23/03/2016

Kula Shaker

Uno spirito giovanile rinnovato vent’anni dopo l’album d’esordio “K”
Il loro britpop psichedelico è di nuovo “in viaggio verso l’India”. E con le loro sonorità si può andare dunque ancora una volta “oltre la mente”, come direbbe il frontman del gruppo Crispian Mills.
 
Per i Kula Shaker fu così vent’anni fa con K ed è così vent’anni dopo con il nuovo album K 2.0. Il titolo del disco prende quindi spunto dal lavoro d’esordio del 1996 e si riallaccia proprio al britpop psichedelico, punteggiato in maniera deliziosa dalla musica indiana. Ci sono voluti sei anni per un nuovo album, ma soprattutto venti per riprendere certe atmosfere proprie degli inizi.
Infinite Sun, singolo/brano d’apertura di K 2.0, testimonia il legame con gli esordi anche perché qui i Kula Shaker riprendono un mantra che cantavano all’età di 19 anni quando si esibivano nei festival di strada. E poi ad esempio Oh Mary e la meditativa Hari Bol (The Sweetest Sweet) riprendono a modo proprio lo stesso “filone indiano”, mentre suscitano interessi in senso positivo anche il folk di 33 Crows e la morriconiana High Noon.
Momenti riflessivi alternati ad energia vitale ci restituiscono una band che con più esperienza torna dunque dopo vent’anni all’universo sonoro tracciato agli esordi, sebbene lungo le undici tracce non viaggi solo certa psichedelia e si distinguano invece suoni eterogenei, ma non dispersivi.
I confini non sono cioè così definiti e il passaggio da K a K 2.0 è allora perfettamente compiuto: non una celebrazione, ma un rinnovamento dell’ispirazione giovanile.
 
Vent’anni dopo infatti i Kula Shaker viaggiano di nuovo “oltre la mente” e procedono, com’è giusto che sia, oltre se stessi.

 
 

 
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