28/02/2024
Il mito di Quadrophenia secondo Antonio Bacciocchi
Interno 4 pubblica un libro sulla celebre opera rock degli Who
Ormai non si contano i libri di Antonio Bacciocchi. Eppure c’è un filo conduttore forte, ben tirato, che lega le sue pubblicazioni. Che si tratti di cultura mod, di Paul Weller, dei Clash o degli Small Faces, il fil rouge dei suoi scritti è la cultura popolare inglese, nello specifico quella legata agli anni ’60 e ’70. Inevitabile dunque, per l’autore e musicista piacentino, soffermarsi sugli Who. Ma quali? Inevitabilmente, quelli di Quadrophenia. È da poco uscito Quadrophenia. Gli Who, la storia del disco e del film che hanno definito un genere (Interno 4), lo approfondiamo con lui.
Ho sottolineato l’avverbio “inevitabilmente” per dire che hai approfondito gli Who di Quadrophenia, non quelli di Tommy. La celebre rock opera ha rappresentato qualcosa di importante e formativo per te, come mai?
Quadrophenia, il film in particolare, è uno di quei rari esempi in cui la musica pop rock ha cambiato e influenzato la vita di migliaia di ragazzi e ragazze. Capitò con Elvis, con i Beatles trasmessi all’Ed Sullivan Show nel 1964 in USA, con i Sex Pistols, il primo rap, i Nirvana. Il film Quadrophenia del 1979 esportò, per la prima volta, la cultura mod fuori dalla Gran Bretagna in tutto il mondo. Migliaia di giovani cambiarono abbigliamento, etica, filosofia, indipendentemente se vivevi in Italia, Giappone o Australia. Tommy era un album più “filosofico” e spirituale. Quadrophenia cantava di un giovane della working class (in un momento, il 1973, in cui il rock parlava di sesso, droga e rock n rolla o di elfi e dragoni con il prog) alle prese con problemi adolescenziali.
Tommy è una pietra di paragone per tutta la ricchissima nidiata di concept album e opere rock, Quadrophenia cosa ha avuto in più o di diverso?
Tommy è ancora un album rock (seppure concepito in altra veste, già teatrale e orchestrale, vedi l’assenza di chitarre distorte), Quadrophenia diventa opera sinfonica, quasi classica in certe parti. Ma si mischia al rock, al pop, al blues, al soul. È uno dei rari esempi di “musica totale”.
Il plot è noto e non ti chiediamo di raccontarlo, ma credo sia più interessante capire quanto c’era di personale e quanto di generazionale nella narrazione di Pete Townshend. È un disco-diario?
Credo che l’intera opera di Townshend, dal 45 giri d’esordio Can’t explain del 1964 al suo album solista Empty glass del 1980, sia caratterizzata da una costante esplorazione dell’animo umano, in particolare della fase adolescenziale. Il tema si ripete spesso e Quadrophenia ne è una sorta di sublimazione ed esplorazione delle parti più intime e sconosciute. Townshend parte dal personale, in maniera così spontanea e “nuda” da coinvolgere facilmente qualunque adolescente ne legga le parole. Poi la musica è superba, sfacciatamente ambiziosa, solenne, spudorata. Il mio album preferito di sempre, dal 1976, quando lo acquistai, a 15 anni, ad oggi.
Quadrophenia esce nel 1973 ed è un doppio album, apparentemente sembra in linea con il gigantismo che trionfa all’epoca, eppure gli Who riescono a giocare in un campionato a parte: qual è il segreto?
Gli Who sono sempre stati un’entità a parte, indipendente. In realtà Townshend compose (dice) 50 brani per l’album, che poteva essere quadruplo. Ne ho censiti, in realtà, tra demo e inediti una trentina (che in quattro album magari ci stavano). Era un’epoca in cui le esigenze tecnico/logistiche limitavano per forza certe ambizioni. Probabilmente per fortuna. Quadrophenia è perfetto nel doppio formato.
Tommy e Quadrophenia caratterizzano un aspetto significativo della cultura rock, quello della concettualità e della drammaturgia: con The Lamb dei Genesis e The Wall dei Pink Floyd questo discorso arriverà a compimento. Quanto è stato influente il lavoro degli Who sui loro successori?
A parer mio un’influenza essenziale. Tommy e Quadrophenia raccontavano storie in chiave cinematografica, con personaggi ben definiti e una sceneggiatura perfetta, non indulgevano in rimandi poco chiari (vedi il tentativo, abortito, di Paul McCartney con Sgt Pepper dei Beatles). Da lì è stato più semplice per tutti allinearsi al prototipo.
Quadrophenia è anche film, ma esce in un periodo storico e musicale completamente diverso, nel 1979. Nell’ultimo scorcio di anni ’70 c’era ancora la voglia del pubblico di sedersi e ascoltare un racconto?
Probabilmente no. La trasposizione cinematografica già sperimentata con successo in quella di Tommy nel 1975 con la regia di Ken Russell ha sicuramente aiutato molto. In epoca di punk e new wave sarebbe stato difficile proporre un’opera rock dai toni astratti. Quadrophenia è la storia di un ragazzo come tutti noi ai tempi, in qualsiasi parte del mondo. La scena mod è un pretesto per raccontare il classico disagio adolescenziale che Townshend ha saputo rappresentare al meglio.
Nel tuo libro hai segnalato anche le reazioni della stampa, sia quella estera che quella italiana: come fu accolto il lavoro?
Non fu capito dalla stampa extra inglese, che non comprendeva bene di cosa si stesse parlando (il concetto di “mod” era noto solo in Gran Bretagna). Le recensioni sono tutto sommato positive ma manca l’approfondimento. È un‘opera troppo complessa per essere compresa in pochi ascolti. Non dimentichiamo inoltre che il rock “classico” stava finendo e scrivendo gli ultimi capolavori.
Ogni artista è legato, sia per motivi artistici che commerciali, a un’opera in particolare. Per gli Who cosa ha rappresentato Quadrophenia?
Un album molto controverso. Townshend lo ha definito “l’ultimo grande album degli Who”, Daltrey lo ha sempre odiato (è sostanzialmente un album solista di Pete a cui gli altri hanno aggiunto parti già suonate e preparate da lui, l’unico in cui non ci sono contributi compositivi di altri membri della band), è l’ultimo in cui Keith Moon suona al meglio e in cui Entwistle lavora al 100%. Tutto il resto successivo sarà largamente meno significativo. Può sembrare strano ma artisticamente gli Who sono esistiti dal 1965 al 1973, per poi declinare in ottimi o dignitosi album ma mai più all’altezza di quanto fatto in precedenza.