Come trasformare la serata di San Valentino in un anticipo di San Patrizio. Istruzioni per l’uso: una location capiente e soprattutto all’altezza, come il Gran Teatro Geox di Padova, un po’ di addobbi dalle tinte verdi, qualche bandiera irlandese qua e là, punti di ristoro con birra rigorosamente Guinness e soprattutto sul palco due band dalle forti radici irish-folk: Flogging Molly e Dropkick Murphys. A dire il vero, prima di loro sul palco si è esibito Glen Matlock, storico ex bassista dei Sex Pistols, inglesi, ma si sa; la storia ci dice che gli inglesi in qualche modo devono sempre entrare nelle vicende dei “vicini” di casa irlandesi. Ma l’”intrusione” di Sir Glen è tutt’altro che sgradita; la serata si apre con il suo concerto: Lui e la sua chitarra acustica da soli sul palco; la sue esibizione, scarna quanto efficace, dura circa mezz’ora e il pubblico nel frattempo non ha potuto fare a meno di accompagnarlo mentre proponeva storiche perle come God Save The Queen e Pretty Vacant, passando anche per Sexy Beast, pezzo tratto dal suo omonimo EP pubblicato quasi un anno fa. Quella di Matlock è stata una performance semplice quanto apprezzata, ma l’aria che si respirava, mentre avvenivano i consueti preparativi sul palco, era quella di una gran voglia di movimento, energia e ritmiche serrate.
Puntuali come dei veri professionisti, alle 20.30 salgono sul palco i Flogging Molly, band californiana ma dalle evidenti radici irlandesi, attiva da più di vent’anni e con alle spalle sei dischi, ultimo dei quali Life Is Good pubblicato l’anno scorso. Lo show è proprio quello che la gente si aspettava: poche parole e tanta musica; i pezzi si susseguono uno dietro l’altro senza, o quasi, attimi di sosta, il tutto all’insegna del più puro irish-folk, condito da quell’animo punk. Essendo uscito poco meno di un anno fa, l’album Life Is Good presenzia nella scaletta attraverso i brani The Days We’ve Yet To Meet e The Hand Of J.Sullivan, e ovviamente non mancano i loro pezzi più famosi e particolarmente amati dai loro fan da Swagger a What’s Left Of The Flag, passando per Selfish Man, e concludendo con The Seven Deadly Sins, il loro brano più noto, nonché quello con cui salutano i presenti nella location padovana. Un concerto dei Flogging Molly è sempre una festa; ed anche in questa occasione non si sono smentiti, regalando al Gran Teatro Geox, quasi sold out, un’ora di pura energia. Ma la festa non è finita, anzi.
Mentre ci si divincola, o quasi, tra bicchieri di plastica vuoti buttati per terra e code nei punti di ristoro, cresce l’attesa per i Dropkick Murphys. Le loro radici irlandesi, come quelle di chi li ha preceduti, sono ancor più evidenti essendo originari di Boston, città notoriamente conosciuta per l’accoglienza di immigrati dalla terra di San Patrizio e a differenza dei Flogging Molly propongono un sound più ammiccante alle sonorità punk-hardcore con uno spirito molto più combat. Ma ci siamo, lo show dei Dropkick parte subito come uno tsunami attraverso le note di The Boys Are Back, I Had a Hat e State Of Massachusetts; il cantante Al Barr si conferma un vero e proprio frontman, capace di coinvolgere il pubblico, anche quasi interagendo. Anche loro sono reduci da un recente disco, 11 Short Stories Of Pain & Glory (Born & Bred Records, 2017), ma la loro setlist è quasi come un omaggio ai loro venti e passa anni di carriera; difatti propongono brani tratti da un po’ tutti i loro nove dischi: Blood, Black Velvet Band, The Warrior’s Code, Rose Tattoo sono solo alcuni di una scaletta che abbraccia due generazioni dei fan della band di Boston. Si capisce che lo show va verso la conclusione quando i nostri eseguono storici cavalli di battaglia come Caught In A Jar e I’m Shipping Up To Boston, passando anche per un omaggio a Johnny Cash, di cui eseguono Folsom Prison Blues. L’epilogo, dopo quasi un’ora e mezzo di concerto, è affidato a Until The Next Time, pezzo tratto dal loro ultimo album e nel quale, durante l’esibizione, hanno invitato sul palco molti dei ragazzi del pubblico, regalando loro anche questo onore, questa gioia, e soprattutto questa serata memorabile.
Se San Valentino è generalmente coppia, cenetta intima e cioccolatini, qui a Padova si è tramutato in gioia, energia e collettività, elementi che forse solo la musica può vantar di contenere guardando un’unica direzione: quella del palco. Questa serata ne è stato il più classico degli esempi.
Merito delle band ovviamente, ma anche dell’organizzazione. E del pubblico, linfa vitale di tutto ciò.
Puntuali come dei veri professionisti, alle 20.30 salgono sul palco i Flogging Molly, band californiana ma dalle evidenti radici irlandesi, attiva da più di vent’anni e con alle spalle sei dischi, ultimo dei quali Life Is Good pubblicato l’anno scorso. Lo show è proprio quello che la gente si aspettava: poche parole e tanta musica; i pezzi si susseguono uno dietro l’altro senza, o quasi, attimi di sosta, il tutto all’insegna del più puro irish-folk, condito da quell’animo punk. Essendo uscito poco meno di un anno fa, l’album Life Is Good presenzia nella scaletta attraverso i brani The Days We’ve Yet To Meet e The Hand Of J.Sullivan, e ovviamente non mancano i loro pezzi più famosi e particolarmente amati dai loro fan da Swagger a What’s Left Of The Flag, passando per Selfish Man, e concludendo con The Seven Deadly Sins, il loro brano più noto, nonché quello con cui salutano i presenti nella location padovana. Un concerto dei Flogging Molly è sempre una festa; ed anche in questa occasione non si sono smentiti, regalando al Gran Teatro Geox, quasi sold out, un’ora di pura energia. Ma la festa non è finita, anzi.
Mentre ci si divincola, o quasi, tra bicchieri di plastica vuoti buttati per terra e code nei punti di ristoro, cresce l’attesa per i Dropkick Murphys. Le loro radici irlandesi, come quelle di chi li ha preceduti, sono ancor più evidenti essendo originari di Boston, città notoriamente conosciuta per l’accoglienza di immigrati dalla terra di San Patrizio e a differenza dei Flogging Molly propongono un sound più ammiccante alle sonorità punk-hardcore con uno spirito molto più combat. Ma ci siamo, lo show dei Dropkick parte subito come uno tsunami attraverso le note di The Boys Are Back, I Had a Hat e State Of Massachusetts; il cantante Al Barr si conferma un vero e proprio frontman, capace di coinvolgere il pubblico, anche quasi interagendo. Anche loro sono reduci da un recente disco, 11 Short Stories Of Pain & Glory (Born & Bred Records, 2017), ma la loro setlist è quasi come un omaggio ai loro venti e passa anni di carriera; difatti propongono brani tratti da un po’ tutti i loro nove dischi: Blood, Black Velvet Band, The Warrior’s Code, Rose Tattoo sono solo alcuni di una scaletta che abbraccia due generazioni dei fan della band di Boston. Si capisce che lo show va verso la conclusione quando i nostri eseguono storici cavalli di battaglia come Caught In A Jar e I’m Shipping Up To Boston, passando anche per un omaggio a Johnny Cash, di cui eseguono Folsom Prison Blues. L’epilogo, dopo quasi un’ora e mezzo di concerto, è affidato a Until The Next Time, pezzo tratto dal loro ultimo album e nel quale, durante l’esibizione, hanno invitato sul palco molti dei ragazzi del pubblico, regalando loro anche questo onore, questa gioia, e soprattutto questa serata memorabile.
Se San Valentino è generalmente coppia, cenetta intima e cioccolatini, qui a Padova si è tramutato in gioia, energia e collettività, elementi che forse solo la musica può vantar di contenere guardando un’unica direzione: quella del palco. Questa serata ne è stato il più classico degli esempi.
Merito delle band ovviamente, ma anche dell’organizzazione. E del pubblico, linfa vitale di tutto ciò.