Si chiama Portland ed è il primo prodotto discografico di David Ragghianti, cantautore toscano dalla voce vellutata e dalla penna intima e ispirata. Un lavoro inizialmente casalingo, quasi interamente acustico, i cui contorni si delineano grazie all’intervento di Giuliano Dottori, arrangiatore e produttore artistico dell’album, e impreziosito dalla partecipazione di ospiti come Mattia Pittella, Mauro Mr Fox Sansone e Nico Turner (già al lavoro con Cat Power).
Portland è un disco delicato che viaggia amabilmente tra pop e folk, con più o meno espliciti riferimenti al classico cantautorato italiano ma, allo stesso tempo, con una forte connotazione personale. E anche se procede in sicurezza e non rischia mai di uscire fuori dai binari, in queste nove tracce David Ragghianti è intimista e meditativo, ottimista e ironico, riflette e forse si pone domande a cui cerca di dare risposta. È su questo sfondo che si alternano diapositive romantiche e dal sapore classico come Pause estive e I prati che cercavo, che apre il disco, a momenti più leggeri dai ritmi reggae, come in Amsterdam e Se non ti ammali mai. La romantica e vagamente esotica Dove conduci precede l’ottimismo di Occhi asciutti, un inno alla natura che costantemente ci ricorda che “va tutto bene, non ci dobbiamo preoccupare”. Tema del filo, il primo singolo estratto dall’album, è un intimo cammino dentro se stessi, senza la paura di sbagliare strada, riflessiva come 300 anni e come Raffiche di fuga, una piccola perla che chiude in bellezza il primo e riuscito esperimento di David Ragghianti. La sua voce è sincera e presente, a volte sussurrata, spesso sognante, ed è costantemente supportata dal pianoforte, dal mandolino, dalle percussioni e dalle chitarre, sempre presenti ma mai invadenti.
Questa è la strada verso Portland, che è «un nome geografico, un luogo dove finisce la terra e comincia il mare» come racconta David, «lo spazio tra finito ed infinito. Un confine da abitare, non una linea. Esiste Portland quando decidi che il centro del mondo è dove sei. Portland sembrava una meta, poi si è rivelato un viaggio. Abitare il dove sei. Qui e ora».
Portland è un disco delicato che viaggia amabilmente tra pop e folk, con più o meno espliciti riferimenti al classico cantautorato italiano ma, allo stesso tempo, con una forte connotazione personale. E anche se procede in sicurezza e non rischia mai di uscire fuori dai binari, in queste nove tracce David Ragghianti è intimista e meditativo, ottimista e ironico, riflette e forse si pone domande a cui cerca di dare risposta. È su questo sfondo che si alternano diapositive romantiche e dal sapore classico come Pause estive e I prati che cercavo, che apre il disco, a momenti più leggeri dai ritmi reggae, come in Amsterdam e Se non ti ammali mai. La romantica e vagamente esotica Dove conduci precede l’ottimismo di Occhi asciutti, un inno alla natura che costantemente ci ricorda che “va tutto bene, non ci dobbiamo preoccupare”. Tema del filo, il primo singolo estratto dall’album, è un intimo cammino dentro se stessi, senza la paura di sbagliare strada, riflessiva come 300 anni e come Raffiche di fuga, una piccola perla che chiude in bellezza il primo e riuscito esperimento di David Ragghianti. La sua voce è sincera e presente, a volte sussurrata, spesso sognante, ed è costantemente supportata dal pianoforte, dal mandolino, dalle percussioni e dalle chitarre, sempre presenti ma mai invadenti.
Questa è la strada verso Portland, che è «un nome geografico, un luogo dove finisce la terra e comincia il mare» come racconta David, «lo spazio tra finito ed infinito. Un confine da abitare, non una linea. Esiste Portland quando decidi che il centro del mondo è dove sei. Portland sembrava una meta, poi si è rivelato un viaggio. Abitare il dove sei. Qui e ora».