In questi ultimi anni, la vena creativa di Fabrizio Poggi è come un fiume in piena. Fresco dei suoi fasti texani (nel 2010 aveva già registrato un disco proprio a Marble Falls) e del suo Spaghetti Juke Joint dello scorso anno, arriva ora un omaggio a uno dei momenti più significativi della storia afroamericana: quello relativo alla lotta per i diritti civili degli anni ’60.
Il soffio della libertà che ha come sottotitolo Una marcia sonora da Selma ai giorni nostri, la dice lunga sui suoi contenuti. Per l’occasione Fabrizio si esibisce senza i suoi fidi Chicken Mambo, anche se poi Enrico Polverari non manca di prestare la sua chitarra in alcuni pezzi. Poco male perché in compenso si fa affiancare da autentici miti internazionali del blues e dintorni come The Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Guy Davis, Eric Bibb e molti altri tra cui il grande Garth Hudson di The Band.
Si parte con una versione breve, ma molto personale di We Shall Overcome, forse il simbolo più limpido di mille marce che trovano il loro culmine con quella su Washington del 1963 con Bob Dylan e Joan Baez al fianco di Martin Luther King. Una funambolica chitarra acustica apre il pezzo per lasciare poi spazio all’armonica e alla voce di Fabrizio che continua con I Shall Be Realised e Needed Time rese in modo davvero toccante e coinvolgente. L’arrangiamento è essenziale, ma l’effetto di grande impatto. Nei quattordici pezzi che costituiscono l’album vengono poi snocciolati parecchi altri traditional come I Shall Not Be Moved, Oh Freedom e Amazing Grace, ma non mancano classici come You Gotta Move di Reverend Gary Davis e Precious Lord di Thomas Dorsey.
Fabrizio sa rendere suoi tutti i brani con estrema semplicità (la dote dei forti) creando feeling, emozione e, perché no, anche qualche sospiro a chi ha vissuto quegli anni come fenomeno scatenante di mille interessi.
Il soffio della libertà che ha come sottotitolo Una marcia sonora da Selma ai giorni nostri, la dice lunga sui suoi contenuti. Per l’occasione Fabrizio si esibisce senza i suoi fidi Chicken Mambo, anche se poi Enrico Polverari non manca di prestare la sua chitarra in alcuni pezzi. Poco male perché in compenso si fa affiancare da autentici miti internazionali del blues e dintorni come The Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, Guy Davis, Eric Bibb e molti altri tra cui il grande Garth Hudson di The Band.
Si parte con una versione breve, ma molto personale di We Shall Overcome, forse il simbolo più limpido di mille marce che trovano il loro culmine con quella su Washington del 1963 con Bob Dylan e Joan Baez al fianco di Martin Luther King. Una funambolica chitarra acustica apre il pezzo per lasciare poi spazio all’armonica e alla voce di Fabrizio che continua con I Shall Be Realised e Needed Time rese in modo davvero toccante e coinvolgente. L’arrangiamento è essenziale, ma l’effetto di grande impatto. Nei quattordici pezzi che costituiscono l’album vengono poi snocciolati parecchi altri traditional come I Shall Not Be Moved, Oh Freedom e Amazing Grace, ma non mancano classici come You Gotta Move di Reverend Gary Davis e Precious Lord di Thomas Dorsey.
Fabrizio sa rendere suoi tutti i brani con estrema semplicità (la dote dei forti) creando feeling, emozione e, perché no, anche qualche sospiro a chi ha vissuto quegli anni come fenomeno scatenante di mille interessi.
