunto il suo maestro Roshi, il monaco giapponese, ormai novantenne, che oltre vent’anni fa fondò questo luogo di raccoglimento. Una vecchia conoscenza che Cohen non ha mai completamente abbandonato, proprio perché conscio di quanto potesse insegnargli.
Le giornate lassù si susseguono lente e tranquille, le pratiche zen vengono intervallate dalla preparazione dei pasti e da lunghe passeggiate nei boschi vicini, ma non bisogna pensare ad un abbandono totale del mondo perché Cohen non è diventato un monaco, anzi – spiega sempre nel video – ha affittato a Pasadena una piccola casa in cui ha portato strumenti musicali, videoregistratore e televisione e quando ne sente la necessità non ha che da salire sul suo fuori strada e percorrere pochi chilometri per ritrovarsi subito in un appartamento tecnologico.
Ma la vita trafficata non fa più per lui, molto meglio il silenzio che è comunque una forma di comunicazione eccellente. “Basta uno sguardo, un gesto per intendersi immediatamente in un posto come questo” dice il nuovo adepto zen “è come se al posto della parola si fossero affinati altri codici”.
Così Mr. Cohen sta diventando sempre più Fratello Leonard, sempre più distante dalla musica e da ogni sovrastruttura culturale che però non ha ancora del tutto voluto negare. I due pezzi inediti inseriti nel nuovo greatest hits, del resto, ne sono una prova concreta, una confortante possibilità di non perdere definitivamente un grande artista, un autore onesto che mette in musica esperienze di vita sincere e soprattutto mai delegate. In tutto ciò, nonostante l’opposto stile di vita, lo si può davvero accomunare a quelle rockstar che, nella loro forse assurda corsa verso ogni limite concepibile, hanno rischiato la mente e spesso addirittura la vita.
Per una volta gli estremi opposti si equivalgono nella loro sconvolgente purezza lasciando un desolante vuoto nel cratere centrale dove si continuano a consumare banalità e falsi miti buoni per tutte le stagioni.
 

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