Sedicesimo album in otto anni. Questo è l’impressionante ed atipico ruolino di marcia creativo degli australiani King Gizzard & The Lizard Wizard, che nel 2020 pubblicano il nuovo album K.G. A causa della pandemia, il disco è stato composto e assemblato in “remoto”, un aspetto che la band ha considerato come un’ennesima sfida, piuttosto che un reale impedimento, sebbene abbia allungato la gestazione dell’album. K.G. si pone “idealmente” come il seguito spirituale di Flying Microtonal Banana, album del 2017 in cui la band ha sperimentato con musica microtonale, armonie inusuali e sonorità etniche, che nel nuovo K.G. vengono ampiamente riproposte ed approfondite.
La traccia di apertura, K.L.G.W., setta le sonorità dell’album alla perfezione, introducendo la microtonalità, arrangiamenti ricchi e profondi, conditi da sonorità inusuali e a tratti eteree, creando un eclettico ensemble creativo. Non è un caso che sonorità etniche e microtonalità vadano a braccetto: per musica microtonale infatti si intende, per citare il compositore classico statunitense Charles Ives, le “note tra le fessure” del pianoforte, ovvero quelle note all’interno degli intervalli canonici utilizzati nel sistema musicale occidentale. Implementare elementi microtonali nelle linee melodiche, dunque, può restituire un’atmosfera “arabeggiante” ed etnica.
K.L.G.W. si unisce alla seconda traccia, nonchè singolo di lancio dell’album, Automation. Il brano funziona grazie ad un arrangiamento rock psichedelico, ipnotico ed acido che fa da supporto ad una sezione vocale quasi monocorde e robotica. Una gemma dell’album. Si passa alla successiva Minimum Brain Size, che mantiene le sonorità del brano precedente, pur smorzandone la componente acida e puntando maggiormente su giochi di dinamica e ritmi articolati ed incalzanti, caratterizzati da armonie dai sapori mediorientali. Seguono le tracce Straws In The Wind e Some Of Us, già presentate nei mesi scorsi per preannunciare l’album. Della prima colpiscono un arrangiamento improntato sull’ampio uso di chitarre acustiche e impreziosito da scelte ritmiche che inizialmente disorientano, ma che si inseriscono perfettamente nelle trame del brano. In Some of Us si uniscono splendidamente una psichedelia acida e distorta alle già menzionate sonorità mediorientali, che qui fanno davvero da impalcatura al brano, caratteristica peraltro condivisa e ancor più accentuata nelle tracce successive Ontology e Intrasport, con quest’ultima che abbandona il rock per abbracciare atmosfere elettroniche e disco. Se Oddlife, nonostante un’evoluzione dinamica coinvolgente ed un assolo di chitarra notevole, non aggiunge troppo ad un album già incredibilmente ricco, questo non può essere detto per gli ultimi due brani: Honey mescola inaspettatamente colori blues ad atmosfere indiane e The Hungry Wolf of Fate esibisce chitarre distorte imponenti che si prodigano in riff di scuola Black Sabbath a cui si alternano trame vocali eteree dalle armonie audaci. Nel complesso, un assalto sonoro dai ritmi martellanti che chiude con violenza inaudita K.G.
Con un numero così elevato di album in così poco tempo la difficoltà di mantenere ispirazione e innovazione è ancora maggiore, soprattutto per una band sperimentale come i King Gizzard & The Lizard Wizard, che fanno proprio dell’atipicità e dell’imprevedibilità due bandiere. Con questo K.G., sotto certi aspetti, il sestetto australiano va sul sicuro “riciclando” alcuni elementi che hanno reso grande il precedente Flying Microtonal Banana, ma questo non sminuisce certo la bontà di un prodotto che, nel suo insieme, ripropone musica davvero creativa e conferma la band come una sapiente equilibrista in grado di danzare sul filo che divide genio ponderato e sregolatezza.
La traccia di apertura, K.L.G.W., setta le sonorità dell’album alla perfezione, introducendo la microtonalità, arrangiamenti ricchi e profondi, conditi da sonorità inusuali e a tratti eteree, creando un eclettico ensemble creativo. Non è un caso che sonorità etniche e microtonalità vadano a braccetto: per musica microtonale infatti si intende, per citare il compositore classico statunitense Charles Ives, le “note tra le fessure” del pianoforte, ovvero quelle note all’interno degli intervalli canonici utilizzati nel sistema musicale occidentale. Implementare elementi microtonali nelle linee melodiche, dunque, può restituire un’atmosfera “arabeggiante” ed etnica.
K.L.G.W. si unisce alla seconda traccia, nonchè singolo di lancio dell’album, Automation. Il brano funziona grazie ad un arrangiamento rock psichedelico, ipnotico ed acido che fa da supporto ad una sezione vocale quasi monocorde e robotica. Una gemma dell’album. Si passa alla successiva Minimum Brain Size, che mantiene le sonorità del brano precedente, pur smorzandone la componente acida e puntando maggiormente su giochi di dinamica e ritmi articolati ed incalzanti, caratterizzati da armonie dai sapori mediorientali. Seguono le tracce Straws In The Wind e Some Of Us, già presentate nei mesi scorsi per preannunciare l’album. Della prima colpiscono un arrangiamento improntato sull’ampio uso di chitarre acustiche e impreziosito da scelte ritmiche che inizialmente disorientano, ma che si inseriscono perfettamente nelle trame del brano. In Some of Us si uniscono splendidamente una psichedelia acida e distorta alle già menzionate sonorità mediorientali, che qui fanno davvero da impalcatura al brano, caratteristica peraltro condivisa e ancor più accentuata nelle tracce successive Ontology e Intrasport, con quest’ultima che abbandona il rock per abbracciare atmosfere elettroniche e disco. Se Oddlife, nonostante un’evoluzione dinamica coinvolgente ed un assolo di chitarra notevole, non aggiunge troppo ad un album già incredibilmente ricco, questo non può essere detto per gli ultimi due brani: Honey mescola inaspettatamente colori blues ad atmosfere indiane e The Hungry Wolf of Fate esibisce chitarre distorte imponenti che si prodigano in riff di scuola Black Sabbath a cui si alternano trame vocali eteree dalle armonie audaci. Nel complesso, un assalto sonoro dai ritmi martellanti che chiude con violenza inaudita K.G.
Con un numero così elevato di album in così poco tempo la difficoltà di mantenere ispirazione e innovazione è ancora maggiore, soprattutto per una band sperimentale come i King Gizzard & The Lizard Wizard, che fanno proprio dell’atipicità e dell’imprevedibilità due bandiere. Con questo K.G., sotto certi aspetti, il sestetto australiano va sul sicuro “riciclando” alcuni elementi che hanno reso grande il precedente Flying Microtonal Banana, ma questo non sminuisce certo la bontà di un prodotto che, nel suo insieme, ripropone musica davvero creativa e conferma la band come una sapiente equilibrista in grado di danzare sul filo che divide genio ponderato e sregolatezza.