26/06/2014

Arto Lindsay

Una fotografia per conoscere i vari mondi musicali vissuti da uno dei fondatori della No Wave nel corso della sua carriera solista
Due cd: nel primo ha selezionato personalmente i suoi brani solisti del periodo compreso tra il 1996 e il 2004, nel secondo la sua performance è una registrazione dal vivo solo voce e chitarra. E nel corso dei suoi viaggi si ferma, osserva, scruta e poi riparte esprimendosi quindi musicalmente in quella maniera sempre un po’ dinoccolata, ma creativamente e stilisticamente sempre molto efficace. Il suo nome è Arto Lindsay.
 
Il titolo della sua nuova fatica discografica non deve trarre in inganno, ma è anche vero che dal periodo della No Wave con i DNA il nostro ne ha fatta di strada. E poi una vera e propria Encyclopedia of Arto ad esempio avrebbe dovuto contenere anche frammenti della sua vita da produttore (tra i tanti dischi in cui ha ricoperto tale ruolo c’è anche “Estrangeiro” di Caetano Veloso). Sta di fatto però che l’Encyclopedia qui è da intendere più come fotografia e non come opera omnia.
 
Attualmente vive a Rio de Janeiro, ma tropicalismo, samba e bossanova li aveva già assimilati sin dai tempi della sua prima band sopraccitata nel periodo newyorkese del CBGB, unitamente alla sperimentazione americana tipica di fine anni ’70. Quello che si può ascoltare nel primo disco rende al meglio tale idea e contiene brani da “O Corpo Sutil”, “Mundo Civilizado”, “Noon Chill”, “Prize”, “Invoke” e “Salt”. L’atmosfera qui è sempre un po’ costruita e contaminata, a differenza del secondo cd in cui invece spicca una chitarra usata in maniera assolutamente non convenzionale da Arto Lindsay. Il suo strumento infatti assume un uso percussivo, ma allo stesso tempo produce suoni scorticati e atonali, applicati anche ad alcune cover come “Erotic City” di Prince e “Simply Beatiful” di Al Green.
 
Nel primo disco la world music è d’autore, mentre nel secondo il pop si trasforma in avanguardia. Fenomenologia di Arto Lindsay.
 
Intervista ad Arto Lindsay
 
 

 

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