SongBag è l’agognato primo lavoro solista di Jimmy Ragazzon che arriva a questo traguardo dopo molti anni di musica eccellente con il suo gruppo di sempre, i Mandolin’ Brothers. Anche se in passato si è concesso qualche sortita dal gruppo – splendida quella con Maurizio “Gnola” Glielmo che ha dato origine a Blues Ballads and Songs – Jimmy non aveva ancora maturato a sufficienza l’esperienza personale. È stato necessario attendere il tempo giusto di elaborazione per giungere a questo disco che lo riconduce alle radici della musica americana. Un ottimo disco in cui debordano passione e competenza: un salto nel passato attraverso i miti di gioventù ascoltati, studiati e riproposti con ostinazione neanche fosse lui stesso un vecchio hillbilly che in attesa della cena suona la chitarra sotto il portico. Già, il portico che esiste ancora nelle vecchie cascine del pavese dove Jimmy vive e dove si possono ancora passare delle giornate che sembrano di un altro tempo. Non è un caso che si sia fatto ritrarre in copertina sotto un pergolato seduto su una vecchia poltrona con tanto di chitarra in mano: una sorta di emulazione dei suoi sogni.
Fin da D Tox Song, il pezzo di apertura dell’album, si capisce dove Jimmy vuole andare a parare: si tratta di un recupero della vecchia tradizione degli Appalachi, le voci nasali di apertura sanno di Carter Family, anche se il modo di suonare non coincide, ma le atmosfere sono quelle. Anche se i brani portano la firma di Ragazzon, affiancata in un paio di casi a quella dell’amico e compagno di avventura Marco Rovino, i temi non si discostano più di tanto da quelli originali, come a dire che la vita riserva sempre gli stessi problemi, soprattutto se si parla di sentimenti.
Difficile citare qualcosa di particolare perché i pezzi sono tutti belli e coinvolgenti: è come se con sfumature diverse Jimmy avesse voluto girare intorno a quel variegato mondo tracciato tra old time music, folk e country, i generi madre delle radici bianche americane. A merito suo, però, non si è abbandonato alla riproposizione scolastica di quella musica, ma ha saputo elaborare, mescolare e trarne una sintesi gustosa ed efficace. Insomma un bel disco in cui emergono anche un paio di cover tratte da due suoi amori di sempre Spanish Is The Loving Tongue di Bob Dylan che riprende con quella sorta di cantilena che ha reso riconoscibile fin dal primo accenno il Premio Nobel e poi The Cape di Guy Clark.
Alla riuscita del disco concorrono un pugno di bravi musicisti come il già citato Rovino alla chitarra e mandolino, Paolo Ercoli al dobro, Luca Bartolini alla chitarra e Rino Garzia al contrabbasso, ma ci sono anche ospiti di riguardo come Jono Manson, Maurizio “Gnola” Glielmo, Riccardo Maccabruni, Stefano Bertolotti, Joe Barreca, Roberto Diana, Chiara Giacobbe, Isha e Franco Rivoira, ciascuno impegnato in un piccolo cameo.
Fin da D Tox Song, il pezzo di apertura dell’album, si capisce dove Jimmy vuole andare a parare: si tratta di un recupero della vecchia tradizione degli Appalachi, le voci nasali di apertura sanno di Carter Family, anche se il modo di suonare non coincide, ma le atmosfere sono quelle. Anche se i brani portano la firma di Ragazzon, affiancata in un paio di casi a quella dell’amico e compagno di avventura Marco Rovino, i temi non si discostano più di tanto da quelli originali, come a dire che la vita riserva sempre gli stessi problemi, soprattutto se si parla di sentimenti.
Difficile citare qualcosa di particolare perché i pezzi sono tutti belli e coinvolgenti: è come se con sfumature diverse Jimmy avesse voluto girare intorno a quel variegato mondo tracciato tra old time music, folk e country, i generi madre delle radici bianche americane. A merito suo, però, non si è abbandonato alla riproposizione scolastica di quella musica, ma ha saputo elaborare, mescolare e trarne una sintesi gustosa ed efficace. Insomma un bel disco in cui emergono anche un paio di cover tratte da due suoi amori di sempre Spanish Is The Loving Tongue di Bob Dylan che riprende con quella sorta di cantilena che ha reso riconoscibile fin dal primo accenno il Premio Nobel e poi The Cape di Guy Clark.
Alla riuscita del disco concorrono un pugno di bravi musicisti come il già citato Rovino alla chitarra e mandolino, Paolo Ercoli al dobro, Luca Bartolini alla chitarra e Rino Garzia al contrabbasso, ma ci sono anche ospiti di riguardo come Jono Manson, Maurizio “Gnola” Glielmo, Riccardo Maccabruni, Stefano Bertolotti, Joe Barreca, Roberto Diana, Chiara Giacobbe, Isha e Franco Rivoira, ciascuno impegnato in un piccolo cameo.