Un power duo, un debutto folgorante, un mix di ossessioni, ironia e stili diversi: questi gli ingredienti dell’album omonimo dei torinesi Anthony Laszlo (uscito a gennaio per INRI). Dopo diversi progetti solisti e collaborazioni nella scena indie della loro città, arrivano a un primo album già maturo.
Il terzetto di canzoni iniziale è un’esplosione di energia, riff, rock-blues e funk mischiati a spirito punk e ritornelli ossessivi. Gli Anthony Laszlo sembrano amare proprio l’ossessione, la ripetizione di temi musicali o di frasi come quando dicono “non è bello far finta di amarsi” in Amarsi come non amarsi, oppure “la notte ad aspettare che arrivi un altro giorno” di Un altro giorno.
Spaziano dallo spirito blues e da guitar hero di FDT al punk di Cosa vorrei? e Quello che io vorrei, alternando strofe meno cariche a ritornelli esplosivi, a tratti ricordando anche gli anni ’60 o i revivalist come i primi Supergrass.
Ma si concedono anche momenti più lenti, quasi cantautorali, come in Lei, dal ritornello che accenna al prog e un finale ancora una volta allucinato e ossessivo. Un ritornello simile lo troviamo anche in Solo un uomo, in cui si mescolano una strofa alla Afterhours, un refrain liberatorio e tanti suoni, disturbi, sottofondi elettrici.
A livello tematico i testi rispecchiano la schizofrenia e l’ossessione musicale, parlando di abbandono, smarrimento, fissazioni (“tutto è vuoto quando cerchi lei”), angoscia e conflitti interiori (soprattutto in Solo se fossi, “solo se fossi me io non mi vorrei”). Se non bastasse questo, l’album vanta anche collaborazioni con altri artisti della scena torinese (Gianni Ottino dei Niagara e Alberto Bianco) e di Gionata Mirai del Teatro degli Orrori, che impreziosisce un brano come Gioco.
Un album d’esordio completo e coerente, caratterizzato da un sapiente gioco di alternanza tra calma e furia; gli Anthony Laszlo sono aggressivi e angoscianti ma sempre con un occhio a ottime melodie e un’ironia di fondo.
Se questo è il debutto, possiamo aspettarci molto dal futuro.
Il terzetto di canzoni iniziale è un’esplosione di energia, riff, rock-blues e funk mischiati a spirito punk e ritornelli ossessivi. Gli Anthony Laszlo sembrano amare proprio l’ossessione, la ripetizione di temi musicali o di frasi come quando dicono “non è bello far finta di amarsi” in Amarsi come non amarsi, oppure “la notte ad aspettare che arrivi un altro giorno” di Un altro giorno.
Spaziano dallo spirito blues e da guitar hero di FDT al punk di Cosa vorrei? e Quello che io vorrei, alternando strofe meno cariche a ritornelli esplosivi, a tratti ricordando anche gli anni ’60 o i revivalist come i primi Supergrass.
Ma si concedono anche momenti più lenti, quasi cantautorali, come in Lei, dal ritornello che accenna al prog e un finale ancora una volta allucinato e ossessivo. Un ritornello simile lo troviamo anche in Solo un uomo, in cui si mescolano una strofa alla Afterhours, un refrain liberatorio e tanti suoni, disturbi, sottofondi elettrici.
A livello tematico i testi rispecchiano la schizofrenia e l’ossessione musicale, parlando di abbandono, smarrimento, fissazioni (“tutto è vuoto quando cerchi lei”), angoscia e conflitti interiori (soprattutto in Solo se fossi, “solo se fossi me io non mi vorrei”). Se non bastasse questo, l’album vanta anche collaborazioni con altri artisti della scena torinese (Gianni Ottino dei Niagara e Alberto Bianco) e di Gionata Mirai del Teatro degli Orrori, che impreziosisce un brano come Gioco.
Un album d’esordio completo e coerente, caratterizzato da un sapiente gioco di alternanza tra calma e furia; gli Anthony Laszlo sono aggressivi e angoscianti ma sempre con un occhio a ottime melodie e un’ironia di fondo.
Se questo è il debutto, possiamo aspettarci molto dal futuro.