(Foto di Marco Nava)
Non bisogna farsi ingannare dal nome di questa band. La loro musica non ricorda affatto quella che si ascoltava a Le Chat Noir nella Parigi dell’800.
La band di Treviglio presenta invece in questo debutto un suono caratterizzato dai riff taglienti di chitarra, dalle influenze elettroniche e dalle parti vocali quasi sempre effettate e rese “sporche”.
Gli elementi fondamentali del sound de La Belle Epoque sono evidenti già dal buon inizio di Icaro, tra la carica dei riff di chitarra e basso presenti nell’intro e nel ritornello e una strofa, invece, più melodica. Anche Insidia gioca sull’abile alternarsi di una strofa pop con le sferzate rock del ritornello, così come accade ancora meglio nel primo singolo estratto dall’album, Cracovia. Quest’ultimo è accompagnato anche da un video interessante girato dalla band stessa, con un suggestivo mix di immagini storiche e di archivio con atmosfere vintage di forte impatto.
Le influenze sono molteplici e molto ben amalgamate e a tal proposito spiccano naturalmente quelle di un certo rock italiano anni ’80 e ’90 (dai Ritmo Tribale ai Marlene Kuntz, passando per i La Crus). Gli arrangiamenti sono particolarmente curati, come negli intrecci di chitarra e basso nel finale della tirata rock Mentre il cielo cadeva. O come nell’intermezzo dalle atmosfere più eteree di pianoforte e synth nella title-track Il mare di Dirac. Si nota la mano di un nome importante come Jean Charles Carbone, ingegnere del suono, produttore, arrangiatore e musicista, che ha collaborato, tra gli altri, con Steve Vai, Jarvis Cocker e Chris Robinson. Ed è senz’altro interessante anche la scelta di registrare l’album in uno spazio aperto come il Teatro delle Voci di Treviso.
In queste dieci tracce la band si districa abilmente tra atmosfere simili ma affrontate con diverse variazioni, come i cambi di tempo del finale di Con l’amore nei piedi o l’indie-rock più classico fatto di arpeggi in stile Frusciante che troviamo in Fuori di me e, soprattutto, nell’ottima Nuovo mondo. Il mare di Dirac è un concetto di fisica quantistica piuttosto astratto, ma in questo album assume un significato concreto: prestare attenzione alle singole infinite particelle che spesso passano inosservate, proprio come alcune ottime band emergenti che invece meritano interesse.
Non bisogna farsi ingannare dal nome di questa band. La loro musica non ricorda affatto quella che si ascoltava a Le Chat Noir nella Parigi dell’800.
La band di Treviglio presenta invece in questo debutto un suono caratterizzato dai riff taglienti di chitarra, dalle influenze elettroniche e dalle parti vocali quasi sempre effettate e rese “sporche”.
Gli elementi fondamentali del sound de La Belle Epoque sono evidenti già dal buon inizio di Icaro, tra la carica dei riff di chitarra e basso presenti nell’intro e nel ritornello e una strofa, invece, più melodica. Anche Insidia gioca sull’abile alternarsi di una strofa pop con le sferzate rock del ritornello, così come accade ancora meglio nel primo singolo estratto dall’album, Cracovia. Quest’ultimo è accompagnato anche da un video interessante girato dalla band stessa, con un suggestivo mix di immagini storiche e di archivio con atmosfere vintage di forte impatto.
Le influenze sono molteplici e molto ben amalgamate e a tal proposito spiccano naturalmente quelle di un certo rock italiano anni ’80 e ’90 (dai Ritmo Tribale ai Marlene Kuntz, passando per i La Crus). Gli arrangiamenti sono particolarmente curati, come negli intrecci di chitarra e basso nel finale della tirata rock Mentre il cielo cadeva. O come nell’intermezzo dalle atmosfere più eteree di pianoforte e synth nella title-track Il mare di Dirac. Si nota la mano di un nome importante come Jean Charles Carbone, ingegnere del suono, produttore, arrangiatore e musicista, che ha collaborato, tra gli altri, con Steve Vai, Jarvis Cocker e Chris Robinson. Ed è senz’altro interessante anche la scelta di registrare l’album in uno spazio aperto come il Teatro delle Voci di Treviso.
In queste dieci tracce la band si districa abilmente tra atmosfere simili ma affrontate con diverse variazioni, come i cambi di tempo del finale di Con l’amore nei piedi o l’indie-rock più classico fatto di arpeggi in stile Frusciante che troviamo in Fuori di me e, soprattutto, nell’ottima Nuovo mondo. Il mare di Dirac è un concetto di fisica quantistica piuttosto astratto, ma in questo album assume un significato concreto: prestare attenzione alle singole infinite particelle che spesso passano inosservate, proprio come alcune ottime band emergenti che invece meritano interesse.