Massimo Zamboni, Sonika Poietika 2022 – Report da Sepino (CB)
Una suggestiva serata molisana con Marco Parente il 24 agosto
Fazzoletto tricolore dell’ANPI annodato al collo, berrettino da rivoltoso e sguardo fanciullo. Massimo Zamboni apre Sonika Poietika sotto una patina d’altri tempi, leggiadro ma orgoglioso artefice di una canzone di protesta lontana dai furori del punk filosovietico, dalle rivoluzioni sonore dei CSI, dal rock contemporaneo dei suoi ultimi dischi. Il filo conduttore del concerto molisano del fondatore dei CCCP è il nuovo album La mia patria attuale: un disco che ha fatto discutere non solo per l’avvicinamento deciso e sentito alla canzone d’autore italiana, ma anche per i temi politici e letterari.
L’operazione connette l’accesa passione per la letteratura e la scrittura con una composizione che si fa più intimista, e che proprio per questo – come ha dimostrato il concerto del 24 agosto – è vittoriosa dal punto di vista dell’autore, ma lascia qualche perplessità tra vari ascoltatori. Eppure è un passaggio caro a Zamboni, forse l’esito più lontano di quel lungo azzeramento dal quale nacquero la cultura punk e gli stessi CCCP. Zamboni sente questo passaggio, ci rivela: «Credo nel potere assorbente dello zero, perché contiene tutto, mi interessa molto. Siamo nel pieno della contemporaneità, è difficile decifrarla, tuttavia la possibilità di una ricostruzione parte proprio da questo zero, dalla capacità di vedere la rovina attuale per edificare qualcosa, soprattutto singole vite private».
Il concerto, con una rodata band di cui segnaliamo Gigi Cavalli Cocchi alla batteria, si tiene in una location raccolta, la piazza di un piccolo centro alle porte di Campobasso, sulla scalinata di una chiesa: alle sue spalle una lapide dedicata ai caduti della patria lo colpisce, perché «anche patria è una parola molto complessa, che come lo zero è capace di portare tutto dentro, di rimasticarlo e vomitarlo fuori con assoluta irriconoscenza, a volte». Zamboni ci racconta la semplicità e l’esigenza di dialogare senza filtri con l’ascoltatore: «La mia patria attuale è un disco strano perché è il meno strano di quelli che ho composto… Quando si cercano parole fondative come patria o costruzione, come nel mio romanzo La trionferà, che suscitano domande sull’appartenenza, adoro trovare una modalità più convenzionale di forma canzone, la trovo la formula più sensata. Volevo che ci fosse un immedesimarsi tra le parole e la ricezione del pubblico, una decodifica immediata, che si poteva ottenere con una musica non particolarmente arrangiata, né esotica né esoterica, molto italiana».
Dal vivo i nuovi brani, alternati a classici acclamati come Del Mondo e And The Radio Plays, acquistano un profilo adamantino, tanto da mettere d’accordo l’urgenza espressiva di alcuni episodi con l’antica sedimentazione di altri: «Ho un’overdose di accumulo di parole alle spalle, ci sono canzoni come La mia patria attuale che hanno più di dodici anni (l’avevo composta per una colonna sonora che poi aveva cantato Nada, era rimasta lì in attesa della casa giusta), altri suoni sono ventennali e altre canzoni sono nate rapidamente. Una cosa fondamentale per me è sempre il titolo, che è come un cappello che sta sopra a tutto. Ancora meglio se non lo capisco, penso ad abbinamenti come l’ultimo, o come L’inerme imbattibile, o Breviario Partigiano: laddove le parole non riescono a convivere, allora lì capisco che c’è spazio per me. Attorno a questo spazio arrivano le canzoni, come se fossero richiamate».
In apertura di serata Marco Parente in bianco lennoniano per un concerto anomalo, eccentrico. Un flusso di suono, parola e movimento tra Beck, David Byrne e Battistipanella: Parente ipotizza una sorta di suite tra canzone concettuale, body percussion e elettronica funzionale a riempire il set da solista. Probabilmente la piazza di Sepino non è il luogo ideale per concerti del genere, ma proprio per questo la sfida di Poietika, portare la canzone d’autore – con tutto il suo carico di eclettismo e problematicità – in contesti più ampi, è riuscita.