14/10/2020

Deftones

Nuovo album scuro, sporco e cattivo per i Deftones
(Foto di Tamar Levine)
 
A distanza di quattro anni dall’ultimo lavoro in studio Gore, i Deftones tornano sulle scene e pubblicano il nono album Ohms. Una band dalla carriera ormai trentennale che ha influenzato generazioni di musicisti e ha affrontato numerose evoluzioni artistiche, passando per i successi di Around The Fur e White Pony e tragedie come la morte del bassista Chi Cheng. Dopo i numerosi teaser condivisi in rete in estate, la curiosità intorno ad una nuova pubblicazione era palpabile e ad aumentare l’aspettativa si sommava anche il ritorno dello storico produttore Terry Date, considerato da alcuni il “sesto” membro dei Deftones e con il quale il gruppo ha raggiunto grande successo sulla fine degli anni ‘90.
 
Un’interlocutoria linea di synth dai toni post rock a cui seguono un riff devastante di chitarra di Stephen Carpenter e l’urlo iconico del frontman Chino Moreno “settano” immediatamente il tono dell’album con Genesis. Si prosegue con Ceremony, Urantia e Error, che alternano sapientemente sezioni alternative metal incredibilmente aggressive a melodie sospese ed eteree in cui il leader della band mostra il suo lato più morbido, generando i classici yin e yang tipici dei Deftones che non solo sono ricorrenti anche in questo nuovo disco, ma ne ispirano persino il titolo: Moreno descrive infatti Ohms non come l’unità della misura della resistenza elettrica, bensì come “l’equilibrio e la polarità tra gli elementi” che si riflette nella musica tramite la giustapposizione tra aggressività e dolcezza, concetto che sostiene di riprendere anche nei testi.
Le tracce centrali dell’album sono tra le più sperimentali del progetto, in grado di unire elementi elettronici, dissonanti e disturbanti ad una violenza inaudita come in The Spell Of Mathematics e in This Link is Dead, in cui capeggiano le urla dilanianti, distorte e cariche di effetti di Moreno e a cui fanno da contraltare sezioni post-rock e stoner che profumano molto di calma prima della tempesta. Un riff di basso “alla Motorhead” introduce Radiant City, brano in cui la band riesce nuovamente a proporre un sound fresco ed innovativo, pur senza perdere le proprie caratteristiche classiche. La traccia conclusiva, title-track, nonchè singolo di lancio Ohms, è un vero ritorno al sound delle origini: il groove mid-tempo molto scandito ed il riff pesante, sincopato ma allo stesso tempo melodico, scandiscono gli umori di un brano che conclude in grandeur un album che non toglie mai il pedale dall’acceleratore e non lascia tregua all’ascoltatore, salvo per brevi sezioni in Pompeji e Headless.
 
Ohms è un diamante grezzo. Non è un album che fa dell’accessibilità immediata un punto di forza: servono tempo e tanti ascolti per assimilarlo al meglio, sebbene riesca immediatamente a comunicare forza, aggressività e disagio in modo impetuoso. Dopo aver inizialmente spiazzato l’ascoltatore, Ohms rivela la sua vera natura: una piccola gemma variegata e sfavillante nelle sue sfaccettature che conferma finalmente un ritorno in grande stile dei Deftones.  
 

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