Il terzogenito e la madre. Sono partiti dal Missouri con furore e hanno creato questo duo voci e chitarre.
Hanno iniziato suonando nelle coffee house d’America, sino ad approdare all’Americana Fest di Nashville.
E si sono fatti notare proprio qui dopo anni. Alcuni addetti ai lavori infatti hanno iniziato a credere nei due e in particolare la Glassnote e il produttore Jim Abiss (Arctic Monkeys, Adele) si sono fatti travolgere dalla loro semplicità e dalla loro essenzialità disarmante che si rifà a un classicismo folk.
La voce di Mama Bear, nome d’arte scelto dalla madre e poco riferito al blues a giudicare dalle dodici tracce del disco, rimane lì quasi in sordina, ma riesce anche ad elevarsi in pezzi tipo Fight On. Madisen, classe 1988, dal canto suo sembra condurre meglio il discorso, pur senza seguire una precisa direzione o seguendo più semplicemente strade facilmente percorribili. Le radici sono importanti e riaffiorano di brano in brano, ma ci sono episodi come Daisy Jane o Down In Mississippi che spiegano meglio il tutto.
E poi si va avanti con una convinzione tutta americana e tradizionale, ma senza una precisa collocazione o localizzazione, avvicinando in tal modo anche più tipi di pubblico. Un primo album, Skeleton Crew, che suona come un manifesto per permettere al figlio e alla madre di presentarsi al pubblico.
E se all’Americana Fest di Nashville l’esibizione di Madisen Ward and the Mama Bear è stata definita “magnetica”, vuol dire che vanno ascoltati dal vivo per definire meglio il loro profilo artistico, al di là di un esordio discografico che rimane comunque più che onesto.
Hanno iniziato suonando nelle coffee house d’America, sino ad approdare all’Americana Fest di Nashville.
E si sono fatti notare proprio qui dopo anni. Alcuni addetti ai lavori infatti hanno iniziato a credere nei due e in particolare la Glassnote e il produttore Jim Abiss (Arctic Monkeys, Adele) si sono fatti travolgere dalla loro semplicità e dalla loro essenzialità disarmante che si rifà a un classicismo folk.
La voce di Mama Bear, nome d’arte scelto dalla madre e poco riferito al blues a giudicare dalle dodici tracce del disco, rimane lì quasi in sordina, ma riesce anche ad elevarsi in pezzi tipo Fight On. Madisen, classe 1988, dal canto suo sembra condurre meglio il discorso, pur senza seguire una precisa direzione o seguendo più semplicemente strade facilmente percorribili. Le radici sono importanti e riaffiorano di brano in brano, ma ci sono episodi come Daisy Jane o Down In Mississippi che spiegano meglio il tutto.
E poi si va avanti con una convinzione tutta americana e tradizionale, ma senza una precisa collocazione o localizzazione, avvicinando in tal modo anche più tipi di pubblico. Un primo album, Skeleton Crew, che suona come un manifesto per permettere al figlio e alla madre di presentarsi al pubblico.
E se all’Americana Fest di Nashville l’esibizione di Madisen Ward and the Mama Bear è stata definita “magnetica”, vuol dire che vanno ascoltati dal vivo per definire meglio il loro profilo artistico, al di là di un esordio discografico che rimane comunque più che onesto.