A maggio dello scorso anno James Dean Bradfield annunciava che i Manics Street Preachers erano pronti con 35 canzoni e due album da far uscire. “Uno sarà più acustico, l’altro invece sarà pieno di chitarre elettriche” dichiarava ad NME. E così è stato. A settembre 2013 è uscito Rewind the Film e ora Futurology. Registrati in contemporanea tra la loro Cardiff e gli Hansa Studios di Berlino (sì, quelli di buona parte della trilogia berlinese di Bowie), i due album sono infatti piuttosto diversi tra loro. Futurology evidenzia ancora di più le influenze berlinesi, con costanti riferimenti al krautrock e in generale alla musica underground tedesca anni ’70. Accantonate le atmosfere folk acustiche e melodicamente più eteree dell’album precedente, qui trovano spazio suoni più industrial, sintetizzatori, distorsioni, strani effetti (persino un sample del grido “I’ve got blisters on my fingers” di Ringo Starr in Helter Skelter, il celebre brano dei Beatles del 1968).
E naturalmente basso e chitarra molto in evidenza. E’ il caso dei due intriganti strumentali, Dreaming a City (Hugheskova) e Mayakosvky, della marcetta stomp di Let’s Go to War e della ballata rarefatta Divine Youth in duetto con la giovanissima cantautrice gallese Georgia Ruth. Non è l’unica ospite dell’album, caratteristica questa in comune con il lavoro precedente; in alcuni brani Bradfield duetta o lascia la scena a cantanti emergenti (Cate Le Bon, Cian Ciaran, l’attrice tedesca Nina Hoss). Semplicemente perché, come spiega lui stesso, “in alcune canzoni la mia voce era meno adatta”.
Se da un lato le influenze tedesche sono prominenti, l’altro debito (o tributo) evidente è al rock da stadio anni ’80. In particolare in Walk Me to the Bridge, “inno alla Simple Minds” – quelli della seconda fase di carriera – e primo singolo estratto, ma anche nelle tirate più rock (Sex, Power, Love and Money, Misguided Missile, Black Square, la title-track). La fusione perfetta delle due influenze è in Europa Geht Durch Mich, cavalcata ispirata ai sogni delle città europee nel dopoguerra, in bilico tra elettronica e “inno rock”.
A livello tematico il filo conduttore è proprio la riflessione sul futuro europeo, i sogni passati, le paure presenti e sull’immaginazione e la creatività in pericolo nell’era digitale. Se alcuni momenti (Between the Clock and the Bed, The View from Stow Hill) sono più convenzionali e di maniera, l’album nel complesso è un solido ed efficace tributo al glorioso passato del rock europeo con uno sguardo al futuro.