14/04/2015

Elliott Murphy

Abbinare la forza della propria giovinezza all’esperienza accumulata in più di quarant’anni non è mai stato così sentito e struggente
Era il 1973 e un ragazzo statunitense di circa 24 anni pubblicava Aquashow, un lavoro d’esordio maturo, scritto mentre ascoltava Velvet Undergroud e David Bowie, anche se la critica per quel primo disco lo definirà addirittura “il nuovo Dylan”. Un complimento importante, divenuto però quasi una maledizione, se si considerano le vendite successive non particolarmente soddisfacenti e una carriera appena iniziata.
Molti artisti, tra cui “un certo” Bruce Springsteeen, ne riconosceranno il valore. Ma il “ragazzo” nel frattempo è cresciuto e a 65 anni “suonati” ha pensato bene di reincidere quel suo primo album con nuovi arrangiamenti e nuove parti vocali curate dal figlio Gaspard, qui in veste anche di produttore. È nato così Aquashow Deconstructed, il “vecchio nuovo” lavoro di Elliott Murphy.
 
E se le dieci tracce sono ovviamente le stesse di quarantadue anni fa, non si può non partire da Last Of The Rock Stars, brano in cui l’artista aveva preso spunto dalle morti di Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison, tutte avvenute tra il ’70 e il ’71, per raccontare la sua paura di non poter condividere con nessuna rockstar i momenti che loro avevano già vissuto e che lui sperava di vivere. Qui i toni sono più sommessi, forse troppo, e infatti la versione del 1973 suona più come un potenziale inno generazionale rispetto alla più recente.
Più curati appaiono in generale i suoni di questi nuovi arrangiamenti di ciascun pezzo “decostruito”, come quelli di How’s The Family, brano che in tal caso acquisisce maggiore pathos. White Middle Class Blues rimane sostanzialmente trascinante come nella versione originale, mentre Poise ‘N Pen presenta un intro più curato e dinamiche più mature. Marilyn e Like A Great Gatsby non mancano all’appello e soprattutto la prima delle due, cantata nella prima parte con una voce a un’ottava più bassa, è caratterizzata da un profondo senso d’angoscia, appena smorzato dall’intermezzo degli archi. E sono proprio questi ultimi i protagonisti della traccia finale, Don’t Go Away: le parti scritte da Gaspard Murphy creano infatti una nuova prospettiva e impreziosiscono l’originale spirito compositivo del padre.
 
Abbinare la forza della propria giovinezza all’esperienza accumulata in più di quarant’anni non è mai stato così sentito e struggente. Da (ri)ascoltare (e approfondire).
 

 

 

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