A tre anni di distanza dal precedente, bellissimo, L’ora dell’ombra rossa, arriva il nuovo lavoro dal titolo La staffetta che, uscendo l’8 marzo, ci dice già simbolicamente che importanza abbia il mondo femminile per Bonaveri. Ma non si tratta di un lavoro sulle donne, piuttosto di un concept album in cui le donne, come gli uomini, sono al centro della distonia in cui ormai tutti viviamo.
Ha l’eloquio facile Germano Bonaveri, pronto e tagliente come deve essere quello di uno scrittore che parla del mondo in cui si vive e che condiziona malamente progetti e aspirazioni. Così, quando le parole diventano canzone, il verso acquista forza ed è capace di essere amaro, accusatorio, ma anche dolce quando si ripara negli affetti familiari presenti e passati.
A uno che non ha dimestichezza con le sue canzoni basterebbe ascoltare il brano di apertura di questo La staffetta per capire chi sia Bonaveri. In Detonazione, a ben vedere, c’è già in nuce l’intero progetto del disco: certo, il filo rosso che lega le varie canzoni è sottile, ma si snoda sicuro a raccontarci che una società paga sempre le conseguenze delle scelte politiche di chi la guida, che sotto la parola “democrazia”, se ne nasconde da sempre un’altra, molto più vera e drammatica, e cioè “cleptocrazia”. Oggi, come in passato, miseria e sfruttamento sono il risultato dell’accumulo di capitale nelle tasche di pochissimi e allora – dice Bonaveri – “bentornata lotta di classe”.
I brani successivi nascono dalla premessa inclusa in Denotazione e così la fatica contadina che diventa la fatica dell’emigrante in Distopia o le frasi fatte con parole incomprensibili per raggirare le persone comuni in Autodafé sono le condizioni e le premesse per l’umiliazione e l’immobilismo. 25 Aprile è l’amara constatazione dell’opportunismo che salva sempre i trasformisti “perché l’importante è far tacere la coscienza e la memoria, perché in fondo sono sempre i vincitori quelli che scrivono la storia”. Si potrebbe continuare con ciascuna delle canzoni che seguono in questo lavoro, scoprendo sempre una voce matura e profonda che racconta amare verità e che porta alla memoria scampoli di influenze, colte tra le menti migliori del nostro cantautorato storico. Bonaveri è una delle poche belle realtà attuali che sanno ancora scrivere una canzone con una scelta linguistica colta, un senso della rima non banale e un approccio originale. Per questo ogni brano ha in sé qualcosa di speciale, di personale che diventa universale. La staffetta, L’indomani e soprattutto Ricordo di figlio sono altre piccole gemme da scoprire con discrezione e cantare a gran voce.
Ha l’eloquio facile Germano Bonaveri, pronto e tagliente come deve essere quello di uno scrittore che parla del mondo in cui si vive e che condiziona malamente progetti e aspirazioni. Così, quando le parole diventano canzone, il verso acquista forza ed è capace di essere amaro, accusatorio, ma anche dolce quando si ripara negli affetti familiari presenti e passati.
A uno che non ha dimestichezza con le sue canzoni basterebbe ascoltare il brano di apertura di questo La staffetta per capire chi sia Bonaveri. In Detonazione, a ben vedere, c’è già in nuce l’intero progetto del disco: certo, il filo rosso che lega le varie canzoni è sottile, ma si snoda sicuro a raccontarci che una società paga sempre le conseguenze delle scelte politiche di chi la guida, che sotto la parola “democrazia”, se ne nasconde da sempre un’altra, molto più vera e drammatica, e cioè “cleptocrazia”. Oggi, come in passato, miseria e sfruttamento sono il risultato dell’accumulo di capitale nelle tasche di pochissimi e allora – dice Bonaveri – “bentornata lotta di classe”.
I brani successivi nascono dalla premessa inclusa in Denotazione e così la fatica contadina che diventa la fatica dell’emigrante in Distopia o le frasi fatte con parole incomprensibili per raggirare le persone comuni in Autodafé sono le condizioni e le premesse per l’umiliazione e l’immobilismo. 25 Aprile è l’amara constatazione dell’opportunismo che salva sempre i trasformisti “perché l’importante è far tacere la coscienza e la memoria, perché in fondo sono sempre i vincitori quelli che scrivono la storia”. Si potrebbe continuare con ciascuna delle canzoni che seguono in questo lavoro, scoprendo sempre una voce matura e profonda che racconta amare verità e che porta alla memoria scampoli di influenze, colte tra le menti migliori del nostro cantautorato storico. Bonaveri è una delle poche belle realtà attuali che sanno ancora scrivere una canzone con una scelta linguistica colta, un senso della rima non banale e un approccio originale. Per questo ogni brano ha in sé qualcosa di speciale, di personale che diventa universale. La staffetta, L’indomani e soprattutto Ricordo di figlio sono altre piccole gemme da scoprire con discrezione e cantare a gran voce.