18/05/2015

Le Capre A Sonagli

Il secondo album della band bergamasca è un concept avanguardistico di quattordici brevi schegge impazzite
Il secondo album dei bergamaschi Le Capre a Sonagli a primo ascolto può apparire come una serie di quattordici brevissimi brani, quasi degli appunti musicali, che si muovono tra rock, blues, psichedelia, lo-fi, echi western alla Morricone, ballate medievali e techno-rock. I pezzi durano in media due minuti (si registra al massimo un brano che supera i tre minuti, Joe), ma sono raggruppati in quattro suite: Piccolo di Joe Koala, La suite del demonietto, …E ci si buttò e La fuga del cavallo defunto. Negli ascolti successivi è possibile entrare nella dimensione parallela da cui sembrano provenire i suoni difficili da descrivere di Stefano Gipponi, Matteo Lodetti, Enrico Brugali e Giuseppe Falco.
L’intento, d’altronde, è proprio quello di suggestionare l’ascoltatore, condurlo attraverso dimensioni sonore freak e decisamente curiose, stimolarlo e lasciar trarre le conclusioni alle sensazioni personali di ognuno. Il Fauno è in sostanza la colonna sonora di un mediometraggio realizzato dall’illustratore Dulco Mazzoleni e vuole narrare la storia di Joe Koala nelle sue avventure tra mondi ultraterreni e onirici. Ogni suite musicale rappresenta un diverso immaginario composto da brani dal tema comune che accompagnano Joe nel suo racconto e sarà abbinato ad un episodio del film di animazione che uscirà a cadenza regolare.
 
I primi due pezzi compongono la suite Piccolo di Joe Koala e sono il prog per chitarra e flauto di Celtic in apertura e l’allucinata Ciabalé che si fonda sulla ripetizione di un testo nonsense (“chabalé/chabaló”). Una delle caratteristiche dell’album è proprio usare testi deliranti o solo spezzoni di frasi in ripetizione, spesso camuffate e rese incomprensibili. E l’unica funzione potrebbe essere quella di ricavare in questo modo suoni tanto quanto quelli degli strumenti, fatti salvi alcuni spezzoni di parlato tra un pezzo e l’altro.
La seconda suite (La suite del demonietto) varia dal lo-fi dissonante e cupo di Tre e 37 al divertissement per organo/flauto di Demonietto dell’organetto, evolvendosi nei ritmi funk di Serpente nello stivale e negli intrecci melodici di Giù. Ancora più eclettica è la terza suite, …E ci si buttò, aperta dalla rock-ballad Nonno Tom (la più “canzone” di tutte) ma subito contrastata dal quasi-techno di Uhaa! che alterna un tema per banjo a un potente elettro rock. Slow viaggia su arpeggi acustici e una linea melodica vocale più leggera, mentre Pausa pranzo è un pezzo dal ritmo di tamburi sostenuto e accompagnato da urla e grida animalesche.
La quarta e ultima suite (La fuga del cavallo defunto) si snoda tra l’andamento sincopato e non lineare di Anatra, le atmosfere retrò di Bobby Solo (dal titolo azzeccato), la marcia per violini e archi di Joe e il finale nuovamente techno-electro-rock distorto di Goo Porpacuttana.
 
Insomma, dopo il buon esordio con SAdiCAPRA nel 2012, il gruppo ha pubblicato questo secondo lavoro: un concept sicuramente visionario, avanguardistico e non immediato ma caratterizzato da uno stile singolare.
 
 

 

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