Se dicono che il difficile per gli artisti arrivi con il secondo e il terzo album, è altrettanto arduo trovare dei dischi di debutto che abbiano un focus ben preciso, un’intenzione e una direzione uniche e stabilite. Succede con questa opera prima degli Any Other, formati dalla ex Lovecats Adele Nigro (chitarra e voce) e dalla base ritmica di Erica Lonardi (batteria) e Marco Giudici (basso). Ognuno di questi dieci brani è legato agli altri da un riferimento comune a un certo indie-rock di stampo lo-fi ed essenziale, quasi in presa diretta. D’altronde i pezzi sono stati registrati in un paio di giorni a Ravenna, con successivo mix a Milano e master affidato ad Andrea Suriani (I Cani, Fast Animals Slow Kids, Bud Spencer Blues Explosion).
Anche a livello testuale c’è una certa omogeneità, con liriche che trattano di abbandoni, addii difficili, crescita e voglia di mettersi in gioco, sorprendentemente maturi considerando che Adele è appena ventunenne. Ma tutto l’album dimostra che l’età conta poco, sia per i testi che per le musiche, orientate verso gli anni ’90. Se il pensiero può inizialmente correre a gruppi americani come Built To Spill, Pavement o Modest Mouse, la voce di Adele sposta tutto sul territorio più britannico di band come Cranberries, Elastica, Lush, Echobelly, anche se decisamente con meno distorsione e senza alcuna tentazione shoegaze.
Something, con i suoi arpeggi e il dialogo di voci reso perfettamente da un controcanto quasi rap, apre l’album e indica subito la via. Blue Moon e, soprattutto, Gladly Farewell hanno dei cambi sorprendenti di accordi che seguono ottimamente la linea vocale di Adele. His Era, 365 Days e 5.47 PM giocano abilmente sull’alternanza di momenti calmi e aperture sui ritornelli, con una rara incursione di pianoforte nel primo brano e un riff quasi grunge nell’ultimo appena citato.
I temi si fanno ancora più personali nell’ottima Roger, Roger, Commander, che affronta la perdita del padre su un tappeto melodico di intrecci interessanti di chitarra e basso. La strofa ha alcuni passaggi melodici che riportano alla mente gli Smiths, anche se la grinta del ritornello è più in direzione Alanis Morissette. Anche Teenage è tra i brani più profondi dell’album: in particolare, su atmosfere apparentemente più calme, Adele canta delle aspettative (forse utopiche) della post-adolescenza.
Chiudono il disco la ballata Sonnet #4, l’unica canzone d’amore, e i 5 minuti di To The Kino, Again, con molti cambi di tempo e atmosfera che portano al gran finale con il refrain “silentily, quietly, going away”. Se ne vanno così i quaranta minuti di questo buon debutto. E se ne vanno (chissà) forse anche alcuni dubbi e paure adolescenziali cantate in questi dieci brani.
Anche a livello testuale c’è una certa omogeneità, con liriche che trattano di abbandoni, addii difficili, crescita e voglia di mettersi in gioco, sorprendentemente maturi considerando che Adele è appena ventunenne. Ma tutto l’album dimostra che l’età conta poco, sia per i testi che per le musiche, orientate verso gli anni ’90. Se il pensiero può inizialmente correre a gruppi americani come Built To Spill, Pavement o Modest Mouse, la voce di Adele sposta tutto sul territorio più britannico di band come Cranberries, Elastica, Lush, Echobelly, anche se decisamente con meno distorsione e senza alcuna tentazione shoegaze.
Something, con i suoi arpeggi e il dialogo di voci reso perfettamente da un controcanto quasi rap, apre l’album e indica subito la via. Blue Moon e, soprattutto, Gladly Farewell hanno dei cambi sorprendenti di accordi che seguono ottimamente la linea vocale di Adele. His Era, 365 Days e 5.47 PM giocano abilmente sull’alternanza di momenti calmi e aperture sui ritornelli, con una rara incursione di pianoforte nel primo brano e un riff quasi grunge nell’ultimo appena citato.
I temi si fanno ancora più personali nell’ottima Roger, Roger, Commander, che affronta la perdita del padre su un tappeto melodico di intrecci interessanti di chitarra e basso. La strofa ha alcuni passaggi melodici che riportano alla mente gli Smiths, anche se la grinta del ritornello è più in direzione Alanis Morissette. Anche Teenage è tra i brani più profondi dell’album: in particolare, su atmosfere apparentemente più calme, Adele canta delle aspettative (forse utopiche) della post-adolescenza.
Chiudono il disco la ballata Sonnet #4, l’unica canzone d’amore, e i 5 minuti di To The Kino, Again, con molti cambi di tempo e atmosfera che portano al gran finale con il refrain “silentily, quietly, going away”. Se ne vanno così i quaranta minuti di questo buon debutto. E se ne vanno (chissà) forse anche alcuni dubbi e paure adolescenziali cantate in questi dieci brani.