Senza scivolare nella retorica né tantomeno in una sbrigativa, semplicistica e ruffiana definizione, se si dovesse descrivere Gaslighter con una parola, questa sarebbe “amore”. C’è una valanga d’amore nel nuovo disco delle Dixie Chicks – ora solo The Chicks – di amore finito per essere più precisi, quindi c’è anche un bel po’ di dolore.
Le Chicks mancavano da quattordici anni e non avrebbero potuto tornare con un disco migliore.
Non sono certamente note in ambito mainstream nel nostro Paese; negli Stati Uniti, invece, sono un vero fenomeno musicale e culturale, con i loro tredici Grammy Awards vinti in più di vent’anni di carriera – pause comprese – e il riconoscimento come band femminile che ha venduto più album nella storia americana.
Per rinfrescare la memoria ai meno preparati: quattro dischi di successo che le consacrano reginette indiscusse di Nashville, un attacco pubblico a George W. Bush nel 2003 – alla vigilia della guerra in Iraq – che costa caro, le fa precipitare dall’Olimpo del country-pop e le costringe ad uno stop forzato. Non si perdono d’animo e nel 2006 pubblicano Taking The Long Way, anticipato dal tagliente singolo Not Ready To Make Nice: un lavoro ben pensato, prodotto da Rick Rubin e ispirato proprio dalla battuta d’arresto di tre anni prima. Il disco vince cinque Grammy Awards.
Poi un lungo periodo di pausa che vede impegnata Natalie Maines, voce principale del trio, in un disco solista di cover e le sorelle polistrumentiste Martie Maguire e Emily Strayer protagoniste di un progetto di musica folk e country.
Nel 2016 la reunion per un tour mondiale che accende nuovamente i riflettori sul trio, e il cui successo spinge le musiciste a tornare finalmente in studio per scrivere di nuovo insieme.
Tenere a bada la lingua non è mai stato il loro forte, e qualche mese fa, in concomitanza con l’uscita del loro nuovo disco, le texane risvegliano l’attenzione della stampa americana per la scelta coraggiosa di cambiare nome, perdendo in qualche modo un pezzo della propria identità. Le Dixie Chicks decidono di cancellare quel “dixie” che gergalmente si accosta agli Stati del Sud e prendono di nuovo una posizione politica: “We want to meet this moment”, dicono, lanciando un messaggio di solidarietà nei confronti delle battaglie per i diritti delle minoranze razziali, particolarmente vive in questo momento.
Quasi a rafforzare questa presa di posizione, le Chicks anticipano l’uscita del disco con March March, un potente inno di protesta scritto un paio di anni fa dopo March For Our Lives, la marcia che si è svolta a Washington DC: un testo che sembra scritto ieri, estremamente in linea con l’atmosfera di tensione che si respira negli States in tema di armi, di riscaldamento globale e giustizia sociale.
Ci si poteva dunque aspettare un disco “politico”, e invece stavolta il “conflitto” viene principalmente dall’interno. “Gaslighting”: manipolazione mentale. Le texane mutuano il termine da Gaslight, un film del 1944 in cui il protagonista Charles Boyer cerca di convincere Ingrid Bergman che sta impazzendo, manipolando, appunto, la realtà. Nessuna delle tre è estranea ai divorzi (ne hanno collezionati cinque in tutto), e decidono di usare la musica per esorcizzare un amore tossico, quello di Natalie Maines in questo caso, che ha ufficializzato lo scorso dicembre la separazione dall’attore di Heroes Adrian Pasdar.
A poco sono serviti i tentativi legali di quest’ultimo per impedire la pubblicazione del disco e salvaguardare la propria reputazione: il verso “ehi, sai esattamente cosa hai fatto sulla mia barca” della title track introduce perfettamente il mood dell’album. Un album decisamente più pop rispetto al passato – c’è lo zampino alla produzione di Jack Antonoff, non a caso già al fianco di Taylor Swift, Lana Del Rey e Lorde: il fiddle di Martie Maguire ha perso molto del suo appeal country e ha lasciato il posto ad un violino più “classico”, e il banjo di Emily Strayer è davvero protagonista solo nell’intro di Sleep At Night.
La scrittura di Gaslighter è tagliente e profondamente intima: in Everybody Loves You Maines esprime tutta la sua frustrazione (“perché tutti ti amano? / non sanno abbastanza su di te”), in Tights On My Boat trova il suo ex con un’altra, e il racconto si contrappone alla leggerezza dell’arrangiamento; Texas Man è il pezzo più fresco del disco, mentre il finale si fa via via più sommesso con una canzone, Young Man, che Natalie dedica ai suoi figli, vittime di riflesso di tutta questa burrasca sentimentale (“dopo questa tempesta / non c’è niente che non puoi navigare”), una ballata “alla Chicks”, con i cori sullo sfondo che sono senza dubbio una delle loro cifre stilistiche, e una chiusura, Set Me Free, che sembra davvero la richiesta – e la promessa – di Maines di superare tutto, mettere un punto e ripartire da capo (“vuoi fare un’ultima cosa? / Lasciami libera”).
Ancora una volta le tre ragazze del texas hanno trasformato i loro “bad times” in canzoni, e lungo la strada, stavolta, hanno davvero (ri)trovato la libertà.
Le Chicks mancavano da quattordici anni e non avrebbero potuto tornare con un disco migliore.
Non sono certamente note in ambito mainstream nel nostro Paese; negli Stati Uniti, invece, sono un vero fenomeno musicale e culturale, con i loro tredici Grammy Awards vinti in più di vent’anni di carriera – pause comprese – e il riconoscimento come band femminile che ha venduto più album nella storia americana.
Per rinfrescare la memoria ai meno preparati: quattro dischi di successo che le consacrano reginette indiscusse di Nashville, un attacco pubblico a George W. Bush nel 2003 – alla vigilia della guerra in Iraq – che costa caro, le fa precipitare dall’Olimpo del country-pop e le costringe ad uno stop forzato. Non si perdono d’animo e nel 2006 pubblicano Taking The Long Way, anticipato dal tagliente singolo Not Ready To Make Nice: un lavoro ben pensato, prodotto da Rick Rubin e ispirato proprio dalla battuta d’arresto di tre anni prima. Il disco vince cinque Grammy Awards.
Poi un lungo periodo di pausa che vede impegnata Natalie Maines, voce principale del trio, in un disco solista di cover e le sorelle polistrumentiste Martie Maguire e Emily Strayer protagoniste di un progetto di musica folk e country.
Nel 2016 la reunion per un tour mondiale che accende nuovamente i riflettori sul trio, e il cui successo spinge le musiciste a tornare finalmente in studio per scrivere di nuovo insieme.
Tenere a bada la lingua non è mai stato il loro forte, e qualche mese fa, in concomitanza con l’uscita del loro nuovo disco, le texane risvegliano l’attenzione della stampa americana per la scelta coraggiosa di cambiare nome, perdendo in qualche modo un pezzo della propria identità. Le Dixie Chicks decidono di cancellare quel “dixie” che gergalmente si accosta agli Stati del Sud e prendono di nuovo una posizione politica: “We want to meet this moment”, dicono, lanciando un messaggio di solidarietà nei confronti delle battaglie per i diritti delle minoranze razziali, particolarmente vive in questo momento.
Quasi a rafforzare questa presa di posizione, le Chicks anticipano l’uscita del disco con March March, un potente inno di protesta scritto un paio di anni fa dopo March For Our Lives, la marcia che si è svolta a Washington DC: un testo che sembra scritto ieri, estremamente in linea con l’atmosfera di tensione che si respira negli States in tema di armi, di riscaldamento globale e giustizia sociale.
Ci si poteva dunque aspettare un disco “politico”, e invece stavolta il “conflitto” viene principalmente dall’interno. “Gaslighting”: manipolazione mentale. Le texane mutuano il termine da Gaslight, un film del 1944 in cui il protagonista Charles Boyer cerca di convincere Ingrid Bergman che sta impazzendo, manipolando, appunto, la realtà. Nessuna delle tre è estranea ai divorzi (ne hanno collezionati cinque in tutto), e decidono di usare la musica per esorcizzare un amore tossico, quello di Natalie Maines in questo caso, che ha ufficializzato lo scorso dicembre la separazione dall’attore di Heroes Adrian Pasdar.
A poco sono serviti i tentativi legali di quest’ultimo per impedire la pubblicazione del disco e salvaguardare la propria reputazione: il verso “ehi, sai esattamente cosa hai fatto sulla mia barca” della title track introduce perfettamente il mood dell’album. Un album decisamente più pop rispetto al passato – c’è lo zampino alla produzione di Jack Antonoff, non a caso già al fianco di Taylor Swift, Lana Del Rey e Lorde: il fiddle di Martie Maguire ha perso molto del suo appeal country e ha lasciato il posto ad un violino più “classico”, e il banjo di Emily Strayer è davvero protagonista solo nell’intro di Sleep At Night.
La scrittura di Gaslighter è tagliente e profondamente intima: in Everybody Loves You Maines esprime tutta la sua frustrazione (“perché tutti ti amano? / non sanno abbastanza su di te”), in Tights On My Boat trova il suo ex con un’altra, e il racconto si contrappone alla leggerezza dell’arrangiamento; Texas Man è il pezzo più fresco del disco, mentre il finale si fa via via più sommesso con una canzone, Young Man, che Natalie dedica ai suoi figli, vittime di riflesso di tutta questa burrasca sentimentale (“dopo questa tempesta / non c’è niente che non puoi navigare”), una ballata “alla Chicks”, con i cori sullo sfondo che sono senza dubbio una delle loro cifre stilistiche, e una chiusura, Set Me Free, che sembra davvero la richiesta – e la promessa – di Maines di superare tutto, mettere un punto e ripartire da capo (“vuoi fare un’ultima cosa? / Lasciami libera”).
Ancora una volta le tre ragazze del texas hanno trasformato i loro “bad times” in canzoni, e lungo la strada, stavolta, hanno davvero (ri)trovato la libertà.