Di Vivere o morire, Francesco Motta ce ne parla in casa sua. Una dimensione intima, proprio come il suo secondo lavoro discografico. Sono passati due anni dall’irrequietezza de La fine dei vent’anni, e adesso Motta si è fermato, ha riflettuto e ha scelto una strada. Non sa se è quella giusta, ma in una poetica che si esprime attraverso dualità, il giovane cantautore ha scelto da che parte stare, almeno per ora.
Vivere o morire è in fondo un disco più consapevole. C’è malinconia, c’è sentimento, ma non c’è tristezza, piuttosto comprensione, accettazione di essere cresciuti, e voglia di restare. Conosce meglio il linguaggio di sintesi: “Mi conosco meglio. Mi sono fermato e riposato”.
Motta si ferma anche quando parla, sa dare valore alle pause e alla musica. Mi parli di te, la suona per la stampa, ma non ha altro da aggiungere, come chi sa quello dice. C’è distanza da La fine dei vent’anni e dalla sua giustificata ingenuità: “Questa volta sono sul personale, senza compromessi”, e anche con maggiore responsabilità. Di Vivere o morire, Motta è infatti co-produttore, Riccardo Senigallia ha allentato le redini, e Pacifico ha incanalato la sua nuova maturità. I nove brani che compongono il disco sono sentimentali e più semplici. Pochi accordi ma più decisi. “C’erano dei pezzi rock, ma stavolta non mi ci ritrovavo. Magari un giorno tornerò a fare punk, ma in forme diverse”.
Sulle scene contemporanee Motta non ha nulla in contrario. Non ascolta molta musica quando scrive, tra i rapper gli piace Salmo, ma alla fine finisce per ascoltare sempre Rimmel di De Gregori. A Sanremo ci andrebbe, ma con la canzone giusta, quella che arriva al momento giusto. Si, perché il giovane cantautore livornese ha bisogno spesso di sentirsi pronto e stavolta lo è un po’ di più. È pronto anche per ricalcare il palco dell’Alcatraz di cui l’ultima volta non si sentiva all’altezza.
Motta oggi è più sobrio, si esprime per sillogismi sobri, ha scelto una strada, ha preso posizione ed è pronto a cambiarla. Per adesso tra Vivere o Morire, ha scelto di vivere e di raccontarci come si fa.
Vivere o morire è in fondo un disco più consapevole. C’è malinconia, c’è sentimento, ma non c’è tristezza, piuttosto comprensione, accettazione di essere cresciuti, e voglia di restare. Conosce meglio il linguaggio di sintesi: “Mi conosco meglio. Mi sono fermato e riposato”.
Motta si ferma anche quando parla, sa dare valore alle pause e alla musica. Mi parli di te, la suona per la stampa, ma non ha altro da aggiungere, come chi sa quello dice. C’è distanza da La fine dei vent’anni e dalla sua giustificata ingenuità: “Questa volta sono sul personale, senza compromessi”, e anche con maggiore responsabilità. Di Vivere o morire, Motta è infatti co-produttore, Riccardo Senigallia ha allentato le redini, e Pacifico ha incanalato la sua nuova maturità. I nove brani che compongono il disco sono sentimentali e più semplici. Pochi accordi ma più decisi. “C’erano dei pezzi rock, ma stavolta non mi ci ritrovavo. Magari un giorno tornerò a fare punk, ma in forme diverse”.
Sulle scene contemporanee Motta non ha nulla in contrario. Non ascolta molta musica quando scrive, tra i rapper gli piace Salmo, ma alla fine finisce per ascoltare sempre Rimmel di De Gregori. A Sanremo ci andrebbe, ma con la canzone giusta, quella che arriva al momento giusto. Si, perché il giovane cantautore livornese ha bisogno spesso di sentirsi pronto e stavolta lo è un po’ di più. È pronto anche per ricalcare il palco dell’Alcatraz di cui l’ultima volta non si sentiva all’altezza.
Motta oggi è più sobrio, si esprime per sillogismi sobri, ha scelto una strada, ha preso posizione ed è pronto a cambiarla. Per adesso tra Vivere o Morire, ha scelto di vivere e di raccontarci come si fa.
