14/11/2017

Charles Aznavour

La poesia dello chansonnier senza età incanta la grande sala del Teatro Arcimboldi
Troppo brutto, troppo basso, troppo povero. Settant’anni di successi bastano per smentire i pronostici negativi che tentano di stroncare una carriera sul nascere. È la storia di Charles Aznavour, che, ad oggi, non facciamo fatica a dirlo, è una leggenda. Ma non una star, come dice lui stesso: «Mi sento un artigiano».
Novantatré anni e una voglia di vivere da cui dovrebbe imparare metà della gente che fa questo mestiere. Qualche tempo fa ha provato a ritirarsi, lo aveva promesso a sua moglie, la terza, ma dopo un breve periodo passato a casa è stata lei stessa a dirgli di tornare a lavorare per non rischiare di impazzire: «Non sono stanco, gli altri lo sono».
 
Ce ne siamo accorti ieri sera, quando Monsieur Aznavour ha calcato il palco del Teatro degli Arcimboldi di Milano con una naturalezza, un’eleganza ed una classe che contraddistingue gli uomini d’altri tempi.
Nel buio della sala – una sola luce che illumina la band-orchestra che ha preso posizione sul palco – il Maestro si affaccia dalle quinte nel silenzio più totale, un silenzio interrotto all’improvviso dall’applauso fragoroso che il pubblico gli tributa, la dimostrazione di un grande affetto, di tanta ammirazione e di una profonda devozione artistica.
In un’ora e mezza di spettacolo Charles Aznavoice (è questo il soprannome che si è guadagnato grazie alla sua inconfondibile voce) ha intrattenuto e coinvolto la sala completamente piena del teatro ripercorrendo quelli che sono stati alcuni dei momenti fondamentali della sua carriera. E non deve essere affatto semplice stilare una scaletta per uno show del genere: se anche i numeri hanno la loro importanza, in questo caso parliamo di 294 album, circa 1200 canzoni scritte e più di 300 milioni di dischi venduti. Una vita da record.
 
Nella sua carriera ha cantato in otto lingue, ma ieri sera ha parlato con il suo pubblico esclusivamente in francese: dall’amicizia e la collaborazione artistica con Édith Piaf, all’incontro con il drammaturgo Jean Cocteau, Aznavour ha raccontato aneddoti di vita e ha parlato delle sue canzoni. Je Voyage, La Bohème, Ave Maria, Tous les visages de l’amour (cantata in quattro lingue e reinterpretata da molti artisti), sono solo alcuni dei pezzi del repertorio storico dello chansonnier francese che hanno mandato il pubblico in visibilio, e naturalmente non sono mancati i grandi classici cantati in italiano, come Ed io tra voi, Com’è triste Venezia, Lei, L’istrione e Ieri si.
Una sedia al centro del palco sulla quale non è riuscito a stare per più di tre minuti; Aznavour ha recitato, danzato, duettato con una delle due coriste, Katia Aznavour, sua figlia, e diretto su ogni pezzo la sua orchestra, una band di grandi professionisti.
Non pesano affatto quelle rare défaillance vocali che è naturale, addirittura giusto, che non manchino, perché assistere ad uno spettacolo del genere significa avere la fortuna di trovarsi di fronte ad un pezzo di storia e avere la sensazione, se pur per breve tempo, di farne parte.
 
Quello che possiamo augurarci è che questo piccolo grande uomo continui a non sentirsi stanco, e ad avere la voglia di portare in giro per il mondo la sua meravigliosa poesia, di cui tutti, indistintamente, abbiamo ancora bisogno.
Chapeau, Monsieur Aznavour!
 
 

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