16/07/2014

Colorama

Un vecchio giocattolo popolare giapponese, regalato per festeggiare un nuovo anno di felicità e fortuna, dà il titolo al sesto disco di Carwyn Ellis e soci
Se il nostro compito è anche quello di correggere la proporzione fra qualità espressa e visibilità artistica, Temari rappresenta l’occasione per invitare a prendere molto seriamente le doti di Carwyn Ellis e del suo combo. Non che non ci fossero state occasioni in precedenza, ma la pubblicazione di questo sesto capitolo su lunga distanza marca una divaricazione che è dovere colmare. Ellis forma i Colorama a Liverpool nel 2007 con l’amico David Fletcher, ma questi muore due anni dopo lasciando un vuoto umano e artistico che Carwyn ha lentamente colmato, fino all’attuale consolidata line up che comprende Luca Guernieri, David Page e Andrea Garbo.
 
Registrato tra il Galles e Londra con il contributo di Edwyn Collins e Sebastian Lewsley, Temari segna un punto di arrivo rispetto al precedente Good Music (2012), ed è stato preceduto a marzo dall’altrettanto interessante EP Heaven’s Hotel. Tutto nel segno di un rinnovamento nella continuità cominciato nel 2008 con Cookie Zoo. Il talento di Carwyn Ellis, sia nella scrittura sia nell’elaborazione delle trame sonore e nella cura degli equilibri di produzione, qui raggiunge il suo apice per versatilità e capacità evocativa. Interamente e splendidamente cantato in inglese (Ellis utilizza spesso anche la lingua gallese), Temari offre un campionario lucido del miglior pop psichedelico, fra rasoiate e passaggi flautati, declinato con inflessioni differenti, tutte caratterizzate da un’identità sempre nitida e ben definita. Il dream pop etereo che strizza l’occhio alla colonna sonora di un vecchio cult movie (I Can’t Give You More Than Everything; Waiting Game); la geometria strumentale in cui sperimentare un nuovo rapporto fra trama e sonorità alla maniera dei Bark Psychosis (Raylene): i brani variano con agilità territori e umori, sorprendendo nei dettagli e nell’ampiezza dello spettro dei suoni, con privilegio di timbriche vintage senza disdegnare inserti da fuga in avanti. Indefinibile e sfuggente è anche la scrittura, forse la vera perla di questo album: pop nelle viscere, le canzoni si nutrono di elementi d’oltreoceano, alternandosi tra la luminescenza e l’involucro morbido con melodie sempre irresistibili (Forget About Tomorrow; Paraglide; Don’t Be Mean; Too Much Data). Il dormiveglia sinuosamente acido (Thing) e quel folk atipico che Carwyn ama decorare con minuzie accattivanti di suono (Love Entropy) o con soluzioni vocali soul da brivido (Me & My Sister), modificano i tratti di questo caleidoscopio. L’album si chiude in modo spettacolare con i titoli di coda soulful in dissolvenza della sublime Time Folks.
 
L’effetto sull’ascoltatore è positivo e coinvolgente: tutte le canzoni si stabiliscono saldamente sottopelle lasciando una piacevole scia, coi morsi delle loro melodie di forte presa, ma anche nelle emozioni musicali più impercettibili e raffinate. Un temari è un vecchio giocattolo popolare giapponese che viene regalato per festeggiare un nuovo anno di felicità e fortuna. Esattamente come questo disco che ne porta il titolo.
 
 

 
 

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