Bolla & Giulietta – Feeling Blue (Live @ Jam TV)
Il groove di Giulietta Passera alla voce e di Niccolò Bonavita (“Bolla”) al contrabbasso negli studi di Jam TV. Il duo ha presentato il singolo del Bolla Trio, “Feeling Blue”
Il groove di Giulietta Passera alla voce e di Niccolò Bonavita (“Bolla”) al contrabbasso negli studi di Jam TV. Il duo ha presentato il singolo del Bolla Trio, “Feeling Blue”
Stefano De Stefano dei Pipers ci fa ascoltare “Empty – Handed” negli studi di Jam TV. Il brano fa parte del nuovo album “Alternaïf”
Oggi, 5 dicembre 1938
A Tulsa, Oklahoma nasce John W. Cale.
Da adolescente è travolto dalla rivoluzione del rock ‘n’ roll. Cresce ascoltando Elvis, Little Richard, Chuck Berry e Jerry Lee Lewis ma adora anche i vecchi bluesman di Chicago come Muddy Waters. A 26 anni, lascia la cittadina natale per andare a cercare fortuna in California.
A Los Angeles si è appena trasferito il suo amico d’infanzia Leon Russell, anche lui di Tulsa. Leon è un musicista fantastico e nella “città degli Angeli” ha trovato subito terreno fertile. Russell gli presenta Snuff Garrett con cui John comincia a fare qualche lavoretto come fonico e arrangiatore. Per arrotondare, fa anche il barista in un club del Sunset Strip dove, ogni tanto, ha la possibilità di salire sul palco per far sentire alcune canzoni che riecheggiano i suoi gusti musicali: un rock scarno, verace, pieno di blues. Ma ha un problema: si chiama John Cale come il più famoso John Cale dei Velvet Underground. Deve cambiare nome: qualcuno, al club, gli suggerisce di raddoppiare la sua iniziale, come facevano i vecchi bluesman. Nasce così il mito di J.J. Cale.
Trasferitosi a Nashville, J.J. comincia a incidere la sua musica.
Ma le sue canzoni diventano dei successi solo quando interpretate da altri: Eric Clapton trasforma in una hit la sua After Midnight, così come fanno i Lynyrd Skynyrd con Call Me The Breeze. Sempre Clapton registra una cover del pezzo che consegna in modo definitivo J.J. Cale alla leggenda: la canzone si chiama Cocaine ed è uno dei brani più emblematici ed espliciti contro la droga; Clapton la pubblica nel suo album Slowhand del 1977 e, da allora, la esegue sempre in ogni suo concerto.
Million Dollar Quartet: il quartetto da un milione di dollari
Oggi, 4 dicembre 1956
Memphis, Tennessee. Sembra una giornata come tutte le altre, qui negli studi della Sun Records. Carl Perkins, insieme a suo fratello Clayton, deve registrare del nuovo materiale per dare un seguito al successo di Blue Suede Shoes. Lo accompagna, un pianista d’eccezione: Jerry Lee Lewis.
Nel primo pomeriggio, quasi per caso, ai Sun Studios si presenta Elvis Presley.
È in compagnia della sua fidanzata, Marilyn Evans. È passato di lì per salutare il vecchio amico Sam Phillips. Elvis è ormai un artista della Rca, ma ha un credito infinito nei confronti di Phillips e della sua Sun Records. Quando vede Perkins in studio, Elvis non resiste alla tentazione: entra e inizia a jammare.
Poco dopo, compare un altro artista della Sun: Johnny Cash.
Senza farsi notare, Sam Phillips schiaccia il tasto REC del suo impianto e immortala l’intera session. Non solo: chiama il suo amico Bob Johnsson (capo redattore degli spettacoli del Memphis-Press Scimitar) e un fotografo.
Il giorno dopo, sul quotidiano di Memphis si titola a piena pagina:
“Million Dollar Quartet“, il quartetto da un milione di dollari.
A corredo del tutto, la ormai celebre foto in cui si vede Elvis seduto al pianoforte circondato da Jerry Lee Lewis, Carl Perkins e Johnny Cash.
Le registrazioni, per questioni contrattuali e di diritti, rimangono “top secret” sino al 1969. Poi, con l’acquisizione della Sun da parte di Shelby Singleton, vedono la luce quasi 10.000 ore di nastri. Una prima session del Million Dollar Quartet viene pubblicata nel 1981 mentre le Complete Million Dollar Sessions escono nel 1987.
La cantautrice bresciana ha presentato nei nostri studi “Stellar Wind”, il brano di apertura del suo ultimo disco, “Time Of Me”
Oggi, 3 dicembre 1971
Montreux, Svizzera. Nella sala concerti del Casinò della cittadina svizzera, sul lago di Ginevra, si sta svolgendo uno show di Frank Zappa. A un certo punto, un fan, un po’ troppo entusiasta, fa fuoco con la sua pistola lanciarazzi. Di colpo, la sala diventa un inferno. È lo stesso Claude Nobs, organizzatore del concerto, nonché direttore artistico del celebre Montreux Jazz Festival, a salvare parecchi spettatori dalle fiamme che ormai avvolgono l’intero edificio.
Nel giro di poche ore, il Casinò è ridotto a un cumulo di cenere.
L’accaduto viene immortalato su un bootleg di Frank Zappa intitolato Swiss Cheese and Fire (formaggio svizzero e fuoco) ma soprattutto ispira uno dei pezzi più celebri di tutta la storia del rock.
Nello stesso luogo, infatti, la band di hard rock inglese dei Deep Purple sta registrando il nuovo album. Ha deciso di farlo a Montreux utilizzando un impianto di registrazione mobile. Il gruppo di Ritchie Blackmore, Jon Lord e Ian Gillan assiste alla performance infuocata di Zappa e scrive di getto la canzone destinata a diventare la più popolare della carriera degli stessi Deep Purple: Smoke On The Water. Basato sul famosissimo riff di chitarra, il brano racconta esattamente la storia dell’incidente al Casinò e, nella strofa finale, spiega com’è stato registrato il pezzo all’interno di quel pullman riconvertito in sala d’incisione: “Ci sono bastate un paio di luci rosse, qualche letto e lo abbiamo trasformato in un luogo per sudare / non importa cosa ne tireremo fuori, sappiamo che qualsiasi cosa sarà non ce la dimenticheremo mai / fumo sull’acqua, fuoco in cielo / Smoke On The Water, fire in the sky”.
Tricarico ci fa ascoltare il suo classico “Io sono Francesco” negli studi di Jam TV
Intervista nei nostri studi a Mauro Ermanno Giovanardi, Martinelli e Lele Battista che nell’occasione ci hanno parlato di una nuova avventura discografica
Le Ginger Bender in “This Song About” a Jam TV
Oggi, 29 novembre 2001
Los Angeles, California. In una maestosa villa sulle colline di Hollywood, già presa in affitto dal suo amico Paul McCartney e recentemente appartenuta a Courtney Love, muore George Harrison, il Beatle quieto.
Aveva 58 anni e da tempo stava lottando contro un tumore al cervello.
Per curarsi, si era anche recato in una clinica specializzata situata in Svizzera.
Fumatore incallito, Harrison aveva già sofferto, nel 1997, di un tumore alla gola che gli era stato rimosso in modo brillante. Voci non confermate, però, sostenevano che quel cancro si fosse, nel frattempo, esteso al cervello.
Harrison era anche sopravvissuto a un accoltellamento, avvenuto nella notte del 30 dicembre 1999, quando un pazzo di nome Michael Abram (che si dichiara “in missione per conto di Dio”) si era introdotto a Friar Park, la residenza di campagna di George a Henley-On-Thames, con l’obiettivo di ucciderlo.
“Ha lasciato questo mondo nel modo in cui aveva vissuto, in pace con Dio, senza paura della morte, circondato da amici e parenti” recita il comunicato della famiglia.
Le sue ceneri sono state disperse nelle acque del fiume Gange, anche se la cerimonia è stata tenuta segreta e nessuno ha mai saputo quando effettivamente abbia avuto luogo. Nelle ultime settimane di vita, conscio delle sue condizioni, George aveva lavorato insieme al figlio Dhani su alcune canzoni nuove che verrannno poi pubblicate postume nel disco Brainwashed, nel novembre del 2002.
George Harrison ha lasciato in eredità 99 milioni di sterline (la sola casa di Henley on Thames ne vale 15) a un trust gestito da tre consulenti legali e intitolato a sua moglie Olivia e al figlio Dhani, evitando così di pagare alle tasse inglesi la cifra di 40 milioni di sterline. È l’ultima vendetta dell’uomo che un tempo aveva dedicato all’ufficio delle tasse di Sua Maestà la velenosa Taxman E non finisce qui: Olivia, diventata una delle 300 persone più ricche d’Inghilterra, si è ritrova anche diverse proprietà nelle Hawaii, in Italia e in Svizzera per un valore stimato di oltre 100 milioni di sterline senza contare il patrimonio dei diritti d’autore passato nelle mani del giovane Dhani dopo la morte della madre.
Nasce a Nutbush, in Tennessee, Tina Turner
Oggi, 26 novembre 1939
Nutbush, Tennessee, Nasce Anna Mae Bullock.
Il padre Floyd Richard è un diacono battista, la madre Zelma è per metà indiana. La ragazza cresce nella contea di Haywood, nel Tennessee, con la sorella maggiore Alline. Non è un’infanzia facile, la sua: la famiglia non è ricca e il Sud degli Stati Uniti è ancora preda del razzismo. Come non bastasse, quando Anna ha 10 anni i genitori si separano abbandonando di fatto le figlie, che vengono accudite dai nonni.
La giovane Anna non ha ambizioni artistiche. Per tirar su qualche dollaro, lavora come domestica nelle case di bianchi facoltosi. Mantiene quel tipo di umiltà anche dopo il successo: gli amici la ricordano a lavare il pavimento di casa, anche dopo essere diventata ricca e famosa.
A 16 anni si trasferisce a studiare nella più grande St. Louis, dove si ricongiunge con la madre. Lì incontra il futuro marito e partner artistico Ike Turner, che ne valorizza il formidabile talento canoro. È con lui che assume l’identità con la quale diventa celebre: Tina Turner.
La cantante ricorda la sua città natale come un posto dove ogni piccola trasgressione è bandita. La descrive nel 1973 in un pezzo intitolato Nutbush City Limits. Oltre ad essere uno degli ultimi successi della coppia Ike & Tina, diventa uno dei grandi cavalli di battaglia della cantante che la incide nuovamente negli anni Novanta: “A Nutbush”, dice il testo, “il venerdì si va a fare la spesa e la domenica si va in chiesa, il limite di velocità è 25 all’ora e le motociclette sono vietate”. Dal 2001 la porzione di Route 19 vicina a Nutbush è stata ribattezzata ufficialmente Tina Turner Highway.
Il violinista, autore e compositore bresciano ha presentato negli studi di Jam TV il brano che dà il titolo al suo ultimo lavoro in studio, “La via del sale”
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