23/11/2020

Ane Brun ritorna con due album

La cantautrice Ane Brun è l’esempio della musica come catarsi e della potenza intima del cantautorato. Fra trame dai sapori trip-hop e piano-ballad struggenti, l’artista norvegese sfodera due album ricchi ed intensi
Se si associa la musica alla Norvegia, è possibile che il pensiero corra verso le frange del metal più estremo, ma dalla terra dei fiordi emerge anche musica più pacata e poetica: è il caso della cantautrice Ane Brun, sulle scene dal 2001 e con sei album all’attivo, vanta collaborazioni sia con gruppi norvegesi di pregio come i Madrugada, sia con artisti dal respiro internazionale come la band folk rock Syd Matters, il cantautore svedese Josè Gonzales, il musicista islandese Valgeir Sigurðsson, celebre per aver suonato con Björk, e infine Peter Gabriel, con cui ha anche suonato dal vivo.
 
A distanza di cinque anni dall’ultimo lavoro in studio When I’m Free, Ane Brun ritorna “dietro la console” per dare vita a ben due album, pubblicati ad un mese di distanza l’uno dall’altro, differenti negli arrangiamenti, ma simili nell’intimità dolce dei suoni, dominati dalla voce soave della cantautrice. La scrittura degli album è stata un’esperienza catartica per l’artista norvegese, che dopo la morte del padre nel 2016, aveva faticato a trovare la giusta energia per scrivere dei nuovi brani.
Nel primo album After The Great Storm è forte l’influenza dell’iconico gruppo trip hop Portishead, di cui sono riprese alcune scelte nelle sonorità e negli arrangiamenti. Ne sono un ottimo esempio le tracce Honey, After The Great Storm e Don’t Run and Hide: brani in grado di avvolgere l’ascoltatore grazie a toni cupi e ritmi incalzanti sulle cui trame Ane Brun tratta temi delicati come amore, relazioni e l’apprezzamento della vita, nelle sue forme più disparate e contraddittorie. Dopo due brani dalla vena più cantautorale, invece, stupisce l’approccio EDM dai bassi pulsanti e dai crescendo elettronici di Take Hold On Me, che, nonostante la differenza stilistica col resto del progetto, rimane perfettamente integrato con le sonorità dell’album: una piacevole e sorprendente novità. Il disco prosegue con brani che alternano e integrano sapientemente linee delicate di archi, pattern di synth dinamici e conturbanti e atmosfere a tratti lo-fi hip hop per concludere un’opera ricca ed intensa.
Un’intensità che viene trasportata anche nel secondo album How The Beauty Holds The Hands Of Sorrow, dove però, a differenza della prima pubblicazione, i brani presentano arrangiamenti sensibilmente più spogli; una sorta di ritorno alle origini per Ane Brun. Le nove tracce che compongono l’album sono infatti principalmente ballate piano e voce, impreziosite da sezioni d’archi dal sapore cinematico e dolci arpeggi di chitarra acustica dove la delicatezza della voce di Ane Brun è ancora più protagonista, persino in grado di ricordare, soprattutto nei registri più acuti, la leggendaria cantautrice canadese Joni Mitchell. Questa seconda pubblicazione risulta ancora più intima, intensa e drammatica in alcune sezioni, come nel singolo di lancio Closer, dove si racconta di come sia possibile trovare forza nelle avversità. Il tema viene ripreso e ampliato in Breaking The Surface, l’unico brano scritto dopo l’inizio della pandemia, in cui si sottolinea come in tempi così difficili, dove le sovrastrutture politiche ed economiche scricchiolano, il potere dirompente dell’amore sia l’unica risposta possibile. È poi da segnalare Lose My Way, brano creato a quattro mani con il compositore statunitense Dustin O’Hallaran, vincitore di un Emmy e nominato agli Oscar. La traccia colpisce nella sua essenzialità struggente. Pochi accordi di piano riescono a toccare corde intime, avvolgendo e ammaliando l’ascoltatore. Una definizione in verità calzante per molte delle tracce di questi due album, che mostrano in pieno la creatività, la sensibilità ed il talento di una cantautrice di pregio assoluto.
 
Un ritorno sulle scene perfettamente riuscito dopo un periodo sia personale che artistico incredibilmente delicato e complesso.

 

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