Strano. Ossia, come recita il dizionario, diverso dal solito o dal comune, singolare e tale da destare meraviglia o perplessità, stupore, curiosità. Strani, Giacomo Toni e il suo quintetto lo sono davvero, come stravagante è la Musica per autoambulanze, che la Novecento Band ha portato al Circolo Masada di Milano il 22 maggio, per l’ultimo appuntamento della rassegna Octopus.
Uno spettacolo fulminante, infiammato da un alto tasso alcolico e dalla grande capacità interpretativa – non solo dal punto di vista musicale – di un gruppo dal fascino un po’ decadente, composto da “musicisti allucinogeni”.
Guai però a farsi ingannare dall’aria scombinata della Novecento Band, che ben si destreggia tra bizzarri dilemmi esistenziali e storie di vita surreali e gustose, narrate a suon di jazz-swing, rock e piano punk. Un quintetto che travolge il pubblico in rutilanti tirate dal fortissimo impatto sonoro o lo rapisce con lenti di malinconica ironia.
Dietro la scorza comica, strafottente, Toni è davvero un poeta. Uno di quelli ancora capaci di giocare con le parole, di sceglierle con cura sorprendente, trattandole come se fossero uno strumento musicale, sia che tenti di far capire qual è il limite lecito di un massaggio a Chinatown, sia che racconti il bislacco scherzo del destino che vede un Bevitore Longevo seppellire tutti i suoi compaesani (e i loro buoni consigli), o che riveli cosa si proverebbe se l’universo tornasse a essere una singolarità e tutto, passato, presente e futuro, accadesse in un solo attimo.
Se davvero c’è chi gli ha detto “smettila di fare lo strano!”, come narra una sua canzone, non c’è dubbio che agli entusiasti presenti invece Toni sia piaciuto così: singolare, sorprendente e fuori dal comune.
Uno spettacolo fulminante, infiammato da un alto tasso alcolico e dalla grande capacità interpretativa – non solo dal punto di vista musicale – di un gruppo dal fascino un po’ decadente, composto da “musicisti allucinogeni”.
Guai però a farsi ingannare dall’aria scombinata della Novecento Band, che ben si destreggia tra bizzarri dilemmi esistenziali e storie di vita surreali e gustose, narrate a suon di jazz-swing, rock e piano punk. Un quintetto che travolge il pubblico in rutilanti tirate dal fortissimo impatto sonoro o lo rapisce con lenti di malinconica ironia.
Dietro la scorza comica, strafottente, Toni è davvero un poeta. Uno di quelli ancora capaci di giocare con le parole, di sceglierle con cura sorprendente, trattandole come se fossero uno strumento musicale, sia che tenti di far capire qual è il limite lecito di un massaggio a Chinatown, sia che racconti il bislacco scherzo del destino che vede un Bevitore Longevo seppellire tutti i suoi compaesani (e i loro buoni consigli), o che riveli cosa si proverebbe se l’universo tornasse a essere una singolarità e tutto, passato, presente e futuro, accadesse in un solo attimo.
Se davvero c’è chi gli ha detto “smettila di fare lo strano!”, come narra una sua canzone, non c’è dubbio che agli entusiasti presenti invece Toni sia piaciuto così: singolare, sorprendente e fuori dal comune.